LULA SI LULA NO...

Lula sì, Lula no…

 

Daniela Trollio * | nuovaunita.info
maggio 2018

Anche lui si è accorto, riconoscendolo recentemente che il suo più grande errore è l'essere stato "condiscendente" verso il potere effettivo

Mentre il nuovo attacco di USA, Inghilterra e Francia al popolo siriano tiene con il fiato sospeso il mondo, dall'altra parte del pianeta è avvenuto un fatto altrettanto grave, anche se con armi "pacifiche".

Stiamo parlando dell'arresto e dell'incarcerazione dell'ex presidente brasiliano Ignacio Lula da Silva, condannato senza prove (come era già successo con la destituzione della presidente Dilma Rousseff) per corruzione (aver ricevuto un appartamento di tre vani) e arrestato prima che fossero esperiti tutti i gradi di giudizio previsti dalla legge.

Prima di cercare di spiegare tutte le implicazioni di questo fatto, vogliamo ricordare qualche dato.

Il Brasile è l'ottava potenza economica per il suo PIL secondo il Fondo Monetario Internazionale, e viene prima di nazioni come Gran Bretagna e Francia. Ha la diversità biologica più vasta del pianeta e incalcolabili riserve naturali. Il suo territorio è enorme ed ha risorse naturali straordinarie, tra le quali il polmone verde del pianeta, l'Amazzonia, e 7.500 chilometri di costa lungo la quale si trovano grandi giacimenti di petrolio. Questo ne ha fatto, nella storia, un obiettivo strategico per l'imperialismo: la IV Flotta statunitense da parecchi anni pattuglia la zona.

Nonostante la sua ricchezza, in Brasile – dove più della metà della popolazione discende dagli indios originari e dagli schiavi africani portati a lavorare nelle miniere e nelle piantagioni - la disuguaglianza e la povertà sono sempre stati un flagello. Nel 2002 il 31,8% dei brasiliani vivevano in povertà.

Ma, secondo le statistiche della Banca Mondiale, durante la presidenza di Lula Ignacio da Silva (e di Dilma Rousseff), tra il 2004 e il 2014, la povertà si è ridotta di più del 73%; la povertà cronica è passata da quasi il 10% all'1%. Tutti i settori sociali hanno aumentato le loro entrate, i ricchi del 23%, i poveri dell'84%. Il Brasile è uscito dall'umiliante mappa della fame tracciata dalla FAO, e l'immenso proletariato del paese ha raggiunto livelli di benessere prima inimmaginabili. È stato ridotto del 53% il deficit di accesso ad una casa dignitosa, sono stati costruiti 1.700 mila alloggi popolari, si è esteso a quasi tutto il paese l'accesso all'energia elettrica, all'acqua potabile, si sono costruite più università e scuole tecniche che in tutta la storia del paese fino al 2002. Come? Gran parte delle risorse dello Stato sono state impiegate per realizzare questi obiettivi, mettendo al centro del bilancio i poveri, la popolazione rurale, quella indigena e nera.

Nota: caso vuole, il processo e l'arresto di Lula avviene poco tempo prima delle prossime elezioni presidenziali, quando l'ex sindacalista capo del Partito dei Lavoratori veniva dato per vincente con il 70% delle "intenzioni di voto" favorevoli.

Sgombriamo il campo, a questo punto, dagli equivoci: nonostante le importanti riforme a favore dei più poveri, come dicevamo sopra, il governo di Lula è sempre stato un governo capitalista, rappresentante di alcuni settori della borghesia nazionale in contrasto con le multinazionali. Questo non perché lo diciamo noi, ma perchè lo disse, appena eletto, Lula stesso affermando di non voler toccare la struttura del paese, cioè le grandi banche, il capitale finanziario globalizzato che attraverso di esse opera nel paese, la rete monopolistica Globo, la Mittal Aceros, la società di costruzioni MRV, la Electrobras, tra le altre. Tanto per fare un esempio le banche brasiliane, asse dell'attuale modello capitalista, durante il governo di Lula hanno visto crescere i loro profitti del 14% annuale.

