Israele

Il Fondo Nazionale  Ebraico di Israele non pianta alberi, sradica i palestinesi

di Jonathan Cook (*); da: rebelion.org; 31.7.2020

 

Nazaret. Il Fondo Nazionale Ebraico (FNE), fondato più di 100 anni, è forse la più venerabile delle istituzioni sioniste internazionali. I suoi patrocinatori onorari includono primi ministri e esso consiglia l’Onu su temi come le foreste e la conservazione della natura.

E’ anche riconosciuto come un’organizzazione benefica in decine di Stati occidentali. Generazioni di famiglie ebree e non solo hanno contribuito ai suoi programmi di raccolta di fondi, imparando fin da bambini a depositare i centesimi risparmiati nelle sue cassette azzurre per aiutare  a piantare un albero.

 

E, invece, il suo lavoro da decenni è consistito in un obiettivo principale: sloggiare i palestinesi dalla loro terra natale.

 

Il FNE è una prospera reliquia del passato coloniale dell’Europa, anche se oggi porta l’abito di organizzazione benefica ambientale. Come dimostrano i fatti recenti, la pulizia etnica continua ad essere ciò che lo caratterizza.

La missione dell’organizzazione cominciò prima ancora che lo Stato di Israele nascesse. Sotto protezione britannica, il FNE comprò estensioni di terra fertile in quella che allora era la Palestina storica. Normalmente usava la forza per spogliare i contadini palestinesi le cui famiglie avevano lavorato quella terra per secoli. Ma le attività di espulsione del FNE non finirono nel 1948 quando nacque Israele  grazie ad  una guerra sanguinosa sulle rovine della patria dei palestinesi, evento che i palestinesi chiamano Nakba, o catastrofe.

Rapidamente Israele demolì più di 500 villaggi palestinesi e il FNE venne incaricato di evitare il ritorno dei circa 750.000 rifugiati. Lo fece piantando boschi sulle case in rovina per rendere impossibile ricostruirle e sulle terre dei villaggi per evitare che venissero di nuovo coltivate.

Queste piantumazioni fecero sì che il FNE si guadagnasse la sua fama internazionale. Le sue operazioni di forestazione furono elogiate perché fermavano l’erosione del suolo, recuperavano terre e, ora, combattono la crisi climatica.

 

Ma anche questa benemerenza – ottenuta mediante l’esecuzione di crimini di guerra – non era meritata. Gli ambientalisti dicono che le chiome scure degli alberi piantati in regioni aride come il Negev, nel sud di Israele, assorbono il calore a differenza del suolo chiaro e non forestato. In mancanza di acqua gli alberi a crescita lenta catturano poca anidride carbonica. Così le specie native – boscaglie e animali – sono state danneggiate. Questi boschi di pini dove il FNE ha piantato circa 250 milioni di alberi si sono anche trasformati in un grande pericolo di incendi. Nella maggior parte degli anni si producono centinaia di incendi dopo la siccità dell’estate, esacerbata dal cambio climatico.

 

All’inizio la vulnerabilità degli alberelli piantati dal FNE è stata utilizzata come pretesto per proibire il pascolo delle capre nere native. Recentemente esse hanno dovuto essere reintrodotte perché ripuliscono il sottobosco e evitano così gli incendi. Ma la mattanza delle capre aveva già raggiunto il suo scopo, obbligando i beduini palestinesi ad abbandonare il loro costume di vita pastorale. Nonostante fossero riusciti a sopravvivere alla Nakba, migliaia di beduini del Negev furono costretti a spostarsi in Egitto o in Cisgiordania nei primi anni di esistenza dello Stato di Israele.

 

Sarebbe però un errore pensare che il ruolo del FNR in questi spostamenti obbligati sia solo un fatto di interesse storico. L’organizzazione ‘benefica’, il più grande proprietario terriero di Israele, sta attivamente espellendo i palestinesi ancor oggi.

