GUERRE IMPERIALISTE, CLASSE OPERAIA E INTERNAZIONALISMO

A proposito dei concetti di Patria, nazionalismo, e internazionalismo.

 

Guerre imperialiste, classe operaia e internazionalismo.

 

 

Il riconoscersi, come appartenenti alla stessa classe sociale, al di là delle barriere nazionali, con gli stessi interessi immediati e storici, è alla base dell’ Internazionalismo proletario

 

 

Michele Michelino (*)

 

L’ultima aggressione imperialista contro la Siria con missili USA, francesi e britannici su presunti impianti chimici riporta all’ordine del giorno il dibattito sulla guerra imperialista e sul ruolo della classe operaia e proletaria nei riguardi delle guerre imperialiste.

 

Gli operai comunisti e i rivoluzionari sono persone di pace, che lottano contro lo sfruttamento capitalista, contro le guerre di rapina dei padroni. Il profitto di pochi si fonda sulla miseria di molti e noi lottiamo contro la proprietà privata dei mezzi di produzione, per un sistema economico, politico, sociale che si chiama Socialismo nel quale le guerre per il profitto e di rapina, al pari dello sfruttamento degli esseri umani, siano considerati e condannati come un crimine contro l’umanità.

 

La classe operaia, cosciente dei suoi interessi immediati e storici, ha sempre ritenuto che l’unica guerra giusta è quella contro i padroni e i loro governi, cioè quella delle classi e dei popoli oppressi. Noi operai comunisti siamo per la pace ma non pacifisti e combattiamo l’unica guerra giusta: quella contro lo sfruttamento.

 

Noi viviamo in un paese imperialista, membro della NATO, che partecipa insieme ad altri predoni alla spartizione del bottino rapinato in Africa, in Asia o in America.

 

La presenza sul suolo italiano di molte basi militari USA e NATO, concesse dal dopoguerra a oggi da tutti i governi - democristiani, di centrodestra, di centrosinistra - con la presenza di atomiche “tattiche” fanno dell’Italia la portaerei NATO del Mediterraneo.

La propaganda di regime che entra nelle case di tutti noi attraverso televisioni, giornali e social porta alcuni lavoratori, e anche alcuni “compagni”, a non schierarsi davanti alle aggressioni imperialiste a paesi indipendenti e sovrani.

 

La concorrenza fra blocchi imperialisti, la penetrazione economica imperialista che distrugge l’economia locale, la corruzione delle classi politiche, sono le armi usate per appropriarsi delle risorse dei paesi del cosiddetto terzo e quarto mondo. L’acuirsi delle contraddizioni interimperialiste, la trasformazione delle guerre commerciali in guerre militari con il risorgere di nazionalismi e patriottismi, mettono gli operai e gli sfruttati di varie nazionalità gli uni contro altri e sono alimentate da chi ha interesse a sfruttarli.

 

Il vecchio motto romano “Divide et impera” è sempre attuale.

 

Il riconoscersi come appartenenti alla stessa classe sociale, al di là delle barriere nazionali e dei limiti angusti dei confini, con gli stessi interessi immediati e storici, è alla base dell’ internazionalismo proletario. Una classe che ha coscienza dei suoi interessi ha la necessità di favorire la formazione di organismi internazionali per raggiungere fini comuni: la liberazione dell’uomo sull’uomo dallo sfruttamento capitalista, la solidarietà e la cooperazione tra i popoli.

 

L'internazionalismo proletario necessità quindi di un'unità politica, economica e sociale sopranazionale.

 

Karl Marx e Friedrich Engels nel Manifesto del partito comunista del 1848 affermano che l’epoca della borghesia è segnata dallo sviluppo dei mercati e dalla concorrenza.

 

"Il bisogno di uno smercio sempre più esteso per i suoi prodotti ‒ scrivevano Marx ed Engels ‒ sospinge la borghesia a percorrere tutto il globo terrestre". Lo sfruttamento dei mercati mondiali aveva pertanto dato "un'impronta cosmopolitica alla produzione e al consumo di tutti i paesi". E non solo i "prodotti materiali", ma anche quelli "intellettuali" stavano diventando "globali".

