Conferenza Internazionale contro le Basi Militari Straniere - Avana 7-10 novembre 2005

Relazione di Michele Michelino

Necessità dell’unità internazionale dei proletari e dei popoli oppressi nella lotta contro il capitalismo e l’imperialismo – Un’analisi che parte dall’esperienza italiana


 

 

INTERNAZIONALISMO E SOLIDARIETA’ DI CLASSE

In questo secolo l’umanità è cresciuta di 4 volte (la popolazione ha superato i 6 miliardi) e ormai sono centinaia di milioni le persone che soffrono la fame, la sete, la voglia di riscatto e di giustizia.

Sull’intera popolazione mondiale, quasi 3 miliardi di persone sono considerate "forza lavoro". Di queste il 30% (meno di 1 miliardo) è considerato disoccupato. Dei poco più di 2 miliardi di "popolazione attiva" solo il 40% ha un’occupazione "garantita e protetta" legalmente, mentre il restante 60% lavora in condizioni irregolari e precarie. Esistono quindi nel mondo 3 miliardi di persone (di cui quasi un miliardo direttamente coinvolto nel processo di trasformazione industriale, cioè la cara e vecchia "classe operaia") che per vivere devono continuamente vendere la propria capacità lavorativa (dati O.I.L. Organizzazione Internazionale del Lavoro - Ginevra).

Secondo il Transnational Institute, oggi nel mondo ci sono 40.000 multinazionali e le prime 100 di queste controllano direttamente i 2/3 del commercio mondiale. Gli investimenti finiscono per tre quarti nel nord del mondo e per un quarto in una decina di paesi del sud. Ormai ad un aumento di produttività non corrisponde più alcuna crescita dell’occupazione. Assistiamo quotidianamente al fatto che più le imprese multinazionali licenziano i lavoratori e più vedono aumentare il valore delle loro azioni.

La sovrapproduzione di capitali ha raggiunto cifre pazzesche, innescando nel sistema mondiale una bomba ad orologeria pronta ad esplodere da un momento all’altro, di cui le ricorrenti crisi delle Borse sono solo la spia.

Nei mercati finanziari mondiali ogni giorno vengono fatti circolare 2.000 miliardi di dollari. Di questi, solo una parte infinitesimale corrisponde a transazioni commerciali o a investimenti produttivi. Nel 1997- su 100 dollari trattati in valuta - solo 2 dollari e mezzo avevano qualcosa da spartire con lo scambio di beni e servizi. Vent’anni fa l’80% delle masse finanziarie aveva a che fare con l’economia reale e riguardava aspetti produttivi, oggi invece il 95% del denaro non ha nulla a che vedere con cose concrete.

Ormai questa enorme massa di denaro non produce alcun giovamento alla società, e quando esplodono crisi come quella del Sud-Est asiatico del 1998, o quella argentina del 2000, il Fondo Monetario Internazionale interviene non per salvare le popolazioni affamate di quei paesi, bensì i grandi speculatori finanziari.

Agli ordini del mercato, lo stato viene privatizzato sempre più. Le campagne sull’inefficienza e sulla corruzione montate dai capitalisti hanno lo scopo di rendere possibile realizzare le privatizzazioni con il consenso di una parte dell’opinione pubblica e con l’indifferenza di un’altra parte.

Gli stati del Terzo Mondo più pagano più sono in debito, e più sono costretti ad obbedire all’ordine di smantellare lo stato sociale, ipotecare l’indipendenza politica e alienare l"economia nazionale.

La Banca Mondiale e il Fondo Monetario Internazionale rispondono solo agli interessi delle multinazionali, decidono e riscuotono a Washington, sebbene gli Stati Uniti siano il paese più indebitato del mondo.

Ormai l’imperialismo ed il sistema capitalista, per i proletari e i popoli del mondo, è diventato sinonimo di distruzione e di barbarie, che continuano a perpetuarsi attraverso le violenze e le guerre, e le basi militari sono funzionali a questo progetto.


