L'AMERICA LATINA E' MINACCIATA DALLA GUERRA

Le sei carte della guerra ibrida

 

L’America Latina è minacciata dalla guerra

 

di Jorge Elbaum (*)

 

Il nuovo fallimento di Donald Trump – Juan Guaidò e l’illanguidito Gruppo di Lima – aumenta i livelli di tensione e conflittualità in America Latina. Le continue minacce di invasione pronunciate da referenti politici repubblicani, sommate alle continue frustrazioni  patite da coloro che cercano il collasso interno del Venezuela, estendono l’instabilità sociale in una delle regioni, fino ad ora, più pacifiche del mondo.

 

I continui discorsi guerrafondai proferiti dal Dipartimento di Stato cercano di imporre un’uscita distante e aliena a qualsiasi negoziato politico e diplomatico. La loro insistenza si appoggia sul cosiddetto Hexahedron Program, pianificato dai consiglieri di John Bolton negli uffici dell’Harry’s Truman Building, nel distretto di Columbia. Il suo obiettivo dichiarato è il recupero del controllo commerciale delle risorse naturali e la distruzione dei crescenti legami diplomatici, economici e militari di Caracas con Mosca e Pechino.

 

 

L’Hexahedron Program comprende 6 fasi che possono essere eseguite in modo continuo, in tappe successive o contrapposte. I suoi fondamenti: a) il colpo di Stato classico, in questo caso eseguito dalle Forze Armate Bolivariane; b) un’incursione militare interstatale a partire dai paesi limitrofi (Colombia e/o Brasile principalmente) nel formato della guerra di frontiera; c) il collasso economico (implosione) provocato dal blocco e dallo strangolamento commerciale e finanziario; (d) la generalizzazione di una guerra civile capace di legittimare un ‘intervento umanitario’; e) l’irruzione di un modello di “contras” effettuato con l’appoggio di mercenari, come per la Baia dei Porci o la menzionata triangolazione Iran-Contras-Nicaragua; e (f) il bombardamento e/o l’invasione diretta da parte di Washington sul tipo di quanto è accaduto a Granada o Panama.

Ogni lato dell’esagono ha precedenti storici recenti in relazione al ruolo giocato da Washington in America Latina dalla fine della 1° Guerra Mondiale. Ma essi inciampano con particolari resistenze ostinate nel caso venezuelano, oltre ad una mutazione dello scenario internazionale che tende in modo chiaro a livelli superiodi di multipolarità.

 

Il primo modello (a) fu utilizzato nel 2002, quando l’ex presidente Hugo Chàvez approfondì la politica di nazionalizzazione delle infrastrutture e l’espulsione della basi del Pentagono dal suo territorio. Il colpo di Stato fallì grazie alla forte influenza dell’allora presidente tra ufficiali e sottufficiali delle Forze Armate Bolivariane. Nonostante il precedente, fino ad oggi il Pentagono immagina e istiga sollevazioni militari che giustifichino e/o forniscano l’acquiescenza ad un pronto aiuto militare del Comando Sur da dispiegarsi in territorio venezuelano alla prima richiesta di aiuto di una truppa ribelle.

 

Il secondo modello - (b) l’incursione bellica interstatale, cioè l’alleanza di paesi che attaccano un territorio sovrano – fu utilizzato nel secolo XIX dall’Impero Britannico nella guerra della Triplice Alleanza per distruggere il Paraguay sovrano e autonomo di Francisco Solano Lòpez. Questo tipo di piano è momentaneamente fallito in Venezuela, a causa del rifiuto di Colombia e Brasile di iniziare un conflitto militare di cui si conosce ipoteticamente l’inizio ma non la fine. Questo scenario è stato proposto con insistenza da Donald Trump, con la richiesta di trasformare il Gruppo di Lima nel fantoccio iniziale di una successiva presenza del Comando Sur.

