PALESTINA

                         

Non è una vittoria per la Palestina

Il discorso di commiato di Abbas all’ONU

di As'ad Abu Kalil (*); da: rebelion.org;

 

Con una drammaticità artificiosa ed un falso senso di anticipazione, Mahmud Abbas è salito sul carro del fervore nazionalista e popolare palestinese a causa dell’assalto israeliano contro Gaza, ed è arrivato all’ONU come aveva annunciato da tempo per sollecitare – e ottenere – lo statuto di osservatore per lo Stato della Palestina.

Il popolo palestinese avrà ora uno Stato paragonabile al Vaticano. Come disse una volta il poeta palestinese Mahmud Darwix: la lotta di più di un secolo del popolo palestinese gli dà diritto a ben più che uno stato.

Abbas doveva presumibilmente presentare la domanda al Consiglio di Stato dell’ONU ma gli Stati Uniti gli hanno fatto pressioni perché non portasse avanti questo piano.

  

Gli USA non volevano essere, una volta di più, esposti al mondo come nemico incondizionato del popolo palestinese. Gli USA non volevano utilizzare, una volta ancora, il diritto di veto per proteggere il loro cliente, lo Stato di Israele. Abbas è sempre stato il servo obbediente di Stati Uniti ed Israele. Lo stesso incarico che Abbas ha svolto nella Autorità Palestinese, prima come primo ministro e poi come presidente dell’AP con un mandato scaduto, è stato disegnato per lui da Israele. Abbas non voleva molto, desiderava un piccolo Stato diminuito che gli servisse a rafforzare la sua posizione tra il suo popolo.

Abbas è una figura senza appoggio popolare. Non ha potere e deve mendicare a Israele, all’Unione Europea, agli Stai Uniti ed al Consiglio di Cooperazione del Golfo il suo salario e i salari della gonfiata burocrazia e dei servizi militari e di intelligence, che dirige in nome di Israele. Il suo lavoro è stato ed è reprimere e uccidere palestinesi per rendere meno costosa l’occupazione agli occupanti.

Abbas è anche una persona notoriamente corrotta che ha arricchito i suoi figli e se stesso dal suo posto e che arricchisce anche i suoi corrotti collaboratori. Araf ha presieduto un’autorità corrotta all’interno di Fatah, nell’OLP e, più avanti, nella A.P. ma almeno Arafat non era personalmente corrotto e per buona parte, visse una vita ascetica.

Abbas ha finito per disperarsi. Il suo popolo lo disprezza e lui è divenuto insignificante per Hamas e per i nemici dei palestinesi, che ritengono che sia sopravvissuto al suo periodo di utilità anche se capiscono di non avere ancora qualcuno con cui rimpiazzarlo. Gli mantengono il posto e sperano che non faccia nulla di inaccettabile e che non alzi la voce rivolgendosi ai loro capi e responsabili.

Ma Abbas ne ha avuto abbastanza.

Ha visto nella guerra contro Gaza che il popolo palestinese continua senza paura la resistenza armata contro l’aggressione sionista. Ha visto che il concetto di lotta pacifica non solo è impopolare ma che ha dimostrato il suo fallimento in Libano, in Egitto, in Siria e in Palestina. Tutti questi paesi hanno cercato di mantenere negoziati pacifici con Israele per riuscire a recuperare le loro terre e tutti hanno fallito.

Il popolo egiziano si rende ora conto, tardivamente, che Anwar Sadat e Hosni Mubarak lo avevano ingannato; che il Sinai non è stato recuperato e che Israele continua ad esercitare la sua sovranità sul territorio egiziano.

Troppo tardi Abbas si è stancato dell’umiliazione che regolarmente gli infliggono Israele e gli Stati Uniti, nonostante la recente visita fatta da Hillary Clinton con la speranza di elevare il suo profilo, come se gli arabi che vengono elogiati dagli Stati Uniti ottenessero dai loro popoli una migliore considerazione.