Nelle ultime settimane alcuni attivisti solidali hanno cercato disperatamente di evitare  lo sfratto di una famiglia palestinese, i Sumarins, dalla loro casa in Gerusalemme occidentale, occupata per fare spazio ai coloni israeliani. Il mese scorso i Sumarins hanno perso una battaglia legale durata 30 anni intentata dal FNE, perché lo Stato israeliano aveva venduto in segreto la loro casa a fine anni ’80. La proprietà della famiglia è stata sequestrata, in violazione del diritto internazionale, in virtù di una legislazione draconiana del 1950 che dichiarava “assenti” i rifugiati palestinesi della Nakba in modo che non potessero reclamare le loro terre all’interno del nuovo Stato di Israele.

I tribunali israeliani hanno decretato che la Legge di Proprietà delle Assenze si può applicare anche al di fuori del territorio riconosciuto di Israele, nella Gerusalemme occupata. Nel caso dei Sumarins sembra non importi che la famiglia non è mai stata “assente”. Il FNE ha il permesso di sfrattare i 18 membri della famiglia il mese prossimo. Oltre al danno la beffa: essi dovranno pagare i danni al FNE.

 

Seth Morrison, un ex membro del direttivo USA dell’organizzazione, nel 2011, ha rinunciato al suo incarico per protesta riguardo al ruolo del FNE in tali sfratti, accusandolo di lavorare con gruppi di coloni ultras. L’anno scorso il FNE ha espulso una famiglia in circostanze simili a Betlemme. Giorni dopo i coloni hanno occupato la loro fattoria.

Ir Amim”, un gruppo israeliano che si batte per i diritti umani e che lavora a Gerusalemme ha avvertito che questi casi creano un precedente legale pericoloso se Israele compirà la sua promessa di annettere il territorio della Cisgiordania. Il numero dei palestinesi classificati “assenti” potrebbe rapidamente crescere.

 

Ma il FNE non ha mai perso il suo ‘amore’ per il modesto albero come strumento più effettivo e nascosto della pulizia etnica. E ancora una volta sta utilizzando i boschi come arma contro un quinto della popolazione di Israele, i palestinesi sopravvissuti alla Nakba.

All’inizio di quest’anno l’organizzazione ha presentato il suo progetto “Relocation Israele 2040”. Il piano ha l’intento di “provocare un cambiamento demografico profondo di tutto un paese”, cosa che una volta si chiamava sinistramente “giudaizzazione”. L’obiettivo è attrarre 1,5 milioni di ebrei in Israele, specialmente nel Negev, nei prossimi 20 anni.

 

Come nei primi anni di Israele, i boschi saranno vitali per il successo del Piano. Il FNE si sta preparando a piantare alberi su un’area di 40 km. quadrati, appartenente a comunità beduine che sono sopravvissute alle espulsioni precedenti. Con la scusa dell’ecologismo, migliaia di beduini potrebbero essere considerati così degli “intrusi”.

I beduini sono in causa contro lo Stato israeliano da anni per la proprietà delle loro terre. Questo mese, in un’intervista al giornale Jerusalem Post, Daniel Atar, il capo del FNE ha invitato ancora una volta gli ebrei a versare  soldi nelle casse dell’organizzazione, avvertendo che alcuni di essi potrebbero avere remore a venire nel Negev data la reputazione di “crimini agricoli” di cui ‘gode’ l’area, alludendo ai beduini che hanno cercato di mantenere il loro modo di vita pastorale ancestrale.

Gli alberi promettono di far sì che la regione semi-arida sia più verde e anche di “ripulire” dai beduini “antiestetici” le loro terre ancestrali. Utilizzando il linguaggio colonialista originale del FNE, Atar ha detto che la sua organizzazione farà “fiorire il deserto”.

I beduini sanno qual è il destino che probabilmente li aspetta. In una protesta nel mese scorso portavano cartelli “Nè espulsioni, né spostamenti forzati”.

Dopo tutto i palestinesi hanno sofferto uno spostamento forzato, per mano del FNE, per più di un secolo, vedendolo guadagnarsi gli applausi di tutto il mondo per il suo lavoro per migliorare “l’ambiente”.

 

(*) Noto giornalista britannico, vive a Nazareth dal 2001. Ha vinto nel 2011 il premio Speciale di Giornalismo Martha Gellhorn.

 

(traduzione di Daniela Trollio

Centro di Iniziativa Proletaria “G.Tagarelli”

Via Magenta 88, Sesto S.Giovanni)

 

 

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