Sindacalismo e Consigli in Gramsci: Storia e Attualità

Generalmente si tende a vedere il movimento operaio esclusivamente nelle sue forme di organizzazione classiche: il partito e il sindacato. Questa visione parziale, antidialettica, ha portato a bollare come anarchico ogni tentativo di organizzazione di massa indipendente della classe operaia, soprattutto quelle forme che uscivano dagli schemi precostituiti dal PCI e dalla CGIL.

In tal senso il revisionismo del PCI di Togliatti, travisando il pensiero e l’azione rivoluzionaria di Gramsci, ha cercato di farlo passare come il padre del riformismo italiano.

In realtà Antonio Gramsci, come tutti i rivoluzionari, ha saputo unire dialetticamente realtà ed utopia, unendo il realismo al diritto di sognare del rivoluzionario, senza rinunciare ai principi, come dimostra la sua vita fino alla morte nelle carceri fasciste.

Gramsci nei sui scritti e nella sua azione ha sempre teso a chiarire ed interpretare i fatti importanti della realtà sociale nella quale era immerso e che voleva trasformare.

 

 

La posizione di Gramsci

 

Dopo la fine della prima Guerra Mondiale, le avanguardie operaie torinesi dirette da Gramsci, Terracini, Tasca e Togliatti, fondarono il giornale ” Ordine Nuovo”. Lo scopo dell’attività redazionale era quello dell’agitazione dei problemi relativi all’organizzazione rivoluzionaria della classe, in modo da coinvolgerla e renderla protagonista della battaglia per il controllo della produzione e per l’autogestione delle fabbriche, l’argomento in quel momento più discusso nelle riunioni operaie e sulla stampa socialista. Si trattava, sostanzialmente per Gramsci, di portare la lotta economica “ dal campo grettamente corporativistico e riformista, sul terreno della lotta rivoluzionaria “.

Infatti, per Gramsci il sindacato “…è la forma che la merce forza-lavoro assume e sola può assumere in regime capitalista, quando si organizza per dominare il mercato…” (L’Ordine Nuovo, 15 giugno 1920 ).

“…Esso costringe l’ imprenditore ad accettare una legalità nei suoi rapporti con l’operaio, legalità che è condizionata dalla fiducia che l’imprenditore ha nella solvibilità del sindacato di ottenere da parte delle masse operaie il rispetto degli obblighi contratti.”

Così, per Gramsci, mentre il sindacato è un elemento della legalità e si propone di farla rispettare ai suoi organizzati, il Consiglio è la negazione della legalità industriale.

Secondo Gramsci il consiglio tende per la sua spontaneità rivoluzionaria a scatenare in ogni momento la guerra tra le classi. Perciò i Comitati Operai che già esistevano, e che erano stati anche riconosciuti dai capitalisti, dovevano, nel giudizio di Gramsci, trasformarsi in veri e propri organi rivoluzionari, sull’esempio dei Soviet, esercitando il controllo della produzione ed assolvendo allo stesso tempo al compito di preparazione politica, tecnica e militare del proletariato.

Da questo deriva che, nella concezione gramsciana, il movimento dei consigli è stato il primo tentativo da parte della classe operaia italiana, in una fase di acuta crisi italiana e internazionale come fu quella del 1912-1920, di porsi come classe dirigente gettando- attraverso il controllo operaio- “…le basi del processo rivoluzionario nell’interno della vita produttiva”. Tale concezione si radicò nella classe operaia, tanto che “ gli scioperi persero il loro carattere impulsivo, fortuito e divennero l’ espressione dell’ attività cosciente delle masse rivoluzionarie

In Lenin e nello scritto di Marx sulla Comune di Parigi, egli ritrova le premesse teoriche maggiori dell’innovazione sovietica russa e della variante consigliare italiana. Afferma infatti: “ I comunisti russi sulle tracce di Marx, ricongiungono il Soviet alla Comune di Parigi…I rilievi di Marx sul carattere “ industriale “ della Comune erano serviti ai comunisti russi per comprendere il Soviet, per elaborare l’ idea Soviet…”. La Comune ed il Soviet sono quindi due forme che sottendono il medesimo contenuto, ossia strumenti che hanno come fine la partecipazione diretta ed effettiva dei lavoratori alla direzione del governo (i Consigli), che perciò può nascere e vivere solo nei posti di

lavoro (nella fabbrica come nel campo). In questi nuovi organismi proletari “l’operaio, entra a far parte come produttore, in conseguenza cioè di un suo carattere universale, in conseguenza della sua posizione e della sua funzione nella società, allo stesso modo che il cittadino entra a far parte dello stato democratico parlamentare “:

L’azione del gruppo “ordinovinista“ si scontrò non solo con l’ intransigenza dei padroni, ma anche con l’opportunismo della direzione del PSI. Infatti, “ i componenti la direzione del partito si rifiutarono sempre di prendere l’ iniziativa di un’ azione rivoluzionaria, prima che fosse attuato un piano d’ azione coordinato: ma non facevano mai nulla per preparare ed elaborare questo piano “.

D’altronde Turati, capo della corrente riformista, immaginava i Soviet come l’“Orda “ barbarica, mentre i massimalisti lo concepivano come un luogo in cui progettare statuti, pianificare processi in cui “ogni cosa era esattamente prevista, salvo la realtà nella quale la classe che produce e deve liberarsi si muoveva: il lavoro“. La frazione comunista dell’“Ordine Nuovo“ fu in pratica circondata e costretta a muoversi solo nello specifico ambito torinese. Ricorda Gramsci: “tutto il meccanismo burocratico dei sindacati venne messo in moto per impedire che le masse operaie delle altri parti d’Italia seguissero l’ esempio di Torino“.

Per questo, quando nell’ agosto-settembre del 1920 gli operai torinesi occuparono le fabbriche assumendone il controllo (seguendo l’ esempio dei compagni milanesi che avevano già in mano 280 fabbriche), il PSI e la CGIL boicottarono Gramsci e i suoi compagni, formando un “cordone sanitario“ intorno alla città e dando il via libera alla reazione capitalistica. Ciò comunque non impedì lo svilupparsi di molteplici casi di solidarietà militante del proletariato nel resto d’Italia, con scioperi indetti contro la volontà sindacale, a dimostrazione che l’unità fra operai, salariati agricoli e contadini poveri, teorizzata e auspicata da Gramsci, era praticabile.

La polemica di Bordiga

 

Simile a quella dell’”Ordine Nuovo” era la posizione della frazione comunista del PSI con sede a Napoli, diretta da Amedeo Bordiga. Quest’ultimo convergeva nelle critica alla deriva del Partito, indicando l’ineluttabilità della rottura sia con il massimalismo chiacchierone sia coi riformisti di Turati, dando vita ad un vero partito rivoluzionario in grado di dirigere la classe operaia alla conquista del potere. (Ricordiamo che proprio i due gruppi legati a Bordiga e a Gramsci costituiranno il nucleo fondatore del P C d’ I. nato nel gennaio 1921 da una scissione dal PSI).

Per Bordiga il Soviet in Russia esercitava funzioni sia politiche che economiche. Quelle politiche consistevano nella lotta contro la borghesia fino alla totale eliminazione. Quelle economiche nella creazione di tutto il nuovo meccanismo della produzione comunista. In un primo tempo, durante la lotta contro il potere borghese, l’ attività politica è la più importante, poi lo diventa quella economica. Due “reti“ che di fatto portano alla scissione del proletariato in due categorie: elettore in politica e forza produttiva in economia.Una scissione fra l’elemento economico e quello politico che ricalca la natura democratica-borghese del sistema politico ed elettorale vigente nel capitalismo. A sostegno di questa tesi, Bordiga, nell’articolo “Il sistema di rappresentanza comunista“ concepisce il Soviet come un organo statale, che investe le masse dall’esterno, attraverso un meccanismo elettorale sì interdetto ai borghesi ma che sostanzialmente riprende il traballante sistema rappresentativo liberale: i seggi elettorali divisi per territorio (circoscrizioni di città e provincia) e non per squadre di reparto, cioè radicate nell’ambito della produzione, nella fabbrica. In realtà il fine dell’azione consigliare è proprio quello di eliminare ogni divisione fra il momento della politica e quello dell’economia.

Per Bordiga, il vero strumento della lotta di liberazione del proletariato è il “Partito di classe Comunista“. I consigli, in regime borghese, possono essere solo organismi entro i quali lavora il Partito Comunista. Per Bordiga, dire che i consigli di fabbrica sono organi di liberazione del proletariato senza parlare della funzione del partito, come avvenne nel congresso di Bologna del PSI, è un grave errore.