 

Nel futuro dominio da parte della classe lavoratrice, secondo gli autori del Manifesto, gli antagonismi nazionali residui sarebbero scomparsi del tutto, perché lo sfruttamento di una nazione da parte di un'altra sarebbe stato abolito insieme con quello sugli individui.

 

Internazionalismo proletario, sicurezza internazionale, globalizzazione

 

La necessità di unire le lotte per le battaglie comuni dei lavoratori nei diversi paesi contribuì nel 1864 alla fondazione a Londra dell'Associazione internazionale dei lavoratori, nota poi come Prima Internazionale. In questa Internazionale, in cui confluirono comunisti e anarchici, Karl Marx e l'anarchico russo Michail Bakunin si scontrano e prevalsero le posizioni marxiste. Tuttavia alcuni anni dopo, nel 1876, la lotta fra le varie tendenze politiche, il riemergere dei sentimenti nazionalistici, ne causò la fine.

 

La necessità di un’organizzazione internazionale degli operai, dei lavoratori, tuttavia non venne meno. In ogni paese gli operai si organizzarono in partiti socialisti e socialdemocratici, fondando nel 1889 a Parigi la Seconda Internazionale, questa volta basata sui partiti. Ma l’acuirsi delle contraddizioni interimperialiste sfociate nella guerra imperialista portò alla dissoluzione anche di questo secondo tentativo.

 

Con la vittoria della Rivoluzione d'ottobre nel 1917 e il governo dei Soviet degli operai, dei contadini e dei soldati, si aprì nuovamente la possibilità di creare un’unità mondiale dei lavoratori e a Mosca, nel 1919, fu fondata la Terza Internazionale o Internazionale comunista (Comintern), organo di coordinamento del progetto rivoluzionario mondiale basato sul modello vittorioso del bolscevismo.

 

Il Comintern venne sciolto nel 1943 e sostituito nel 1947, fino al 1956, dall'Ufficio di informazione (Cominform) dei partiti comunisti dell'Europa orientale e di quelli italiano e francese.

 

Da allora questa organizzazione internazionale dei lavoratori e dei comunisti manca, e con l’organizzazione manca anche l’opposizione alle politiche guerrafondaie dell’imperialismo.

 

Anche la borghesia è una classe internazionale, ha un suo internazionalismo e si è data un’organizzazione internazionale.

 

Dopo la 1° Guerra mondiale, il presidente statunitense Woodrow Wilson organizzò e attuò attraverso la cooperazione, per la pace e la sicurezza internazionale, un “internazionalismo” borghese che portò nel 1919 all'istituzione della Società delle Nazioni. Nel 1945 dopo la 2° Guerra mondiale la Società delle Nazioni si allargò, divenendo l'Organizzazione delle Nazioni Unite (ONU). La cosiddetta globalizzazione, con la crescente interdipendenza economica e sociale mondiale, di cui molto si parla oggi, non è altro che una nuova forma di internazionalismo borghese imperialista, che ha le sue istituzioni economiche, politiche, finanziarie, di pensiero ecc. ed il suo braccio armato internazionale principalmente nella NATO.

 

Operai e padroni di tutto il mondo hanno interessi antagonistici e gli operai non hanno niente da spartire con i loro padroni.

 

Sempre nel Manifesto Marx afferma che gli operai non hanno patria. La ragione è evidente.

 

Nel sistema capitalista gli operai sono solo merce forza-lavoro, schiavi salariati del potere che si trova nelle mani della borghesia, che lo esercita attraverso lo Stato che non è altro che un mezzo di oppressione e di asservimento della classe operaia.

 

La classe operaia ha il compito di distruggere lo Stato della borghesia e non di difenderlo o abbellirlo. Il proletariato potrà avere una patria soltanto quando avrà conquistato il potere dello Stato socialista. Soltanto allora il proletariato, come è successo in Unione Sovietica e in altri paesi socialisti, dovrà difendere il suo potere, la sua patria. Solo in un sistema socialista esso difenderà veramente il proprio potere e la propria causa e non il potere dei suoi nemici e la causa dei suoi oppressori.

 

Naturalmente la dialettica impone anche delle eccezioni, come vedremo in seguito.