 

La terza fase - (c) la ricerca dell’implosione sociale come prodotto dello strangolamento economico generato dal blocco - è attualmente operativa e riveste le stesse caratteristiche di quelle attuate da sessant’anni a Cuba. Ha come indicatori di successo la produzione di carestie, la limitazione dell’accesso ai medicinali, la generalizzazione di disastri epidemiologici, la proibizione del commercio con paesi terzi, la proibizione del finanziamento e il castigo di coloro che intrattengono relazioni politiche con il governo di Maduro. In questo quadro si spiega il sabotaggio all’infrastruttura di trasmissione dell’energia elettrica accaduto all’inizio di aprile.

 

Il quarto dispositivo – (d) la generalizzazione della guerra civile – risale alla ricerca dell’occupazione dello spazio urbano attraverso la legittimazione delle guarimbas (nuclei attivi di sabotaggio e diffusori della violenza di strada), aggiunte all’ingerenza statunitense. Quest’ultima fase è stata promossa dall’auto-proclamato presidente Juan Guaidò.

 

Il quinto elemento (e), parafrasando Luc Besson (regista francese, n.d.t.), presuppone l’utilizzo di società di mercenari come quelli che lavorano per Blackwater, portatori di sanguinari precedenti in Afganistan e Iraq, che si troverebbero attualmente in fase di reclutamento (particolarmente fra gruppi di latinoamericani per costruire un’apparenza militare caraibica all’inizio delle loro incursioni sulla frontiera.

 

Da ultimo, il sesto dispositivo (f) è quello a cui Trump fa costantemente ricorso come minaccia atta a rafforzare i precedenti cinque. L’invasione diretta ha l’inconveniente attuale di non godere dell’autorizzazione dei tre membri del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite che hanno diritto di veto. La presenza di Russia e Cina nel territorio ora in conflitto nei Caraibi, con funzioni di consiglieri militari e/o di soci di attività produttive petrolifere, ha forzato Washington a esagerare quello che può trasformarsi in una profezia auto compiuta. 

 

Il deterioramento del predominio degli Stati Uniti sembra essere direttamente relazionato con la loro esasperazione militarista e la loro corrispondente incapacità di accettare le nuove regole del gioco, in cui non sono più i giocatori egemonici. In questo quadro, l’aumento irresponsabile della violenza discorsiva funziona come un circolo vizioso: da un lato obbliga i portavoce della Casa Bianca ad aumentare i livelli di intimidazione e, allo stesso tempo, frustra (a ripetizione) i Guaidò che si sentono spalleggiati dal Pentagono.

 

Precedenti e futuri

L’offensiva interventista contro il Venezuela consta di vari capitoli che spiegano l’attuale scenario. L’Assemblea delle Nazioni Unite, su richiesta di Washington e dei suoi alleati, ha proposto il disconoscimento di Nicolàs Maduro nel gennaio di quest’anno. La proposta è stata rifiutata con il voto contrario dei due terzi dei paesi membri di questo foro multilaterale. La stessa proposta non è stata approvata nel Consiglio di Sicurezza. Attualmente solo 55 paesi, su un totale di 193, riconoscono Juan Guaidò come legittimo presidente.

 

Questa asimmetrica distribuzione di appoggi e messe in discussioni è quanto si cerca, ripetutamente, di nascondere per conferire maggiore legittimità alla logica del discorso pronunciato da Trump e dai presidenti che compongono il Gruppo di Lima. E’ questo il quadro in cui lo scorso 25 febbraio il vice-presidente degli Stati Uniti, Mike Pence, ha fatto pressione sui presidenti latinoamericani per formare una coalizione che portasse a rovesciare il governo di Nicolàs Maduro.

La posizione del Messico e dell’Uruguay, impegnati a trovare soluzioni negoziate, è stata percepita come un indebolimento di coloro che propendevano per soluzioni fulminanti e militari.

Il 22 marzo Trump ha ricevuto in Florida i capi di Stato di Giamaica, Bahamas, Haiti, Repubblica Dominicana e Santa Lucia. L’agenda dell’incontro era legata all’esigenza, da parte di Washington, di interrompere qualsiasi relazione con Caracas e offrire in cambio qualche carota disponibile per contrastare il piano, guidato dal Venezuela, noto come Petrocaribe (Accordo di Cooperazione Energetica di Solidarietà proposto dal Governo Bolivariano del Venezuela per risolvere le asimmetrie nell’accesso alle risorse energetiche tra i paesi dei Caraibi, n.d.t.).