 

LOTTA DI CLASSE ANTICAPITALISTA E ANTIMPERIALISTA


Se a Cuba gli USA sono presenti occupando militarmente la base di Guantànamo, in Italia alla fine degli anni ‘70 si contavano 143 basi e installazioni militari USA-NATO con migliaia di soldati. L’Italia - da sempre considerata "il più fedele alleato degli USA" e la sua portaerei nel mediterraneo - è costretta dai propri governanti succedutisi alla guida del paese (siano stati essi di destra che di sinistra) alle servitù militari. I soldati USA e NATO la fanno da padroni nella più totale impunità e disprezzo delle leggi dello stato a cui invece ogni cittadino Italiano è sottoposto (un esempio per tutti il massacro del Cermis, dove nel 1998 un aereo militare USA partito dalla base militare di Aviano per un’esercitazione a bassa quota, proibita dalla legge italiana, tranciando un cavo di una funivia provocava la morte di 20 persone. I piloti, sottratti alla giustizia italiana, sono stati giudicati e assolti negli USA).

Queste basi - concesse a suo tempo come baluardo alla lotta "contro il comunismo" - sono state sempre usate per le aggressioni imperialiste (Corea, Vietnam, Somalia, Yugoslavia, Afghanistan, Iraq e ad altri popoli che si opponevano alla penetrazione imperialista). Nonostante le lotte di consistenti settori del proletariato contro la guerra, con scioperi e manifestazioni, le basi militari sono tuttora presenti e se ne sta progettando il loro ampliamento. L’Italia, paese imperialista che mantiene sul suo territorio basi militari USA e NATO, fa la stessa operazione in altri paesi, mantenendo contingenti militari e basi italiane in molti paesi fra cui, Mozambico, Somalia, Jugoslavia, Afganistan, Iraq e alti ancora e il costo di queste operazioni viene sempre pagato dagli strati popolari.


Dalla fine della II° guerra mondiale, quando la disoccupazione (a causa dei milioni di morti) era scesa all’1,9%, l’esercito industriale di riserva ha continuato ad ingrossarsi fino ad assumere le attuali proporzioni ( in Italia il 7,5%).

Tutti i partiti borghesi (di destra e di sinistra) sostengono che la soluzione della disoccupazione sta nella ripresa dell’economia capitalistica, mentre noi pensiamo che è l’economia capitalistica che crea disoccupazione: maggiore sarà il suo sviluppo, peggiori saranno le condizioni di vita dei proletari e della maggioranza della popolazione mondiale.

I dati dimostrano che più le aziende licenziano i lavoratori, più sale il valore delle loro azioni, per cui il nemico è in casa nostra.


La brutalità del sistema di oppressione si misura ovunque: nei quattro anni tra il 1956 e il 1960 vi furono in America, Germania Occidentale, Italia, Francia oltre 17 milioni di operai morti o feriti nella produzione.

Nel vecchio Congo Belga i colonialisti imposero ad un gran numero di neri la costruzione della ferrovia Pointe Noire e, poiché non esisteva alcun sistema di sicurezza, solo nei primi sei anni di lavoro (1922-1928) vi furono più di 17.000 morti, per un tratto di ferrovia di 90 km.

Ogni chilometro di ferrovia venne a costare 190 vite umane.

Ogni anno muoiono nel mondo per cause legate all’attività lavorativa 2,2 milioni di persone, circa 6 mila persone al giorno, mentre gli infortuni colpiscono 270 milioni di lavoratori.

Le sole sostanze nocive uccidono ogni anno 483 mila lavoratori e l’amianto (che in alcuni paesi europei è stato messo fuori legge ma che continua ad essere prodotto ed usato massicciamente nell’Est europeo e in tutto il terzo Mondo) da solo è responsabile della morte di oltre 100 mila lavoratori l’anno.

Nella "civile" Italia, paese dove si vantano le più moderne garanzie sociali, ogni anno 1500 operai vengono assassinati sul posto di lavoro ( 4 morti al giorno). Altre migliaia muoiono dopo pochi giorni dall’infortunio o a causa delle malattie professionali contratte sul posto di lavoro altri ancora rimangono invalidi per tutta la vita, mentre gli infortuni raggiungono il milione.


