VENTI DI GUERRA

Quando la parodia diventa tragedia

di Noam Chomsky (+); da: jornada.unam.mx; sett. 2012

 

Non è facile uscire dalla nostra pelle e vedere il mondo in modo diverso da come ci si presenta giorno per giorno. Ma è utile provare a farlo. Facciamo alcuni esempi.  

I tamburi di guerra stanno risuonando sempre più forte rispetto all’Iran. Immaginiamo di capovolgere la situazione.  L’Iran sta combattendo una mortifera e distruttiva guerra a bassa intensità contro Israele, con la partecipazione delle grandi potenze. I suoi leaders annunciano che le negoziazioni non stanno dando alcun risultato. Israele rifiuta di firmare il trattato di non proliferazione nucleare e di permettere le ispezioni, come ha fatto l’Iran. Israele continua a rifiutare le pressanti richieste internazionali di stabilire una zona de-nuclearizzata nella regione.

Durante tutto questo processo l’Iran ha l’appoggio del suo padrino, la superpotenza.

I leaders iraniani annunciano allora la loro intenzione di bombardare Israele. Noti analisti militari iraniani segnalano che l’attacco potrebbe avvenire prima delle elezioni negli Stati Uniti.

L’Iran può utilizzare la sua possente forza aerea e i nuovi sottomarini inviati dalla Germania, armati di missili nucleari e ancorati davanti alle coste di Israele. Qualunque sia il calendario, l’Iran conta sul fatto che la superpotenza che lo appoggia partecipi all’attacco, anche se non intende guidarlo. Leon Panetta, segretario statunitense alla Difesa, dichiara che anche se non è a favore di un attacco di questa natura, l’Iran – in quanto paese sovrano – può agire come meglio gli conviene.

 

Tutto questo, naturalmente, è impensabile anche se di fatto sta succedendo, ma con i personaggi invertiti. E’ vero, le analogie non sono mai giuste e questa è ingiusta … verso l’Iran.

 

Come il suo padrino, Israele ricorre a volontà alla violenza. Continua a creare insediamenti illegali nei territori occupati, alcuni dei quali già annessi, sfidando apertamente il diritto internazionale e il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite. In varie occasioni ha lanciato brutali attacchi contro il Libano e contro l’imprigionata popolazione di Gaza, uccidendo decine di migliaia di persone senza alcun pretesto credibile.

 

Trent’anni fa Israele distrusse un reattore nucleare iracheno, atto che ha ricevuto recentemente encomi, che hanno ignorato le solide prove, provenienti anche dai servizi segreti statunitensi, del fatto che questo bombardamento non mise fine al programma di armamenti nucleari di Saddam Hussein, ma anzi ne fu l’inizio.

Il bombardamento dell’Iran potrebbe avere lo stesso effetto.

 

Anche l’Iran ha lanciato aggressioni, ma negli ultimi secoli lo ha fatto solo durante il regime della Scià, che aveva l’appoggio degli Stati Uniti, quando conquistò le isole arabe del Golfo Persico.

L’Iran iniziò il suo programma di sviluppo nucleare con lo Scià, con il forte appoggio ufficiale degli Stati Uniti.

Il governo iraniano è brutale e repressivo, come lo sono gli alleati di Washington nella regione. Il suo alleato più importante, l’Arabia Saudita, è il regime fondamentalista islamico più estremo e spende enormi fortune per diffondere le dottrine radicali waabite in altri paesi della regione. Le dittature del Golfo Persico, anch’esse alleati favoriti dagli Stati Uniti, hanno duramente represso ogni tentativo popolare di partecipazione alla primavera araba.

 

Il Movimento dei Paesi Non Allineati – i governi della maggioranza della popolazione mondiale – si è riunito recentemente a Teheran. Il gruppo ha sostenuto calorosamente il diritto dell’Iran ad arricchire uranio e alcuni dei suoi membri, come l’India ad esempio, applicano il duro programma di sanzioni statunitensi solo parzialmente e di mala voglia.

I delegati del Movimento dei Paesi Non Allineati riconoscono la minaccia che domina la discussione in Occidente, descritta lucidamente dal generale Lee Butler, ex capo del comando strategico degli Stati Uniti: “E’ estremamente pericoloso che, nel calderone di animosità che chiamiamo Medio Oriente, una nazione si doti di armi nucleari, cosa che ispira le altre nazioni a fare lo stesso”.

