Volkwagen e dittatura brasiliana

La Volkswagen ammette il suo appoggio alla dittatura brasiliana e indennizzerà i suoi ex lavoratori perseguitati

di Gustavo Veiga (*); da: rebelion.org; 3.10.2020

 

Un accordo diretto, strappato alla filiale brasiliana della Volkswagen dai suoi ex lavoratori – vittime della dittatura e della loro stessa società tra il 1964 e il1985 – scuote il presidente Jair Bolsonaro che da sempre rivendica il regime militare.

La società automobilistica ammette la sua complicità nella persecuzione, nel sequestro e nelle torture a lavoratori della sua filiale di Sao Bernardo do Campo, nelle vicinanze di San Paolo e firma un accordo per indennizzarli per 36 milioni di reales (circa 6,4 milioni di dollari).

 

Il fatto ha avuto un peso simbolico molto forte nel paese della regione che meno è andato avanti sulla strada delle politiche della memoria, della verità e della giustizia. La ragione è ovvia: è ancora in vigore la Legge di Amnistia del 1979 che impedisce di giudicare i responsabili del terrorismo di Stato.

L’accordo ha una controparte per la multinazionale tedesca. Si chiuderanno tre processi civili contro di essa e non verrà considerata alcuna altra denuncia in futuro.

La misura presa dalla società potrebbe costituire un precedente perché altre società coinvolte nel colpo di Stato di 56 anni fa – la Commissione per la Verità del 2014 stabilì che erano circa 53 – siano portate in giudizio anch’esse.

 

Stiamo celebrando questo accordo perché cambia una pagina importante della storia e avviene in un momento politico di tenebre in cui il Brasile sta passando” ha detto Tarcisio Tadeu García Pereira, presidente della “Associazione Heinrich Plagge”, parlando con l’agenzia stampa Efe.

Questa organizzazione, che rappresenta le vittime della dittatura e della Volkswagen, riceverà 3 milioni di dollari del totale dell’indennizzo.

Porta il nome di un ex lavoratore che morì il 7 marzo 2018. Attivista sindacale e tecnico per 12 anni in VW, finì nelle stanze delle torture del DOPS (Dipartimento di Ordine Politico e Sociale). “Verso le 14 dell’8 agosto 1972, Plagge fu chiamato nell’ufficio del direttore Ruy Luiz Giometti, dove due sconosciuti lo aspettavano già per arrestarlo. Lo portarono al DOPS, dove per 30 giorni fu torturato e poi fu mandato nella prigione di Tiradentes”, così spiega la sua storia il libro “Imprese tedesche in Brasile: il 7x1 dell’economia”del giornalista tedesco Christian Russau; il libro è una ricerca sulle relazioni commerciali tra i due paesi.

 

Oltre al denaro che andrà alla “Heinrich Plagge”, 2 milioni di dollari verranno destinati a rafforzare le politiche di giustizia transizionale (quella che si applica ai processi di transizione da una dittatura alla democrazia, n.d.t.), con progetti per preservare la memoria delle vittime, e il resto – 1,6 milioni di dollari – al cosiddetto Fondo Federale e Statale per la Difesa e la Riparazione dei Diritti Diffusi (FDD).

 

Critico verso l’accordo perché sostiene che è limitato e troppo vantaggioso per la società, Jair Krischke, del Movimento di Giustizia e Diritti Umani del Brasile, ha detto al quotidiano argentino Pagina 12: “L’accordo firmato è inferiore a quanto negoziato negli ultimi 5 anni. Corre il rischio di abbassare il livello degli indennizzi che si chiederanno in nuove iniziative per attribuire le responsabilità delle gravi violazioni dei diritti umani durante la dittatura ad altre società”.

 

Tra le società denunciate ci sono, oltre a Volkswagen, Johnson & Johnson, Esso, Pirelli, Texaco, Pfizer e Souza Cruz.