Il gran blaterare di "battaglie civili" contro il razzismo per un sistema "veramente democratico" e "multirazziale" viene proposto da quegli stessi personaggi che firmano accordi antioperai con il padronato, che aboliscono le conquiste costate anni ed anni di lotte al movimento operaio.

Sono quegli stessi che avallano le operazioni di polizia internazionale o le guerre "umanitarie". Sono gli imperialisti, sia del centrodestra che del centro sinistra, che come Sergio Cofferrati ex segretario generale della CGIL- oggi sindaco di Bologna- sostennero l’aggressione imperialista alla Jugoslavia definendola "una contingente nessità".


E’ chiaro invece che l’ideologia funesta del razzismo ben si accorda allo sfruttamento intensivo della manodopera di ogni colore. Niente di meglio di fronte al vertiginoso aumento della disoccupazione che far lievitare la concorrenza tra i lavoratori, alimentare la xenofobia all’interno dei settori proletari attraverso campagne demagogiche.

Ecco allora l’utilizzo dei movimenti razzisti e fascisti per creare paure, scompiglio nel proletariato e stroncarne i processi di unificazione ed organizzazione

E’ la lotta l’unico processo reale che può unire i lavoratori di tutti i paesi e soltanto se essa saprà essere parte integrante di un percorso più generale di lotta al sistema di sfruttamento capitalistico, potrà avere una reale prospettiva di riuscita.


 

 

LA SITUAZIONE ATTUALE IN ITALIA


La struttura della forza-lavoro

Se guardiamo alla dimensione internazionale del fenomeno, infatti, riscontriamo che gli occupati nell'industria sono passati dal 40% del 1970 al 31% nel 1996 nei paesi a capitalismo avanzato e dal 17% al 27% - nello stesso arco di tempo - nei paesi di nuova industrializzazione. La classe operaia, dunque, tende a ridursi in termini quantitativi rispetto alla composizione di classe tradizionale dei primi del '900 solo nei paesi a capitalismo avanzato, ma vede ingrossare le proprie fila nei paesi meno sviluppati, dove è attualmente più conveniente, per il capitale, insediare i propri poli produttivi.

Nei paesi aderenti all'OCSE 350 milioni di lavoratori ad un costo medio di 18 dollari l'ora si spartiscono un monte salari di quasi 6.300 milioni di dollari all'ora; nei paesi di nuova industrializzazione 1.200 milioni di lavoratori ad un costo medio dì 2 dollari ['ora si spartiscono un monte ore salari di circa 700 milioni di dollari all'ora.


E' evidente che, nella fase attuale, coesistono sia una classe operaia che vive condizioni simili a quella dell'Ottocento della Rivoluzione Industriale europea, sia una nuova classe operaia degli anni Duemila: i lavoratori "schiavi" e il lavoro minorile dell'Asia e dell'America Latina e le aristocrazie operaie delle aree tecnologicamente avanzate.

La differenza di condizioni dei lavoratori a livello internazionale non indica una differenza nell'appartenenza di classe, ma solo una differenza nelle modalità con cui i capitalisti sono in grado, in situazioni di sviluppo differente, di accentuare i meccanismi di sfruttamento dei lavoratori. Contemporaneamente, la crisi del sistema capitalista produce processi di impoverimento e proletarizzazione, anche all'interno dei poli più sviluppati dei paesi a capitalismo avanzato. A causa delle fortissime influenze esercitate dalla borghesia attraverso meccanismi di integrazione sociale e di "partecipazione", manca alla classe lavoratrice internazionale la capacità di riconoscere, nelle differenti modalità di sfruttamento esercitate dalle borghesie imperialiste, una strategia unica del capitale e, di conseguenza, di comprendere la necessità di progettare e far agire un'azione di lotta comune e internazionale contro il capitale.