 

Butler non si riferiva all’Iran ma a Israele, che nei paesi arabi e anche in Europa viene considerato la maggiore minaccia alla pace nella regione. Nel mondo arabo, gli Stati Uniti sono classificati al secondo posto nella categoria delle minacce mentre l’Iran, anche se non piace, provoca molta meno paura. Effettivamente molte ricerche segnalano che la maggioranza della popolazione araba considera che la regione sarebbe più sicura se l’Iran possedesse armi nucleari per contrastare le minacce che essa percepisce.

Se l’Iran sta avanzando nel dotarsi di armi nucleari – cosa che finora i servizi segreti statunitensi non riconoscono – questo può essere in conseguenza delle minacce israeliane e statunitensi, pronunciate sistematicamente in violazione aperta della Carta delle Nazioni Unite.

 

Perché, allora, il discorso ufficiale occidentale presenta l’Iran come la più grande minaccia per la pace mondiale? La ragione principale è ammessa dalle forze armate e dai servizi segreti statunitensi e israeliani: l’Iran potrebbe dissuadere gli Stati Uniti e Israele dal ricorso alla forza.

Ancor di più l’Iran deve essere castigato per la sua vittoriosa ribellione, la stessa accusa di Washington contro Cuba da mezzo secolo, e che continua ad essere la forza motrice degli attacchi statunitensi contro l’isola, nonostante le condanne internazionali.

 

Altri eventi da prima pagina dei giornali potrebbero chiarirsi se li vedessimo da un'altra prospettiva.

Supponiamo che Julian Assange avesse pubblicato documenti russi, che rivelavano informazioni importanti che Mosca avrebbe voluto occultare al pubblico, e che le altre circostanze siano uguali.

La Svezia non avrebbe ripensamenti nel realizzare il suo unico interesse dichiarato, accettando l’offerta di interrogare Assange a Londra. Dichiarerebbe che se il fondatore di Wikileaks ritornasse in Svezia (come lui stesso ha accettato di fare) non verrebbe estradato in Russia, dove sarebbero assai scarse le possibilità di avere un giusto processo.

 

Alla Svezia andrebbe il riconoscimento dell’agire secondo i suoi principi. Julian Assange sarebbe elogiato per aver fatto un pubblico servizio; il che naturalmente non farebbe cessare la necessità di valutare le accuse contro di lui tanto seriamente quanto in altri casi simili.

 

La notizia più importante del giorno negli Stati Uniti sono le elezioni.

Louis Brandeis, giudice della Suprema Corte statunitense, ne ha dato una prospettiva molto appropriata con queste parole: “In questo paese possiamo avere la democrazia, o possiamo avere la ricchezza concentrata nelle mani di alcuni, ma non possiamo avere le due cose nello stesso tempo”.

Guidata da questa prospettiva la copertura delle elezioni presidenziali dovrebbe concentrarsi sull’effetto della ricchezza nella politica, analizzato ampiamente nel recente studio di Martin Gilens, Prosperità e influenza: la disuguaglianza economica e la forza politica negli Stati Uniti. Egli ha riscontrato che la grande maggioranza è incapace di influire sulla politica del governo quando le sue preferenze divergono da quelle dei ricchi, i quali invece ottengono quello che vogliono quando interessa loro.

Non c’è quindi da sorprendersi che, in una recente classificazione dei 31 membri dell’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico, gli Stati Uniti si trovino al 27° posto in termini di giustizia sociale, nonostante i loro straordinari vantaggi.

 

Naturalmente il trattamento razionale dei fatti tende a svaporare nelle campagne elettorali, in modo che a volte sembrano sfociare in commedia.

Per fare un esempio, Paul Krugman assicura che il tanto ammirato Gran Pensatore del Partito Repubblicano – Paul Ryan – ha rivelato di aver tratto le sue idee sul sistema finanziario da un personaggio di un romanzo di fantasia – Atlas Shrugged, di Ayn Rand – che suggerisce l’uso di monete d’oro al posto della carta moneta.

Ci manca solo di ispirarci ad uno scrittore davvero importante, Jonathan Swift.

Nei Viaggi di Gulliver, i saggi di Lagado portano sé addosso tutte le loro proprietà, che utilizzano nei loro traffici senza i fastidi dell’oro.

Allora l’economia e la democrazia potrebbero davvero fiorire. E, meglio ancora, le disuguaglianze si ridurrebbero notevolmente, il che sarebbe un regalo per lo spirito del giudice Brandeis.

(*) Professore emerito di Linguistica e Filosofia al Massachusetts Institute of Technology (MIT) di Cambridge.

 

(traduzione di Daniela Trollio

Centro di Iniziativa Proletaria “G.Tagarelli”

Via Magenta 88, Sesto S.Giovanni)

 

 

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