BUGIE IMPERIALISTE

Discorsi che anticipano lo scoppio

Comunicazione politica in contesti neoliberisti

di Rodrigo F. Miranda (*)

 

“L’ideologia neoliberista colma di tranquillità i più
potenti”
(Jean Ziegler)


Al di là delle sue implicazioni sociali, politiche ed economiche, l’implementazione del neoliberismo ha connotazioni anche nell’ambito della comunicazione. Se analizziamo alcune esperienze storiche del modello, come si configurano i discorsi dei pubblici rappresentanti prima, durante e dopo la messa in atto di queste politiche?

Dalla fine degli anni ’70 vari governi delle democrazie occidentali iniziarono l’avventura neoliberista, sia in paesi centrali che periferici. La messa in atto della ricetta (un pacchetto semplice ed omogeneo di misure che non aveva bisogno di adattarsi ai diversi contesti in cui veniva applicato) ha avuto bisogno, in tutti i casi, di importanti sforzi di comunicazione.

Un’analisi della comunicazione politica in contesti di neoliberismo potrebbe cominciare alcuni anni prima, durante le dittature di Augusto Pinochet in Cile (1973) e della Giunta Militare in Argentina (1976).
Naturalmente a questi governi civil-militari non fu necessario utilizzare l’arte della persuasione politica per applicare o giustificare le misure neoliberiste; la sistematizzazione degli assassinii, delle persecuzioni, dei sequestri, delle torture e di tutte le altre forme di terrorismo di Stato impedivano qualsiasi critica ai loro programmi e rendevano vano l’uso di qualsiasi argomento.

Quindi prenderemo come primi spunti i governi di Margaret Thatcher e Ronald Reagan da fine anni ’70al decennio degli anni ’80 in Inghilterra e Stati Uniti, continuando con alcuni paesi dell’America Latina durante gli anni ’90 e all’inizio del 2000, finendo poi con l’attualità nel sud dell’Europa. 

Partendo dall’assemblaggio di alcuni punti chiave dei discorsi dei principali responsabili politici in questi diversi momenti storici, si può illustrare come si modula e si articola il discorso del potere in contesti neoliberisti. Uno schema discorsivo coerente, integrato da un pugno di idee ripetute fino alla nausea. Discorsi che, per la loro reiterazione e semplificazione, possono raggiungere un forte grado di interiorizzazione sociale, entrando a far parte del “senso comune”. 

Misure che non si annunciano: in campagna elettorale nessuno è neoliberista

Dato che non esiste un partito che assuma politicamente un’ideologia neoliberista (e sicuramente mai ci sarà un “partito neoliberista” tale e quale), questo modello giunse alle
democrazie occidentali per mano di partiti politici dei più diversi colori ideologici. Partiti di tradizione conservatrice o socialdemocratica, formazioni di nuova creazione, spazi storicamente legati al movimento operaio e sindacale o anche coalizioni di partiti (1).

Tenendo conto che le ricette neoliberiste hanno colpito e colpiscono necessariamente in forma negativa ampie maggioranze sociali, esse risultano impopolari. Un fatto che gli esperti di marketing politico e di propaganda non ignorano. Chi sarebbe capace di includere nel suo programma elettorale misure che danneggeranno la maggioranza della popolazione?.

In tutti i casi questi partiti arrivarono al potere con i loro paesi in situazione di crisi finanziaria, disoccupazione, debito pubblico o inflazione elevati, e in fondo, con un certo grado di scontento sociale. Le promesse elettorali durante le campagne furono dirette ad offrire soluzioni a questi scenari, omettendo come si sarebbero raggiunte (2).

 

Nessuno degli allora candidati parlò di tagli degli investimenti pubblici, di abbandono della tutela sociale dello Stato, di privatizzazione di beni e servizi pubblici, di riduzione dei posti di lavoro e di perdita di peso dello Stato, o di mercificazione dei diritti sociali.