Attecchiscono, con impressionante facilità, le pseudo analisi degli intellettuali borghesi, le tesi della scomparsa della classe operaia, della globalizzazione, del post-fordismo e della possibilità di realizzare economie fuori mercato secondo il modello del no profit, ecc..

La situazione italiana presenta alcune specificità che la accomunano ad altre aree de! Mediterraneo (Spagna, Grecia) e la differenziano dai paesi imperialisti più sviluppati dell'Europa (Francia, Germania): caratteristica del modello italiano sono la preponderanza di piccole imprese, la diffusione del lavoro "autonomo" e, in rapporto alle relazioni industriali, un elevato tasso di concertazione fra sindacato, governo e padroni.


I lavoratori classificati per numero di addetti dell'impresa in cui lavorano più di 500 addetti sono solo il 17,65% in Italia, contro valori superiori al 33% in Francia, Germania, Gran Bretagna e al 20 % della stessa Spagna.

In Italia tendono a scomparire le grandi fabbriche, e con esse il peso politico della classe lavoratrice "aggregata" per grandi blocchi di appartenenza, e si moltiplicano le imprese-rete, concentrate nei principali distretti metropolitani e industriali, controllate dalle case madri, dove convivono lavoratori salariati e lavoratori autonomi e dove si sono rapidamente diffuse forme contrattualistiche caratterizzate dalla precarietà e dalla flessibilità. Il risultato è un estremo spezzettamento della classe lavoratrice, sia a livello di polo aziendale di appartenenza, sia livello di condizioni contrattuali; un colpo poderoso è stato sferrato al punto di forza della classe operaia, individuato anche da Marx e Lenin nella concentrazione nelle grandi fabbriche, nella comunanza delle condizioni di lavoro e nella trasmissione e condivisione delle esperienze di lotta.


Dai dati ISTAT leggiamo che nel 1993 gli occupati erano 20.484.000 e nel 1999 erano 20.618.000: l’'incremento dell'occupazione è davvero irrisorio.

Nei paesi capitalisti l’unico diritto riconosciuto è quello a fare profitti: questo comporta un attacco feroce al salario, in particolare nelle aree metropolitane.

II ruolo dello Stato nella trasformazione della composizione di classe

Lo stato borghese, di destra e di sinistra, sostiene questa nuova fase di organizzazione flessibile della produzione ricorrendo alle privatizzazioni, ai tagli alla spesa sociale, alla riorganizzazione dei sistemi pensionistici e ad un sistema fiscale sfacciatamente ingiusto e favorevole al capitale, rivestendo un ruolo di garante del trasferimento di ricchezza dal lavoro alla rendita finanziaria e dotandosi di un apparato ideologico e culturale che legittima, nobilita e concretamente rende possibile questo processo di progressivo smantellamento dello stato sociale. Lo smantellamento dello stato sociale accentua la ricattabilità della forza lavoro, impoverita e meno protetta e tutelata che in precedenza, indirizza ricchezza a vantaggio delle imprese anziché dei lavoratori e, di conseguenza, giunge ad incidere concretamente sulla composizione di classe: le classi medie, a causa del defilarsi dello Stato dalla spesa sociale, si impoveriscono e sperimentano condizioni sempre più simili a quelle della classe lavoratrice tradizionale. Tutto ciò non porta però, automaticamente, ad una coscienza critica rispetto a quanto sta avvenendo, ne da parte dei proletari di allora ne da parte dei proletari di oggi

In Italia la nuova organizzazione del lavoro della produzione flessibile si è affermata con vigore accompagnando l'acquisizione, da parte del nostro sistema economico nazionale, di un ruolo ben preciso nell'ambito della catena del valore distribuita a livello internazionale in filiere mondiali di produzione: l'economia italiana, come quella degli altri paesi imperialisti, si innesta, sempre più, nella fase finale della filiera, realizzando l'assemblaggio, la presentazione e la commercializzazione di manufatti o semilavorati prodotti nei paesi dell'Est, del Nord Africa, in Cina e in Estremo Oriente, in America Latina, all'interno di centri produttivi ivi delocalizzati da imprese italiane o da multinazionali. Quindi, le produzioni di scala tendenzialmente si spostano verso aree produttive e basso salario, mentre nei centri del capitalismo sviluppato diminuiscono gli occupati nelle grandi fabbriche e aumentano i lavoratori nei servizi pubblici e privati alle imprese, sia di livello "alto" (tecnici, operai super-specializzati, artigiani conto terzi, agenti commerciali e venditori) sia di livello "basso".