Bordiga critica Gramsci e i compagni dell’ Ordine Nuovo, perché ritiene che la loro concezione

che i consigli operai prima ancora della caduta della borghesia siano già organi, non solo di lotta politica, ma di allestimento ecomico-tecnico del sistema comunista, è in ultima analisi una concezione gradualista e riformista…”

Secondo Bordiga, l’errore che i compagni dell’Ordine Nuovo fanno è quello di sostenere “… che il proletariato possa emanciparsi guadagnando terreno nei rapporti economici, mentre il capitalismo detiene con lo stato il potere politico”(articoli pubblicati sul Soviet, giornale della frazione bordighiana del 4 gennaio e del 1-8-22 febbraio 1920.)

Per Bordiga, dunque, è insensato parlare di controllo operaio fino a che il potere politico è nelle mani della borghesia e non del proletariato.

Anche se Bordiga concorda con Gramsci che i CdF, ad un certo stadio, possano costituire un terreno adatto per la lotta rivoluzionaria che il partito conduce, egli afferma le differenze fra i Soviet in Russia e il movimento dei Soviet in Italia, dal momento che nel 1920, durante il movimento dei consigli, il partito comunista in Italia non c’è ancora, e perciò ritiene che “ …è molto più urgente il problema di avere in Italia un vero Partito Comunista, che quello di creare i Soviet”.

 

I Consigli e il fascismo

 

Per Gramsci il periodo storico è rivoluzionario a livello internazionale. Egli, pur ponendo come prioritaria la lotta per la costruzione del partito comunista, a cui partecipa attivamente, ritiene che i comunisti ed i rivoluzionari devono sostenere i C.d.F., perché la classe operaia in tutte le nazioni tende a creare, pur tra errori e tentennamenti tipici di una classe oppressa che lotta per liberarsi, ad esprimere dal suo seno organismi di tipo nuovo; istituti a base rappresentativa.(vedi l’ Ordine Nuovo del 5 giugno 1920)

L’avvento del fascismo in Italia da, anzi, nuova linfa alla teoria consigliare di Gramsci, soprattutto in relazione allo sviluppo dell’azione e dell’ organizzazione del Partito Comunista nato dalla scissione di Livorno. Per Gramsci, la lotta contro il regime di Mussolini doveva portare all’ instaurazione della dittatura del proletaria; ma per far questo la classe operaia doveva dar vita a propri organismi di massa autonomi, aperti a tutti i proletari senza distinzioni politiche.

Questi Comitati operai e contadini dovevano organizzare le masse estromettendo i partiti non proletari da qualsiasi possibilità di esercitare qualunque influenza. Per questo il PCd’I nel 1925 passa alla parola d’ordine della Assemblea Repubblicana sulla base dei Comitati operai e contadini. Nel contempo nelle Tesi di Lione, Gramsci sostiene la necessità per i comunisti di dotarsi nei luoghi di lavoro di una loro organizzazione autonoma, la cellula, il cui compito è di fornire al partito lo strumento “per dirigere il movimento di massa della classe operaia, la quale viene naturalmente unificata dallo sviluppo del capitalismo secondo il processo di produzione “.

 

La posizione degli industriali sui Consigli di Fabbrica

 

Il 15 maggio del 1920, l’Ordine Nuovo pubblica uno stralcio di una relazione tenuta da Gino Olivetti, segretario generale della Confindustria, ad un convegno nazionale di industriali: “Il movimento dei Consigli di Fabbrica è sorto recentemente a Torino – l’ esempio non è stato finora seguito da altre regioni – come trasformazione delle Commissioni Interne, a cui gli operai attribuiscono il difetto di non bastare alla somma di lavoro che grava su di esse e di essere insufficienti a tutelare gli interessi di tutte le categorie operaie che lavorano in officina.

I Consigli di Fabbrica sono composti dai Commissari di reparto, nominati in ogni reparto dalle squadre. Nelle elezioni hanno diritto di voto tutti i proletari della fabbrica, intellettuali e manuali, organizzati o no. I non organizzati non sono però eleggibili. Il Consiglio di Fabbrica, per l’esecuzione delle sue deliberazioni e per trattare con la direzione nomina un commissario esecutivo”.

