MORTI SUL LAVORO

SFRUTTAMENTO E MORTI SUL LAVORO

 

In nome della produttività e del profitto, i padroni e i loro governi risparmiano anche i pochi centesimi per la sicurezza costringendo gli operai a lavorare in condizioni pericolose.

 

di Michele Michelino

 

Da gennaio a settembre 2016 sono 753 le morti bianche (meglio chiamarle col loro vero nome: omicidi) rilevate in Italia, di cui 549 infortuni mortali avvenuti in occasione di lavoro e 204 quelli accaduti in itinere. Questi dati sono stati elaborati e forniti dall'Osservatorio Sicurezza sul Lavoro Vega Engineering di Mestre sulla base di dati Inail.

Anche per il 2016 lo scenario che si apre sugli infortuni mortali in Italia continua a essere tragico.

Una media di 83 vittime al mese, 20 infortuni mortali a settimana.

L’unico dato positivo è che - rispetto allo stesso periodo del 2015, quando si contavano 856 morti sul lavoro - c’è una diminuzione dei morti del 12,3 per cento. 

Il settore economico che conta il maggior numero di “morti bianche” (74, pari al 13,5% del totale dei casi di morte in occasione di lavoro) è rappresentato dall’industria delle costruzioni. Al secondo posto vengono le “Attività manifatturiere” con 65 decessi (pari al 11,8% del totale) e al terzo il “settore del Trasporto e Magazzinaggio”, con 62 casi pari all’11,3%.

 

Da gennaio a ottobre si contano 84 stranieri deceduti (il 15,3 per cento del totale) e 36 donne. La fascia d’età più colpita - che costituisce il 33,3 per cento di tutte le morti rilevate in occasione di lavoro – è sempre quella compresa tra i 45 e i 54 anni.

Anche  se i dati provvisori registrano un calo degli infortuni mortali, in alcuni settori come l’edilizia a ottobre 2016, si assiste invece a un aumento di oltre il 27% rispetto al 2015.

Un dato che colpisce è che la maggioranza delle vittime di infortuni, anche mortali, riguardi gli over 60 anni: il numero dei morti è più che raddoppiato rispetto allo scorso anno. 

 

Il lavoro nero senza rispetto dei contratti e della sicurezza è la condizione che accomuna molti incidenti proprio a causa della mancata applicazione delle regole. Le vittime sono spesso lavoratori autonomi che autonomi non sono, lavoratori occasionali in nero o pagati con i voucher nei cantieri.

 

Davanti a questa guerra di classe che fa morti e feriti solo da parte, quella dei lavoratori, le istituzioni e il governo non vanno oltre le frasi di circostanza, mentre le grandi centrali sindacali confederali si limitano a proteste simboliche.

Il 7 novembre i sindacati di categoria degli edili - Feneal-Ui, Filca-Cisl e Fillea-Cgil - hanno proclamato uno sciopero nazionale del settore di un’ora. Obiettivo: sensibilizzare e contrastare il dramma delle morti sul lavoro richiedendo una maggiore sicurezza sul fronte della sicurezza e salute sul lavoro. Una sola ora di lavoro per protestare contro questa mattanza di operai morti sul lavoro!

 

Naturalmente i dati sopra riportati non tengono conto dei lavoratori in nero e di quelli non iscritti all’INAIL. Secondo “Art. 21” “l’INAIL non riconosce circa 500 infortuni mortali sul lavoro ogni anno. I dati degli ultimi sei anni che riportiamo in dettaglio dicono che:

Anno 2010: Denunce per infortunio mortale 1501, infortuni mortali riconosciuti 997

Anno 2011: Denunce per infortunio mortale 1387, infortuni mortali riconosciuti 895

Anno 2012: Denunce per infortunio mortale 1347, infortuni mortali riconosciuti 851

Anno 2013: Denunce per infortunio mortale 1215, infortuni mortali riconosciuti 710

Anno 2014: Denunce per infortunio mortale 1107, infortuni mortali riconosciuti 662.”

 

Che gli operai e i lavoratori nella società capitalista siano considerati una merce usa e getta si vede anche da quanto vale la loro vita per l’ente assicurativo pubblico, l’INAIL.

 

Le morti sul lavoro e da lavoro, gli infortuni, le malattie professionali sono un dramma che ha gravi conseguenze per le vittime e per le loro famiglie che, oltre al danno, devono subire la beffa.

Il coniuge o, in mancanza, i figli o chiunque dimostri di aver sostenuto le spese in occasione della morte del lavoratore, se hanno i requisiti per fruire della rendita a superstite, hanno diritto all’assegno di rimborso delle spese funerarie, che dal 1° luglio 2016 è di ben (!) 2.136,50 euro.

 

Anche i dati “ufficiali” vanno comunque presi con le pinze. Molte delle famiglie delle vittime degli infortuni e malattie professionali conoscono le difficoltà che hanno dovuto attraversare per far valere i loro diritti. L’INAIL è in conflitto d’interessi, perché è l’ente assicurativo che deve riconoscere l’infortunio e nello stesso tempo pagarlo, per cui ha tutto l’interesse a risparmiare sulla pelle delle vittime.

Da qui la rivendicazione portata avanti da diverse associazioni e comitati di togliere all’INAIL il compito di riconoscere infortuni, morti sul lavoro e malattie professionali, affidando a un ente terzo il riconoscimento e lasciando all’Istituto Nazionale Assicurazione Infortuni sul Lavoro, assicurazione pubblica, il solo compito di pagare il danno.

 

Le malattie professionali

Agli infortuni e alle morti sul lavoro si aggiungono quelle delle malattie professionali.

I numeri forniti dall’INAIL per il 2015 confermano che le malattie professionali sono in crescita, anche se l’aumento delle denunce di malattia professionale è dovuto quasi esclusivamente alla “gestione agricoltura” che ha visto un aumento del 10,16% rispetto all’anno precedente (+ 1.100 domande). Nel 2015 sono state 58.825 le denunce di malattia professionale, circa 1.500 in più rispetto al 2014 e in aumento di oltre il 33% rispetto al 2010.  Queste denunce hanno riguardato circa 44 mila soggetti ammalati.

 

Di lavoro si continua ad ammalarsi e a morire, più che in guerra.

Ogni anno, in nome della produttività e del profitto, i padroni e i loro governi risparmiano anche i pochi centesimi per la sicurezza costringendo gli operai a lavorare in condizioni pericolose. Il capitale si alimenta dello sfruttamento operaio e le sue istituzioni, legittimandolo, sono funzionali allo sfruttamento dell’uomo sull’uomo. 

I morti sul lavoro non dipendono mai dalla fatalità. L’aumento dello sfruttamento è la causa principale degli infortuni.

 

 

Dalla rivista nuova unità, novembre 2016

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