Dunque non è vero che la classe operaia tradizionale è scomparsa: essa tende a dislocarsi geograficamente verso l'Europa dell'Est, il bacino Mediterraneo e l'America Latina. Le imprese italiane con sede all'estero erano 605 nel 1985, per passare a 2.343 nel 1997. I loro addetti all'estero erano 219.000 nel 1985 e 665.000 nel 1997. E' attualmente nelle aree di delocalizzazione che si realizzano le condizioni di sfruttamento tipiche della nostra fase di sviluppo precedente agli anni '70.

Negli altri Paesi europei, e in particolare in Francia e in Germania, i fenomeni analizzati per l'Italia sono meno accentuati e permangono livelli di concentrazione operaia più elevati. E’ da questi interessi economici che è sorta la necessità per i capitalisti.

L'attuale situazione occupazionale e soprattutto la disoccupazione sono, dunque, elementi estremamente funzionali per il capitale. Gli occupati sul totale della popolazione in età lavorativa è rimasta sostanzialmente invariata negli ultimi vent'anni, perché in realtà il sistema capitalistico ha bisogno di una ingente scorta di forza lavoro da ricattare.


In Italia non esiste oggi un partito anticapitalista-antimperialista.

Ormai anche i sindacati (Cgil-Cisl-Uil) sono organizzazioni che accettano di dipendere dalle scelte della Banca d’Italia su tutti i temi, a partire dall’orario e dal costo del lavoro.

Accettano che la propria autonomia si riduca all’individuazione dei criteri locali su cui stabilire aumenti salariali sempre legati alla produttività aziendale.

Sindacati che sono diventati istituzione subalterna allo stato con un ruolo di stabilizzazione, contenimento e repressione delle aspettative dalla forza-lavoro, così come a livello aziendale sono diventati il soggetto dell’attiva compartecipazione al conseguimento degli obiettivi della razionalizzazione produttiva.

Sindacati che - con la riforma del sistema pensionistico (che assegna loro un ruolo nella gestione delle liquidazioni e delle pensioni integrative dei lavoratori, come già succede in altri paesi, ad esempio negli USA) si trasformano in modo sempre più evidente da organismi di lotta e di rappresentanza a vere e proprie strutture economiche imprenditoriali.


Il sistema capitalista, la globalizzazione imperialista portando nel mondo guerre, miseria sfruttamento, distruggendo gli esseri umani e la natura nella ricerca del massimo profitto, ha dimostrato ai proletari e ai popoli del mondo il suo fallimento.

Dobbiamo lavorare affinché la lotta nei singoli paesi sia organizzata secondo un piano comune. Necessitiamo di un’organizzazione internazionale anticapitalista-antimperialista dei lavoratori, delle classi sfruttate e dei popoli oppressi contro l’imperialismo che sappia dare il giusto respiro internazionale e il senso di appartenenza allo stesso schieramento, a chi, nei propri paesi lotta contro i propri padroni e i governi per gli stessi obiettivi.

Oltre che riprendere il 1° maggio come giornata di lotta internazionale (dato che in molti paesi è stata sempre più svuotata del suo significato di classe), dobbiamo stabilire delle scadenze in cui , a livello internazionale, gli anti-imperialisti di tutto il mondo scendano contemporaneamente in lotta e la battaglia contro le basi militari può essere il primo passo concreto nella giusta direzione.

Un altro mondo è possibile solo se si distruggono gli attuali rapporti di produzione capitalistici che producono sfruttamento, miseria e guerra;

solo se si sconfigge l’imperialismo;

solo col socialismo!

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