Per contrastare il dualismo di potere venuto a crearsi nelle fabbriche torinesi, Olivetti nella sua relazione arriva alle seguenti conclusioni: “…Sino a quando, per atto di legislazione non venga stabilito un regime comunista non è ammissibile l’introduzione dei consigli operai, i quali pretendono di esercitare anche nell’officina in contrapposto e anche solo indipendente dalla direzione di essa un potere proprio, sia pur limitato ad alcuni punti”.

Pertanto si vietava la costituzione dei consigli di fabbrica, perché Gino Olivetti riteneva che:

“…non è cioè possibile che nelle officine si costituisca un organismo il quale voglia e possa agire e decidere all’infuori e, sotto un certo aspetto, al di sopra degli organi direttivi delle fabbriche”.

 

La situazione attuale

 

Questo dibattito, per quanto datato, continua a mantenere una sua attualità, perché alcuni giudizi sul sindacato e sul partito e sugli organismi proletari si riconfermano.

Da tempo il sindacato ufficiale (CGIL-CISL-UIL) è diventato un sindacato che accetta che la propria autonomia si riduca all’individuazione dei criteri locali su cui stabilire aumenti salariali sempre legati alla produttività aziendale.

Un sindacato che con la riforma del sistema pensionistico e con i soldi dei lavoratori si trasforma in modo sempre più evidente da “semplice” organismo di rappresentanza a vera e propria struttura economica imprenditoriale. Anche per quanto riguarda le altre forme di organizzazione proletaria alcune cose sono cambiate.

Generalmente si tende a contrapporre il CdF alle RSU (Rappresentanze Sindacali Unitarie) affermando che il CdF era una forma democratica, mentre la RSU, garantendo un terzo dei delegati a CGIL-CISL-UIL, sono antidemocratiche; ma questo è vero solo in parte. Nel 1968, la forte spinta di lotta dovuta alla necessità di difendersi dagli attacchi padronali, portò gli operai della Pirelli Bicocca di Milano a riconoscersi nel CUB (Comitato Unitario di Base). Questa forma di“autorganizzazione” si conquistò con le lotte un grandissimo riconoscimento da parte dei lavoratori. Il CUB Pirelli aveva militanti di varia estrazione politica, riconosciuti da tutti i lavoratori della fabbrica, ma era presente solo in alcuni punti del processo produttivo ed in pochi uffici. Il CUB era uno strumento di lotta e di rappresentanza della parte più combattiva dei lavoratori. Ebbene, la nascita del primo Consiglio di Fabbrica, seppur in apparenza nella forma era più democratico del CUB, perché rappresentava tutti i settori, e i reparti con i gruppi omogenei, fu in realtà un modo per togliere terreno ed influenza politica e sindacale al CUB. Il PCI ed il sindacato(CGIL-CISL-UIL) attraverso l’azione dei loro uomini che furono eletti nel CdF, ripresero “democraticamente” il controllo del movimento operaio, comprimendo le lotte.

L’organizzazione non è mai un fine, essa è sempre un mezzo funzionale e va adeguata alle forme di lotta e agli obiettivi che si perseguono.

Un’organizzazione che non mette in discussione con la lotta il capitalismo, l’imperialismo,la proprietà privata dei mezzi di produzione, cioè il sistema economico basato sullo sfruttamento che produce fame, miseria, guerre, morti sul lavoro e di lavoro, persegue oggettivamente una logica riformista.

L’esperienza dei Consigli di Fabbrica dal 1969 fino alla fine degli anni ’80, che prevedeva l’eleggibilità di tutti i lavoratori (iscritti e non iscritti al sindacato) è stata cancellata.

La crisi del sindacato confederale e dei partiti di sinistra (prima PCI, poi PDS-DS e PRC) ha aperto larghe maglie sempre più nel controllo della classe operaia, e questo ha rappresentato un grave campanello d’allarme per le associazioni padronali. Anche se nel CdF si praticava la democrazia borghese rappresentativa (una testa un voto), i padroni non dormivano sonni tranquilli. Sempre più lavoratori venivano eletti nei CdF fuori dal controllo dei sindacati confederali e dei partiti parlamentari, elevando il pericolo di conflittualità.

Lo scioglimento dei CdF e l’istituzione per legge delle RSU, con un terzo dei delegati assicurati in partenza a CGIL-CISL-UIL, è stata la risposta istituzionale per riprendere il controllo sul movimento operaio.