Abbas è in declino e si trova alla fine della sua carriera. Non gli rimane molto tempo per altre trappole o suppliche ad Israele. Israele ha messo in chiaro che non atterrà quel piccolo Stato spezzettato di Cisgiordania e Gaza che il movimento di Fatah vuole ora. Abbas voleva lasciare la scena facendo una manovra di relazioni pubbliche. Sperava di poter emulare la spettacolo di Arafat all’ONU del 1974. Qui la storia si ripete come farsa.

Abbas non ha la statura di Arafat tra il suo popolo, e Arafat (a suo tempo) lottò per uno Stato laico in tutta la Palestina. Abbas sperava di poter ottenere l’appoggio del suo popolo, che ha oltraggiato nella sua ultima intervista umiliante alla televisione israeliana in cui ha rinunciato a qualsiasi reclamo de Safad e della Palestina del 1948.

Abbas, questa volta, stava mendicando l’approvazione del suo popolo. Ha denunciato i crimini israeliani in una lingua in cui gli USA non lo avevano autorizzato a parlare per anni. Ha ricordato la cronaca di alcuni dei crimini sionisti in Palestina. Non si è servito del suo caratteristico linguaggio sulla pace che i suoi padroni statunitensi gli hanno inculcato. Invece Abbas è ricorso alla retorica araba che molto tempo fa al-Fatah usava sulla Palestina.

 

Ma il discorso non può essere giudicato dalla sua retorica emozionale – anche se disgusta Israele. Lo si può capire solo per il suo contenuto politico. E in questo senso Abbas non ha avuto debolezza nella sua richiesta di un mini-Stato, il 22% della Palestina. Ha anche parlato dei diritto di Israele di esistere a fianco di un mini-stato che pretende di dominare, controllare, occupare. Sembra anche aver promesso che non utilizzerà la sua nuova condizione per dare fastidio a Israele. Audacemente gli Stati Uniti e Israele gli hanno fatto pressioni perché si astenga dal rivolgersi al Tribunale Internazionale di Giustizia, temendo che presenti caso di crimini di guerra commessi da Israele. Gli Stati Uniti e Israele vogliono sfacciatamente difendere il diritto di Israele a perpetrare crimini di guerra e massacri. Il Congresso degli Stati Uniti è stato indegno.

 

Ma il voto all’Assemblea Generale dell’ONU – nonostante le classiche pressioni e tattiche di intimidazioni degli Stati Uniti, che essi hanno usato nel 1974 per produrre il cosiddetto piano di Spartizione che concedeva aduna minoranza ebrea (un terzo della popolazione) il 55% del territorio (la maggioranza araba fu “premiata” con il solo 42% di ciò che era la sua patria in quel momento) – è stato un affronto per Israele e Stati Uniti.

Nonostante l’influenza degli Stati Uniti sulla politica estera della UE, l’opinione pubblica internazionale a favore della Palestina si è mostrata al mondo. Gli USA hanno sempre voluto nascondere la realtà dell’appoggio popolare internazionale alla Palestina. Nel votare “no” gli USA sono rimasti isolati insieme ad altri otto paesi. Solo Israele, Stati Uniti, Canada, Panama, Repubblica Ceca, Isole Marshall, Micronesia, Nauru e Palau hanno votato contro l’ammissione palestinese.

 

Il mondo arabo tornerà a rendersi conto, una volta di più, che sono gli Stati Uniti quelli che si interpongono sul cammino della liberazione palestinese. I paesi arabi e l’Autorità palestinese lavoreranno duramente per dare l’immagine che quello che è successo sia una grande vittoria. Non lo è.

E’ fondamentalmente una misura simbolica che contribuisce solo a mostrare la simpatia del mondo verso la lotta palestinese per la propria liberazione.

 

La vera lotta per la liberazione continuerà; e non avrà luogo sul territorio della città di New York.

  

(*) Nato a Tiro, Libano, è professore di Scienze Politiche alla California State University.

 

(traduzione di Daniela Trollio Centro di Iniziativa Proletaria “G. Tagarelli” Via Magenta 88 Sesto San Giovanni )

 

 

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