 

In ogni caso è bene ricordare che l'ultima pagina de Il Manifesto del Partito Comunista, termina con la frase: Proletari di tutti i paesi, unitevi!

 

L'internazionalismo proletario, l’unità e la solidarietà operaia sono sempre stati un’ arma in mano agli sfruttati, un deterrente contro la guerre tra nazioni. I proletari sono stati sempre usati come carne da macello, mandati a combattere al fronte per gli interessi dei loro padroni, quindi non è nell'interesse dei proletari delle varie nazioni imbracciare le armi e spararsi tra loro, ma rivolgerle contro i loro padroni, la borghesia che sfrutta e opprime i lavoratori e i popoli delle nazioni proprie e di quelle sottomesse all’imperialismo.

 

Solo con la solidarietà di classe internazionale fra i proletari di tutte le nazioni, con il potere operaio, si potrà mettere fine ai conflitti fra le nazioni, e incamminarsi sulla strada per arrivare alla scomparsa delle stesse come Stati nazionali.

 

Il nazionalismo - negando la divisione del mondo in classi - è diventato un ostacolo allo sviluppo della civiltà umana.

 

La lotta per il dominio dei mercati crea continui conflitti tra le potenze capitaliste e i blocchi imperialisti, perché lo sfruttamento di una nazione da parte di un’altra crea e alimenta odi nazionali. Lo sciovinismo nazionalista é uno strumento ideologico fondamentale per mantenere il dominio borghese sul proletariato.

 

In uno scritto sull’autodeterminazione nazionale dell’Irlanda, Marx affermava alcuni concetti fondamentali: 

 

solo la liberazione nazionale della nazione oppressa permette di superare gli odi nazionali e d’unire gli operai delle due nazioni contro il nemico comune, il capitalismo;

 

l’oppressione di un’altra nazione contribuisce all’egemonia ideologica della borghesia sui proletari della nazione “dominante”: un popolo che ne opprime un altro non sarà mai libero; 

 

l’emancipazione della nazione oppressa indebolisce economicamente e politicamente le classi dominanti della nazione che opprime e quindi aiuta l’emancipazione della classe operaia di questa nazione.

 

L’esperienza storica dimostra che nello scontro di classe mondiale il proletariato non può essere mai neutrale; anche se vittorioso il proletariato, all’inizio della presa del potere, deve continuare l’opera di abolizione dei contrasti nazionali iniziata dalla borghesia, dato che quest’ultima - essendo essa stessa una classe internazionale con propri interessi di classe radicati però in un determinato territorio nazionale - non solo non tende ad abolire gli antagonismi nazionali, ma  tende anzi ad aggravarli.

 

 

La celebre frase di Karl Von Clausewitz "La guerra è la continuazione della politica con altri mezzi" (e precisamente con mezzi violenti) esprime bene il carattere dell’imperialismo, la depredazione e l’oppressione di altre nazioni e del movimento operaio negli stessi paesi imperialisti.

 

Anche l’Italia è impegnata nella spartizione del bottino a fianco degli alleati con 24 missioni militari: l’ultima “missione umanitaria”, in Niger, è stata approvata dal parlamento il 17 gennaio 2018 a larga maggioranza.

 

Tutti i governi imperialisti di qualunque colore e schieramento politico hanno giustificato e giustificano il loro intervento militare in paesi indipendenti e sovrani buttando fumo negli occhi alla propria opinione pubblica, chiamando queste guerre con il termine di “interventi umanitari”, difesa della “democrazia” o dei “diritti umani” o lotta contro il “terrorismo” per nascondere agli occhi della popolazione gli interessi delle classi dominanti.

 

La politica imperialista, in pace quanto in tempo di guerra, consiste nell'asservimento delle nazioni e non nella loro liberazione. Noi operai coscienti - oltre che al fianco di tutti i proletari del mondo - siamo al fianco di tutti quei popoli che resistono alla penetrazione imperialista, siamo al fianco di chi lotta per liberarsi dall'oppressione delle "grandi" potenze reazionarie.

 

(*) pubblicato sulla rivista comunista di politica e cultura nuova unità n 3/2018

 

 

 

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