Necessità della costruzione del Partito Comunista e degli organismi proletari anticapitalisti

 

La causa reale della crisi mondiale sta nella proprietà privata dei mezzi di produzione e nell’aumento della produttività del lavoro.

L’assurdo del sistema capitalista è che i lavoratori vengono licenziati non per mancanza di lavoro, ma per aver lavorato troppo. Gli scontri tra destra e sinistra della borghesia imperialista italiana vertono unicamente sulle diverse strade da scegliere per rendere più competitivo il “sistema Italia”.

La lotta è fra destra e sinistra interne alla gestione borghese della crisi. Gli schieramenti di centrodestra e centrosinistra (compreso il PRC) non sono schieramenti di classi avversarie che si combattono con strategie contrapposte, per l’instaurazione di diversi modelli di società, ma solo due varianti dello stesso imperialismo italiano.

Lo scontro reale, di classe, avviene tra l’economia del profitto, basata sullo sfruttamento dell’uomo sull’uomo, ed economia basata sulla produzione destinata a soddisfare i bisogni dell’uomo.

Il rilancio dell’iniziativa di classe si potrà ottenere solo con la difesa intransigente delle proprie condizioni di vita e di lavoro, contro ogni compatibilità aziendale e nazionale.

L’andamento cronico della crisi produrrà, necessariamente, un acuirsi dei contrasti sociali fra il proletariato e la borghesia. Non sarà un processo indolore né automatico, ma già oggi il proletariato sta sperimentando a proprie spese il significato dell’influenza delle politiche interclassiste e della subalternità democratica al capitale, che hanno comportato un aumento delle rendite e dei profitti a scapito dei salari.

Se per i proletari “l’economia nazionale” significa maggior sfruttamento, peggioramento delle condizioni di vita, riduzione del salario, distruzione ambientale, precarietà e guerra, la ripresa della lotta di classe significa possibilità di difendersi.

L’unità, la ricomposizione proletaria sulla base dell’anticapitalismo e dell’antimperialismo, è una conquista che rafforza la classe in quanto le permette di superare le divisioni interne convogliando tutte la forze nella lotta contro il comune nemico: il sistema della schiavitù salariata.

Il capitalismo nell’epoca della globalizzazione imperialista dimostra sempre più che la necessità del Partito Comunista, di un movimento comunista internazionale della classe operaia, e della creazione di organismi proletari anticapitalisti è più attuale che mai.

La trasformazione dei sindacati confederali in sindacati di regime, da una parte comporta una epurazione delle avanguardie rivoluzionarie, dall’altra costringe sempre più lavoratori coscienti ad allontanarsi da essi. Anche se la maggioranza della classe operaia sindacalizzata è ancora rappresentata e influenzata, in senso borghese, dai sindacati confederali, e in particolare dalla CGIL, nella lotta i vecchi equilibri si rompono e cambiano, come la lotta degli autoferrotramvieri e quella più recente dei metalmeccanici ha dimostrato.

La classe operaia può sperare di resistere e di poter passare successivamente al contrattacco solo ritrovando la via di un processo unitario contro localismi, settorialismi, corporativismi, assumendo in termini critici il superamento della logica che individua - in un generico antagonismo al sistema capitalista - una diversa distribuzione di lavoro e reddito. Posizione che, se da un lato presuppone una capacità in termini di “potere” da parte della classe operaia, dall’altra non pone minimamente in discussione le basi su cui regge la divisione in classi, essenza del sistema dello sfruttamento dell’uomo sull’uomo.

Per dirla con Gramsci, insieme alla costruzione di organismi proletari anticapitalisti, ancora oggi abbiamo la necessità della costruzione di un “Partito Comunista organizzazione politica dei rivoluzionari, cioè dell’avanguardia del proletariato” che abbia “ la capacità di dirigere la classe è in relazione non al fatto che il partito si proclami l’organo rivoluzionario di essa, ma al fatto che esso effettivamente riesca, come una parte della classe operaia, a collegarsi con tutte le sezioni della classe stessa e a imprimere alla massa un movimento nella direzione desiderata e favorita dalle condizioni oggettive”. (Tesi sulla situazione italiana e i compiti del Partito Comunista- gennaio 1926).

 

 

Michele Michelino

Centro di Iniziativa Proletaria “G. Tagarelli”

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