In questo modo, con proposte astratte, un forte investimento pubblicitario e avvalendosi degli errori dei loro predecessori, la Thatcher, Reagan, Menem, Fujimori, Sánchez de Lozada, Rajoy o Samarás – tra altri –presero in mano il potere dello Stato. Immediatamente, allora, le buone intenzioni e l’astrattezza dei programmi lasciarono il passo all’applicazione del ricettario neoliberista.

Cominciando a mostrare le carte: “non c’è alternativa”

Fu Margaret Thatcher ad immortalare nel 1979 la frase “non c’è alternativa”, in relazione al fatto che il neoliberismo era l’unica opzione possibile, date le circostanze sociali ed economiche che la Gran Bretagna attraversava in quel periodo. Una frase ripetuta così tante volte dalla Dama di Ferro che, da allora, fu usata come sigla: TINA (“There Is No Alternative”).

 

All’inizio della messa in atto di un programma neoliberista, questa parola d’ordine è una delle chiavi nella comunicazione politica. Il presidente del governo spagnolo diceva nel 2012 che “il Governo ha dovuto fare cose che non gli piacciono per uscire dalla grave situazione in cui si trova”. Detto in altra forma, “certo che ci piacerebbe fare altre cose, ma con l’eredità che abbiamo ricevuto non abbiamo altra alternativa che fare questo”.

L’argomento che giustifica i tagli strutturali dello Stato è la necessità della riduzione del deficit pubblico, nascondendo il forte trasferimento di ricchezza dal settore pubblico a quello privato concentrato. Continuando con il governante spagnolo, “correggere il deficit è un obbligo e qualcosa di imprescindibile per la Spagna…” o “tagliare … è assolutamente necessario perché in questo momento non c’è denaro per far funzionare i servizi pubblici”.

Su questo punto, e per appoggiare questa idea, di solito si usano super-semplificate spiegazioni del funzionamento economico. Margaret Thatcher dichiarava, anni fa, “questa verità fondamentale: lo Stato non ha più denaro del denaro che le persone guadagnano da e per se stesse. Se lo Stato vuole spendere più denaro, può farlo solo indebitando i tuoi risparmi o aumentando le tue spese. Non è corretto pensare che qualcuno pagherà. Quel
‘qualcuno’ sei ‘tu’”. Non c’è “denaro pubblico”, c’è solo “denaro dei contribuenti”.

Altri esempi della stessa cosa: un riferimento del neoliberismo in Argentino, Domingo Caballo (3), mentre come Ministro dell’Economia annunciava nel 2001 l’ennesimo taglio della spesa pubblica, affermava che “bisogna arrivare al deficit zero e smettere di vivere di prestiti”. Anche Rajoy gettava luce su questa questione nel 2012 assicurando che “quello che non si può spendere è quello che un paese non ha”.

 

Come si può vedere, è curioso che la comunicazione dell’economia neoliberista, a seconda della convenienza, possa appoggiarsi su modelli comprensibili solo per un ristretto gruppo di “esperti” (occultamento) o, invece, possa essere tanto semplicista come le affermazioni precedenti (riduzionismo). “La teoria economica convenzionale abitua a praticare, non si capisce bene se in parti uguali, sia l’occultamento che il riduzionismo, svalutando il carattere e la percezione dell’economia” (Martinez González-Tablas & Álvarez Cantalapiedra, 2013).

Oltre a voler minimizzare l’inesorabile perdita di appoggio popolare, l’idea dell’inesistenza di
alternative al neoliberismo ha anche come sfondo un tentativo di de-ideologizzare il modello, ponendolo all’opinione pubblica come se fosse una questione che si riferisce alla scienza pura. “Non ci piace quello che stiamo facendo (non l’abbiamo scelto, non è ideologico), ma non abbiamo scelta (è una decisione scientifica)”.

Oltre alla sua inevitabilità e al suo carattere ‘scientifico’, ci sono altri biglietti di presentazione del modello.

Il primo è la “modernizzazione” delle istituzioni democratiche e dell’apparato produttivo. Cavallo affermava che “viviamo in un’epoca di modernizzazione di tutto l’apparato produttivo dopo che l’Argentina era rimasta contratta su se stessa in tutti i settori”.