 

La società automobilistica tedesca ha una lunga storia di imputazioni per violazione dei diritti umani, dal nazismo ad oggi. Sopravvissuti dell’Olocausto la denunciarono nel 1998 insieme a migliaia di altre società tedesche e austriache per il lavoro forzato e la riduzione in schiavitù nelle loro diverse filiali d’Europa.

Nel libro ‘La Volkswagen e i suoi lavoratori durante il Terzo Reich” sono state pubblicate foto di giovani donne, soprattutto sovietiche, che lavoravano scalze in pieno inverno. In questo saggio si afferma che ci furono 16 mila prigionieri di guerra che lavorarono in condizioni subumane in Volkswagen, fondata nel 1937 durante il Terzo Reich e aperta in Brasile il 23 marzo del 1953.

 

La multinazionale ha commentato l’accordo raggiunto la scorsa settimana, a cui hanno partecipato la Procura federale e statale e il Ministero del Lavoro. Hiltrud Werner, una dirigente di VW, ha detto: “Ci dispiacciono le violazioni dei diritti umani del passato. Per Volkswagn è importante assumere la responsabilità di questo capitolo negativo della storia del Brasile e promuovere la trasparenza”.

Ciò che l’impresa ha firmato è definito giuridicamente come Termine di Adeguamento di Condotta (TAC) e la obbliga anche a pubblicarlo sulla stampa. Ora manca solo la ratifica della Procura Generale della Repubblica (PGR).

Sul procedimento, i pubblici ministeri hanno detto in un comunicato stampa che “è inedito nella storia del Brasile” e hanno aggiunto che si tratta di un fatto che “ha una enorme importanza per la promozione della giustizia della transizione in Brasile e nel mondo”.

 

E’ inedita anche l’inchiesta di cui la società stessa ha incaricato lo storico tedesco Christipher Kopper, un professore dell’Università di Bielefeld. Quando il suo lavoro, tre anni fa, venne reso pubblico, un dato chiave che fornì fu come VW avesse collaborato con la DOPS e messo il suo personale di sicurezza a perseguitare lavoratori come Heinrich Plagge, tra il 1969 e il 1979. Alcuni di essi avevano inoltrato una denuncia nel 2015, e l’azienda decise di utilizzare Kopper per effettuare la sua ricerca, di 126 pagine, in modo che costituisse una replica molto veloce alle denunce che l’azienda riceveva.

 

Jair Krischke segnala che “quelli che parteciparono all’inchiesta,  presentarono la documentazione, riunirono i testimoni e lottarono per lo sviluppo del caso non sono stati ascoltati. E’ successo a causa della enorme pressione di molte persone. Non sono stati neanche informati della data in cui si sarebbe formato il TAC”.

 

La multinazionale che, a livello regionale, è diretta dall’argentino Pablo Di Si – un ex calciatore degli Huracan formatosi negli Stati Uniti dove si è laureato alla Harvard Business School – tenta il lavaggio dell’immagine della società proprio mentre in Brasile licenzia lavoratori. “Abbiamo un’eccedenza che corrisponde ad un intero turno in ogni fabbrica. Sono misure molto dure che vanno a colpire direttamente la nostra forza lavoro, in tutte le località” ha spiegato l’amministratore delegato in una comunicazione interna che è stata pubblicata pochi giorni fa sul quotidiano Ambito Finanziario.

Nel paese la Volkswagen ha circa diecimila lavoratori distribuiti in quattro stabilimenti.

 

E’ lo stesso Brasile che nel 2016, quando la società affidava lo studio al professor Kopper, aveva un deputato che diceva: “L’errore della dittatura fu di torturare e di  non uccidere”. Oggi questo deputato è il presidente della Repubblica e continua a giustificare il terrorismo di Stato che, con la collaborazione della Volkswagen Brasile perseguì, torturò e incarcerò i suoi lavoratori.

 

(*) Giornalista e scrittore argentino

 

(traduzione di Daniela Trollio

Centro di Iniziativa Proletaria “G.Tagarelli”

 

Via Magenta 88, Sesto S.Giovanni)

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