VERTICE IMPERIALISTA A DAVOS

Alcuni temi che saranno taciuti

 

Davos e il “Senso comune” della Classe Dominante

 

di Fernando Buen Abad Domìnguez (*)

 

Imporre all’umanità il “senso comune” di quell’immensa minoranza che è la borghesia, è un’insensatezza madornale che regna in lungo e in largo in un mondo dove: “La super-concentrazione della ricchezza: inarrestabile. Ciò indica che la disuguaglianza sociale è un ostacolo per eliminare la povertà del mondo. L’1% della popolazione ha più risorse di tutto il resto.

 

Tutto “Patas arriba” (A testa in giù, n.d.t.) diceva Galeano. A margine di un certo disprezzo “popperiano” per il “senso comune” e lungi da disquisizioni scientifiche, qui va inteso il “senso comune” come quel principio di ragione che una comunità fissa per delimitare condotte e far valere accordi di convivenza. Specie di “leggi” sociali non scritte, saggezza basata su prova ed errore e su un certo carattere congiunturale della conoscenza venuto dall’esperienza comune.

 

Detto con ovvietà: in un mondo incalzato dalla fame, dalla povertà, dall’esclusione e dall’umiliazione dovrebbe essere inaccettabile lo sfruttamento inumano dei lavoratori e la produzione di beni di lusso.

 

E, tuttavia, la morale borghese lo accetta, e lo esibisce, con naturalità irritante e con disinvoltura insultante.

 

In un mondo terrorizzato dalla barbarie del militarismo mercantile, bagnato dal sangue degli innocenti e affogato nelle lacrime di incalcolabili amarezze … non di dovrebbe accettare alcuna forma di colonialismo, schiavitù o sfruttamento, per quanto felici se ne sentano i beneficiari.

 

In un mondo minacciato in tutte le sue forme di vita, sfiancato dalla contaminazione di mari, fiumi e laghi; depredato dei suoi boschi e delle sue pianure, sacrificato con erbicidi, insetticidi e plastica … dovrebbe essere inaccettabile il cinismo commerciale delle società che hanno portato il pianeta, la sua flora, la sua fauna e le sue risorse naturali sul bordo di collassi multipli. “Senso comune”.

Il direttore generale dell’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’Agricoltura e l’Alimentazione (FAO) ci ha informato che più di mille milioni di persone soffrono la fame nel mondo a causa “della crisi economica e dell’aumento del prezzo degli alimenti”.

Ecco, viviamo tra cataloghi di aberrazioni dove regna l’irrazionalità di un modo di produzione e di un modello di relazioni di produzione che non solo impediscono lo sviluppo della specie umana ma che la condannano alla miseria e alla sua sparizione. E anche se questo è stato detto milioni di volte, è stato denunciato in migliaia di fori, è stato spiegato con ragionamenti semplici e complessi … l’evidenza non riesce, da se stessa, a farsi carne nei popoli per accelerare una trasformazione radicale delle condizioni di vita predominanti.

 

Il fatto è che l’apparato ideologico del “senso comune dominante” comprende l’insensatezza di dare più valore all’irrazionalità distruttrice che all’intelligenza creatrice che trasforma il mondo.

 

I ricchi si riuniscono e, al tempo stesso, applaudono le loro imprese.

 

Così il “senso comune” delle classi dominanti (padroni del monopolio della violenza e della morte) “insegna” che è meglio far silenzio, starsene buoni e aiutare il boia. Impone una scala di condotte giornaliere dove la mansuetudine viene premiata con l’invisibilità e la sopravvivenza periferica, dove conta più “comportarsi bene” e non “impicciarsi” per continuare a vivere “meglio che si può”.

 

Intanto, in un luogo silenzioso e intimo, si seminano i desideri più contraddittori perché la vittima sogni di essere e di vivere come è e come vive il suo boia. Con i suoi lussi, le sue manie e le sue condotte consumistiche. Sono questi i “valori” che vengono dall’ideologia della classe dominante, sparsi a piene mani ogni giorno in tutti i modi, compresi i “mezzi di comunicazione”, oppio dei popoli.

 

Questo “senso comune” egemonico serve anche ad indurre aberrazioni giuridiche e non poche “leggi” oligarchiche si basano sulla premessa di non molestare i paladini della “proprietà privata”, non immischiarsi nei loro libri contabili, non sapere come maneggiano le finanze e i bilanci e, naturalmente, santificare l’uso della “forza armata” contro tutto ciò che toglie il sonno ai padroni.

 

Bisogna vedere la sfilza di leggi, regolamenti e codici inventati per mantenere la “stabilità” del sistema, per dare “sicurezza” e predicibilità allo statu quo, perché non si tocchi la ricchezza di gestori, imprenditori e governanti neanche con un petalo di rosa. Come farebbero “i paesi seri”, se esistessero.

 

Intanto l’industria della guerra moltiplica i suoi profitti; i monopoli mediatici sono sempre più in meno mani; la salute è un affare osceno; la casa è una merce che demolisce i salari e i bisogni dei lavoratori; il lavoro è più ingiusto, più criminale e peggio pagato; la politica è diventata un circo di menzogne infide e corrotte; le leggi sono più sicure solo per i ricchi… l’irragionevolezza e l’insensatezza regnano.

 

E’ il “senso comune” dominante.

 

Un altro “ senso comune” dice che “al popolo va quello che è di Cesare”. Che la salute dei bambini e delle bambine è sacra e che non si gioca con l’educazione, con la loro salute mentale né con la loro alimentazione. Che uomini e donne devono godere di tutta l’uguaglianza di diritti che esige la fraternità e che deve regnare la giustizia senza privilegi. Che le condizioni materiali dell’esistenza devono essere sufficienti e dignitose con equità e solidarietà. Che a ognuno secondo le sue necessità e da ognuno secondo le sue capacità. Che tutti meritiamo di vivere bene, con l’igiene e le comodità necessarie e con tutta la felicità possibile. Che  studiare non è un’elargizione, che lavorare non è un’elargizione, che divertirsi non è una concessione. Che la ricchezza prodotta dal lavoratore non deve concentrarsi su pochi e che il diritto a svilupparci va garantito con la giustizia economica, politica e culturale.

 

Che non devono esistere padroni, schiavi e classi sociali.

 

Una grande rivoluzione culturale deve spiegare le bandiere di un umanesimo di nuovo genere, socialista. Questo è senso della comunità. Deve dispiegarsi nelle teste, negli stomaci e nei cuori dei popoli e deve trasformare tutte le conoscenze e tutti gli enunciati per far nascere un’era comunitaria con un nuovo significato. Questo è comunità di senso.

 

Senso comune. Che acquisisca il senso dell’amore e della giustizia, che ogni bene materiali e ogni bene “spirituale” acquisisca il senso della comunità. Che acquisisca senso comune la comunità stessa, come centro dell’interesse supremo, che non dovrebbe essere altro che la felicità intelligente in un mondo di umani creatori e felici. Senza volgarità e senza idealismo. Senza capitalismo.

 

Non è chiedere molto. Di questo a Davos non si parla.

 

(*) Direttore dell’Istituto di Cultura e Comunicazione dell’Università Nazionale di Lanùs, Buenos Aires.

 

Da: rebelion.org; 23.1.2018

 

(traduzione di Daniela Trollio, Centro di Iniziativa Proletaria “G.Tagarelli” Via Magenta 88, Sesto San Giovanni)

 

 

 

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