Il secondo è che esiste una specie di consenso globale sull’adozione di questo tipo di misure. “Bisogna recuperare la fiducia dei mercati” oppure “bisogna essere inseriti nel mondo” sono frasi utilizzate ripetutamente dalle prime linee del Partito Popolare spagnolo.

 

Messo ormai in marcia il ricettario neoliberista, parte della società, il giornalismo e l’opposizione parlamentare esigono dai governi spiegazioni per l’incoerenza tra le propose
formulate in campagna elettorale e le misure di politica reale che si mettono in atto.

Su questo punto vediamo due stili diversi di un particolare mea culpa. Uno più pragmatico: Mariano Rajoy affermava nel 2013 che “chi mi ha impedito di realizzare il mio programma è la realtà” o “avevo detto che avrei abbassato le tasse e le sto alzando (….) sono cambiate le circostanze e devo adattarmi ad esse”.

L’altro stile, impunemente “sincericida”: l’ex presidente Carlos Menem dichiarava, mesi dopo aver cominciato il suo cammino neoliberista in Argentina, che “se avessi detto quello che avrei fatto, nessuno mi avrebbe votato”. 

Primi impatti: “Stiamo male, ma andiamo bene

Quando l’impatto delle misure neoliberiste, invece di attenuare la situazione di difficoltà e insoddisfazione che diversi settori sociali soffrivano prima della loro applicazione, evidenzia un rapido peggioramento delle loro condizioni di vita, un arretramento dei loro diritti sociali e un aumento dello scontento sociale, la retorica dei rappresentanti politici e portavoce del potere deve fare una nuova giravolta.

 

Quando le cose peggiorano per la maggioranza, si cerca di trasmett re il ritrovamento di “germogli verdi”, di una illusoria “luce in fondo al tunnel”. L’idea è che “i sacrifici” che la maggioranza della popolazione sta facendo sotto il giogo del libero mercato e senza la tutela dello Stato stanno cominciando a dare frutti. Anche se questi non sono ancora visibili per i sacrificati dal modello.

In un discorso del 1996 Menem sentenziava che “stiamo male, ma andiamo bene”. Sulla stessa scia, Rajoy affermava nel 2013 che “anche se non possiamo dire che la Spagna va bene, va però meglio e la strada tracciata è quella corretta”. Questo tentativo di vendere speranza e illusione ai suoi votanti ha lo scopo di continuare a chiedere loro “sacrifici”.

Un altro argomento consiste nell’insistere che le decisioni adottate dal governo sono responsabilità di altri attori o circostanze. Principalmente sono risultati delle politiche dei suoi predecessori: Mariano Rajoy, col paese colpito da proteste e mobilitazioni in conseguenza delle misure del suo governo affermava che “il PSOE porta una colpa storica. Bisogna dirlo forte e chiaro”. La Thatcher diceva che “curare le infermità della Gran Bretagna con il socialismo è come cercare di curare la leucemia con le sanguisughe”. E Menem, fino all’ultimo anno del suo decennio di potere, non finiva di segnalare “la pesante eredità” lasciata dal suo predecessore. 

La colpa della politica e della cosa pubblica

 

L’indebolimento e la spregio della politica e del pubblico sono condizioni sine qua non per lo sviluppo del modello neoliberista.

 

Screditare la politica come strumento di trasformazione a disposizione della maggioranza promuove la disaffezione e, così, facilita il fatto che questa passi ad essere di dominio
del potere economico concentrato. Ronald Reagan metteva in chiaro la sua visione della politica: “Si suppone che la politica sia la seconda più antica professione della Terra. Sono arrivato alla conclusione che ha una grande somiglianza con la prima”.

Altrettanto prostituita deve essere la cosa pubblica. Un ex ministro del governo Menem, Roberto José Dromi, con riferimento alle politiche di privatizzazione del governo (argentino) affermava: “niente di quello che dovrebbe essere statale rimarrà nelle mani del governo”. Non è un dato di poco conto che Dromi in quel momento fosse il Ministro delle Opere e dei Servizi Pubblici dello Stato nazionale argentino.