 

Poco tempo dopo, tra l’11 e il 14 aprile, Mike Pompeo, ex capo della CIA e attuale segretario del Dipartimento di Stato, ha visitato Colombia, Perù, Cile e Paraguay  con l’obiettivo di far pressione sui loro presidenti per limitare la presenza della Cina e della Russia nella regione e riattizzare le minacce verso il Venezuela in vista della fine del governo  di Nicolàs Maduro. Secondo le testimonianze di alcuni consiglieri presenti, Pompeo non ha avuto il successo in cui sperava.

Meno di una settimana dopo, in un insieme di sincerità storica e provocazione vergognosa, il consigliere alla Sicurezza nazionale di Washington, John Bolton, ha dichiarato che la Dottrina Monroe, rifiutata (a parole) tempo prima da John Kerry, tornava ad essere l’asse della politica estera del suo paese verso il cosiddetto emisfero occidentale.

 

La pressione su Caracas continuerà il prossimo martedì, 7 maggio, durante la 49° edizione della Conferenza delle Americhe, ripetuto appuntamento in cui Washington procede a disciplinare i governanti che vi partecipano. In questa occasione l’ordine del giorno si intitola “Disordine e trasformazione nelle Americhe” e il suo anfitrione sarà il vicepresidente USA Mike Pence.  Tra i presenti ci saranno il senatore dello Stato della Florida Marco Rubio (che ha recentemente annunciato su twitter che Maduro finirà come Saddam Hussein, mostrando le immagini dell’esecuzione dell’ex governante dell’Iraq) e il segretario del Dipartimento della Sicurezza nazionale  (DHS) Kevin McAleenan.

Gli opuscoli diffusi da Marco Rubio annunciano una nuova offensiva contro il nuovo asse del male: Cuba, Nicaragua e Venezuela.

 

Nella serata del 3 maggio i primi ministri di Mosca e Washington hanno avuto una lunga conversazione telefonica relativa alla situazione della Corea del Nord, del Venezuela, al disarmo nucleare e alle implicazioni del rapporto del procuratore speciale Robert Mueller, che ha indagato per quasi un anno sul presidente repubblicano statnitense. La telefonata è durata un’ora e mezza e sarebbe finita, secondo alcuni collaboratori di Putin, con un gelido messaggio del presidente euroasiatico: “Quello che farete sarà vostra completa responsabilità. Non contate, in alcun modo, sul nostro avallo. E sappiate che dovrete sopportare le conseguenze”.

Il prossimo 6 maggio il cancelliere russo Sergei Lavrov continuerà questo interscambio con Washington durante la Riunione Ministeriale del Consiglio Artico. Prima di andare in Finlandia egli ha dichiarato, pubblicamente: “Anche se il segretario di Stato degli USA Mike Pompeo ed io siamo d’accordo nel continuare i contatti, non vedo come sarà possibile armonizzare le nostre posizioni”.

 

Jürgen Habermas (sociologo, filosofo, politologo, epistemologo tedesco, tra i principali esponenti della Scuola di Francoforte, n.d.t.) segnalò vent’anni fa che “L’irresponsabilità per i danni fa parte dell’essenza del terrorismo”. La mancanza di valutazione dei costi umani che determinate azioni politiche generano, la sottovalutazione della vita come equazione centrale della gestione politica e l’incapacità di identificare la sovranità nazionale come la base suprema delle relazioni internazionali sembra essere la forma che oggi assume questa logica dell’irresponsabilità.

 

Quelli che sognano le guerre civili, le centinaia di migliaia di morti ed un continente attraversato dalla guerra devono sapere, come ha sottolineato Putin, che le conseguenze esistono. Di questo tratta la responsabilità. Di conoscerle.

 

(*) Sociologo argentino, scrittore e  analista senior del Centro Latinoamericano di Analisi Strategica (CLAE)

Da: surysur.net; 5.5.2019

 

 

(traduzione di Daniela Trollio Centro di Iniziativa Proletaria “G.Tagarelli” Via Magenta 88, Sesto S.Giovanni)

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