Ottobre nero: lavoro mortale

Continua inarrestabile la strage di operai morti sul lavoro e di lavoro

Michele Michelino

Fra giovedì 2 e venerdì 3 ottobre 2008, 12 lavoratori - dal nord al sud dell’Italia - hanno perso la vita mentre lavoravano per un tozzo di pane.

Il 17 ottobre 2008, mentre decine di migliaia di lavoratori in tutta Italia partecipavano allo sciopero generale contro il governo ed i padroni indetto dai sindacati di base, dalla Sicilia al Veneto altri 9 operai venivano uccisi sui posti dal lavoro dalla voracità del profitto.

Nel primo caso la risposta dei sindacati confederali è stata un’ora di sciopero, nel secondo un ennesimo lamento.

 

Ma chi sono i lavoratori morti? Dietro ai numeri, alle vite recise, ci sono degli esseri umani con i loro affetti, le loro famiglie che perdono i loro cari e il diritto ad una vita decente.

Li vogliamo ricordare con nome e cognome.

A Ragusa; Giuseppe Tumino, 38 anni, dipendente della Gisa, una piccola fabbrica di dolciumi, trovato con il torace sfondato intorno alla mezzanotte, 5 ore dopo la fine del suo turno di lavoro.

A Casoria: Guido Palumbo, perdeva la vita cadendo da una scala mentre lavora in un’officina.

A Battipaglia: Massimiliano Strifezza di 33 anni restava schiacciato da un pannello di copertura di un capannone industriale.

A Roveleto di Cadeo (Pc): Luan Qosya, albanese di 38 anni, rimaneva folgorato mentre lavorava su una piattaforma di otto metri.

A San Vitale Baganza (Pr): Giuseppe Tabone, 57 anni, è morto cadendo da un ponteggio di sei metri mentre lavorava alla ristrutturazione di una casa.

A Barile (Pz): Mauro Strozza, di 56 anni, veniva travolto da un trattore.

A Subbiano (Ar): Luca Cerofolini, 30 anni, è rimasto schiacciato dal tronco che stava tagliando con la motosega.

Ad Ariole(Vr): Hind Larabi, 21 anni, marocchina, è morta sotto una catasta di ferro caduta dal muletto che guidava il fidanzato che era andata a trovare in fabbrica.

Nel Casertano, un operaio rumeno di 21 anni di cui non conosciamo il nome, è rimasto schiacciato da lastre di marmo cadute da una gru.

 

La voracità del profitto non si ferma davanti a niente: nel novembre 2006 - nell’esplosione della ditta Umbria Olii di Campello sul Clitumno - morirono bruciati 4 operai, e il titolare della ditta ha avuto la sfrontatezza di chiedere ai familiari delle vittime, agli eredi, bambini compresi, 35 milioni di euro per risarcimento danni.

Davanti a questa continua mattanza di operai, ormai, governo, Confindustria, sindacati e istituzioni non vanno oltre le frasi di circostanza.

 

In Italia ogni giorno 2.500 lavoratori subiscono infortuni sul lavoro, più di tre perdono la vita ogni giorno (che probabilmente salirebbero a 10 e più se le statistiche tenessero conto anche degli oltre 3 milioni e 500 mila lavoratori (stranieri e italiani costretti a lavorare in nero), mentre migliaia rimangono invalidi permanenti.

Se a questi dati aggiungiamo le malattie professionali, molte delle quali sono condanne a morte diluite nel tempo come dimostrano gli oltre 5.000 lavoratori che perdono la vita ogni anno a causa dei tumori derivanti dall’amianto, si vede come ci sia in atto una vera e propria guerra di classe scatenata dal capitale in cui i morti e i feriti sono tutti da una sola parte.

L’Inail - pur essendo una assicurazione pubblica, con dirigenti che provengono in gran parte dal mondo sindacale - si comporta spesso peggio di un’assicurazione privata, usando i soldi dei lavoratori per altri scopi che nulla centrano con la missione per cui è nato questo istituto.

In Europa si registrano 300 mila vittime ogni anno, 1.000 al giorno.

I dati anticipati in questi giorni dal Coordinatore europeo dell’Organizzazione Mondiale della Sanità Kokho Kim dicono che sono 27 mila i “cittadini europei” che ogni anno muoiono sul lavoro, cifra che aggiunti ai morti di lavoro e di malattie professionali - portano il numero a 300 mila.

 

Davanti alla brutalità delle cifre dovute allo sfruttamento capitalista, il Presidente del Senato Italiano Renato Schifani, facendosi portavoce della Confindustria, non ha esitazioni a puntare il dito contro gli operai ed i lavoratori, addossando loro la colpa e assolvendo i padroni. Intanto l’OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità) per bocca di Kim non ha esitazioni a dire che “la responsabilità principale è dei datori di lavoro che non hanno applicato le normative in materia di sicurezza sui lavoratori” e che “ quando si tratta di tagliare la spesa, non esitano, a partire da quelle legate alla sicurezza”.

I padroni ed i sindacati collaborazionisti ( CGIL-CISL-UIL-UGL ), che ritengono legittimo e necessario per “l’azienda Italia” lo sfruttamento capitalista, si riempiono la bocca con frasi altisonanti come “sicurezza”, “L.626”, “Testo Unico” solo a patto che non ostacolino i profitti facendo diventare un “business” anche i corsi sulla sicurezza dei lavoratori.

Dopo i morti della Thissenkrupp e la campagna elettorale dell’ aprile 2007, in cui per accaparrarsi anche i voti degli operai tutti i partiti scoprivano i morti sul lavoro e parlavano della fatica di arrivare alla fine del mese per i lavoratori e i pensionati proletari che non arrivano alla quarta settimana, ora - passate le elezioni - si sono dimenticati di tutto ciò.

L’Italia continua a detenere il triste primato in Europa dei morti sul lavoro e di lavoro, ma i morti sul lavoro ormai non fanno più notizia e ai padroni e ai loro reggicoda danno addirittura fastidio. Tutt’al più gli si dedica qualche trafiletto nelle pagine interne dei giornali e quando si parla degli operai, dei lavoratori, è solo per insultarli, considerandoli “fannulloni”, “assenteisti”, che non producono abbastanza e non si fanno abbastanza carico dei problemi dei padroni e dell’economia in crisi. E’ questo ciò che contano i lavoratori nella democrazia borghese.

 

Da “nuova unità” n. 7/2008