Anche se va riconosciuto che essere riformisti in un paese come il Brasile è ben diverso dall'esserlo in altre latitudini, come dimostra il recentissimo assassinio di Marielle Franco, la consigliera comunale uccisa con il suo autista dopo aver denunciato pubblicamente la militarizzazione delle favelas di Rio de Janeiro e l'impunità della polizia – nel momento in cui la borghesia brasiliana ha ritenuto che le aspirazioni popolari che Lula rappresentava erano ormai intollerabili, l'ha prontamente castigato, con strumenti "democratici" quali i tribunali. E se n'è accorto anche lui, riconoscendo recentemente che il suo più grande errore è l'essere stato "condiscendente" verso il potere effettivo.

Troppo tardi? Staremo a vedere, anche perché chi certo non si rassegnerà a tornare alla povertà, all'esclusione sociale, sono le classi sociali più colpite, la classe operaia, il proletariato e i settori più poveri del popolo brasiliano.

Democrazia, democrazia…

Molti di noi si sono certamente chiesti in questi anni la ragione dell'"affetto" che – soprattutto in America Latina – i settori proletari in lotta sembrano dimostrare per quella che noi, figli di un'altra storia, chiamiamo "democrazia borghese", in sostanza i processi elettorali in cui veniamo chiamati non più a "scegliere" chi ci sfrutterà negli anni a venire, ma ormai solo a ratificare le decisioni dei poteri forti.

I brasiliani hanno un'altra storia, un'altra esperienza. La storia del Brasile, fin dalla sua nascita, è storia di dittature sanguinarie, di colpi di stato, di sistematico disprezzo dei diritti della maggior parte dei suoi abitanti, trasformati in stranieri all'interno della loro propria terra, invisibili nella loro stessa società.

Una storia fatta anche di menzogne, come quando il regime militare che rovesciò il presidente democratico Joao Gulart nel 1964 promise di "ristabilire" l'ordine costituzionale in pochi giorni, che divennero 21 anni. E quando l'ordine costituzionale democratico tornò, lo fece sostenendosi su una legge che garantiva l'impunità dei crimini militari durante la dittatura. E i militari, mai toccati grazie a tale legge, sono intervenuti pesantemente – com'è sempre successo in ogni tappa della storia di questo paese – anche nel corso del processo a Lula. Il fascismo avanza anche in America Latina.

Insomma, la "democrazia", la faccia "pacifica" della dittatura borghese dietro cui il capitale nasconde ed esercita il suo potere, è stata un'eccezione nella storia brasiliana, e non solo. In altri paesi del continente la lotta per la "democrazia" si accompagna invece alla coscienza che solo l'organizzazione cosciente del proletariato e degli strati popolari la può difendere perché le conquiste non vengano cancellate, più o meno violentemente: succederà anche in Brasile?

Quindi, denunciare quanto accade a Lula da Silva non significa affatto difendere la sua ideologia e la sua politica. Significa invece denunciare i piani dell'imperialismo, mondiale e locale che, dopo un decennio in cui ha dovuto sopportare il protagonismo del proletariato e delle classi sottomesse, oggi è deciso a cancellarne ogni e qualsiasi conquista e diritto che possano rallentare l'accumulazione sfrenata. Significa denunciare la barbarie di un sistema predatorio che distrugge popoli e paesi interi e che sta portando il pianeta stesso in un abisso senza ritorno.

Per finire, ecco cosa scrive, in un comunicato, il Partito Comunista Brasiliano, feroce critico da sempre delle politiche di Lula: "I comunisti brasiliani non esiteranno a rafforzare la resistenza unitaria e popolare contro questo attacco alle libertà democratiche. Oltre al calendario elettorale instabile, dobbiamo rafforzare, con tutte le forze democratiche, progressiste e rivoluzionarie, la resistenza organizzata a questi attacchi.

Inoltre, i nostri militanti, del Partito e dei nostri collettivi, si uniranno alle azioni congiunte in tutti gli Stati, partecipando contemporaneamente alla mobilitazione e alla loro organizzazione, cercando in questi spazi di denunciare la persecuzione politica contro il presidente Lula e partecipare attivamente al fianco di organizzazioni e movimenti popolari al confronto con l'escalation fascista, l'ascesa del conservatorismo e gli attacchi alla classe operaia. La lotta organizzata è da sempre l'arma migliore della classe operaia. Resisteremo agli attacchi e costruiremo, nella resistenza organizzata, gli elementi della controffensiva socialista." (traduzione di: resistenze.org; n. 668).

(*) da Nuova Unità, nu.3/2018
Daniela Trollio – Centro di Iniziativa Proletaria "G.Tagarelli" Via Magenta, 88 Sesto San Giovanni

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