 

Se la politica e il pubblico sono parti del problema, le soluzioni devono passare per l’individuale. Nelle parole di Margaret Thatcher “Stanno mettendo il problema nella società. E ‘la società’ non esiste. Ci sono uomini e donne, individui. Ci sono anche famiglie. Nessun
governo può fare nulla eccetto attraverso ogni persona e le persone hanno bisogno di vedere da sé in primo luogo. E’ nostro obbligo guardare per noi stessi, e poi per il nostro vicino”.

Discorsi che anticipano lo scoppio

Cambiano i momenti storici, i contesti mondiali, i territori e gli Stati-nazione, le condizioni materiali di sussistenza dei popoli, i nomi o le tendenze ideologiche dei partiti politici. Ma, nei casi analizzati, ci sono almeno tre cose che non cambiano: le ricette di politica economica, il loro impatto sociale e i concetti sottostanti al discorso di quelli che, nelle istituzioni politiche, devono svilupparli e legittimarli.

Discorsi che negano quanto andranno a fare, quello che fanno, e anche le conseguenze di ciò che fanno.

Discorsi che cercano le responsabilità al di fuori, discreditano la politica, ingiuriano la cosa
pubblica e tingono decisioni ideologiche con la vernice scientifica. Lo fanno per pragmatismo della realpolitik o per disonore ideologico?

 

Al di là delle parole, appare evidente che i governi neoliberisti fanno quello che vogliono fare e sanno cosa implica questo. Vogliono stabilire un nuovo “contratto sociale” che ricerchi la legittimazione di un altro regime di proprietà, con classi dominanti molto più dominanti, con lo smantellamento e la privatizzazione dello Stato e la preminenza della concorrenza e della logica mercantile in una società individualista, non solidale e ormai senza coesione.

Dato che questo sistema politico ed economico approfondisce la disuguaglianza e l’ingiustizia sociale, impoverisce e espelle grandi maggioranze, questi governanti, condannati a ricercare l’appoggio popolare, hanno bisogno di una narrazione forte per poter
sviluppare la versione più vorace che il capitalismo ha conosciuto nella sua storia.

Al di là delle parole, i governi neoliberisti hanno lasciato, o stanno lasciando, la stessa eredità economica, sociale e politica. I discorsi analizzati anticipano lo scoppio di una crisi sociale che sta maturando nel corso del tempo in cui dureranno queste misure.

Al di là del fatto che si ripeta incessantemente l’idea che “non c’è alternativa”, in ultima istanza, e come diceva José Saramago (grande scrittore portoghese, n.d.t.), “l’alternativa
al neoliberismo si chiama coscienza”.

Note:

 

[1] Ad esempio Margaret Thatcher
arrivò al governo dal Partito Conservatore , Ronald Reagan dal Partito
Repubblicano e Mariano Rajoy dal Partito Popolare. Da parte sua Alberto
Fujimori vinse le elezioni generali peruviane con formazioni nuove, come cambio
90 e Nuova Maggioranza; Carlos Menem arrivò al potere dal Partito
Giustizialista, Fernando de la Rua fu eletto presidente argentino con
l’Alleanza, e Antonis Samaràs è stato nominato primo ministro greco con Nuova
Democrazia, in coalizione con PASOK e DIMAR.

[2] Alcuni slogans di questa
campagnacoincidevano nelle loro
idee astratte. “L’America sorge” o “L’America è tornata” (Ronald Reagan, USA);
“Rivoluzione produttiva e salario” (Menem, Argentina); “Il laburismo non
funziona” (Thatcher, Inghilterra); “Perù, paese con un futuro” (Fujimori,
Perù); “Unisciti al cambiamento” (Rajoy, Spagna).

[3] Cavallo fu
il presidente della Banca Centrale durante la dittatura militare argentina
(1981), Ministro dell’Economia durante la presidenza di Carlos Menem
(1991-1996) e anche durante quella di Fernando De la Rua (2001). 

(*) Giornalista e scrittore argentino; da: rebelion.org 22.7.2013


 

(traduzione di Daniela Trollio Centro di Iniziativa Proletaria “G.Tagarelli” Via Magenta
88, Sesto S.Giovanni)

Scrivi commento

Commenti: 0

News