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Vittoria della controrivoluzione e della guerra economica

(intervista di Radio Onda d’Urto a Luciano Vasapollo (*)

Traduzione della trascrizione in spagnolo di Silvia Orti per Rebelion.org)

 

Radio Onda d’Urto - Professor Vasapollo, prima di tutto le chiedo di dirci qual è, secondo lei, la causa di questo risultato in Venezuela e come possiamo inquadrarlo nell’insieme del processo rivoluzionario bolivariano che si sta realizzando in questi ultimi 16 anni.

Luciano Vasapollo – Per un marxista, un intellettuale militante come me, molto coinvolto con il governo rivoluzionario venezuelano, poiché collaboro in problemi di pianificazione economica, è ovviamente molto spiacevole e, politicamente, mi preoccupa moltissimo. La reazione emotiva è di sofferenza politica e umana, per la sincera amicizia rivoluzionaria con un governo di transizione socialista, onesto, che in 16 anni ha dato tutto al popolo venezuelano: educazione, sanità, servizi pubblici e che ha decisamente rovesciato il corso della storia del Venezuela e della regione.

Ci sono stati fatti positivi e fatti negativi in questo lungo lasso di tempo e bisogna analizzarli.

Bisogna studiare gli errori, i limiti, le contraddizione del governo che hanno portato a questo risultato. Qualsiasi processo rivoluzionario - anche il più sano, corretto e con una visione del futuro come quello chavista, che è stato creativo e punto di riferimento non solo per il Venezuela e il Sudamerica ma per tutta l’umanità, perché ha cambiato l’aspetto della regione e le prospettive - è portato avanti da uomini e, quindi, con tutte le loro contraddizione e i loro limiti.

In questa intervista voglio mettere in evidenza anche questo aspetto, dicendo le cose onestamente.

Bisogna cominciare quindi dal principio. Ricordo il momento della morte del comandante Chàvez, su cui ancora si indaga; ci sono ancora aperte vie di indagine sulla possibilità che la sua morte non sia stata prodotta da una malattia accidentale, ma che sia stata una morte indotta attraverso un avvelenamento di lungo periodo. Siamo abituati al fatto che l’imperialismo agisca in forme determinate e convergenti; solo a titolo di ipotesi di indagine, negli anni precedenti in America Latina sono stati sei i presidenti rivoluzionari, progressisti e democratici ad ammalarsi di tumore. Quindi è una verifica marginale, ma che si sta facendo.

 

Torniamo al 13 aprile 2013, lei era là, come sempre, per le elezioni, come accompagnatore. Vinse Maduro per pochi voti, 250.000 voti di differenza, con meno del 51%. Quale può essere stato l’effetto?

In Venezuela, come in tutti i paesi latinoamericani, nella politica di massa ha molto peso la direzione personale come punto di riferimento per il compagno, per il rappresentante del popolo. Ognuno ha la sua cultura, noi non possiamo scandalizzarci e dire: Ma come? Sono legati a questo, ad una specie di populismo? No, in America Latina si crede in modo carismatico nel grande leader, è successo con tanti leaders rivoluzionari e non soltanto.

La morte di Chàvez produsse malessere, una parte dei chavisti non andò a votare o annullò la scheda, ci fu  una prospettiva rivoluzionaria ma anche un disamoramento, per questo avvenne questa vittoria stretta.

Detto questo, nei giorni seguenti alla votazione, ovvero dal lunedì al giovedì, ci fu un tentativo di colpo di Stato da parte della controrivoluzione; ormai è storia, immediatamente l’opposizione filo USA, fascista, oligarchica, scese in piazza armata dall’imperialismo. 11 morti, che poi arrivarono a 43 in 3 giorni, più di 80 feriti, sparatorie, uomini mascherati che incendiavano case, negozi, con pistole e mitragliette, che sparavano ai sanitari cubani e alla gente.

Non era un’opposizione democratica, era un gruppo consistente formato da mercenari, paramilitari, con infiltrazioni fasciste europee, che si prestava ai giochi della CIA con continui tentativi di golpe.

Questa strategia continuò per almeno un anno, con morti e attentati, fino a che l’imperialismo, l’opposizione fascista controrivoluzionaria si resero conto che la strada delle armi non era possibile, mentre il Governo del Venezuela, con senso di responsabilità, non cadde nella risposta repressiva. La rivoluzione del Venezuela ottenne grande solidarietà e una parte della UNASUR e dellaCELAC decise di dare unanime appoggio al legittimo governo chavista contro i progetti fascisti di destabilizzazione.

A questo punto l’imperialismo scelse un’altra strada, e invece di una guerra militare optò per la guerra economica. In cosa consiste? Nel creare le condizioni per la fame e incolpare poi, ovviamente, il governo.

Come si è concretata? Ad esempio con il contrabbando di beni di prima necessità. Cioè la produzione nazionale, che si vendeva in Venezuela a prezzi in bolivares (accessibili a tutto il popolo), cominciò ad essere esportata in Colombia dalla grande distribuzione in mano all’oligarchia, in modo clandestino e illegale, con l’aiuto dei narcotrafficanti della frontiera. E’ più di un anno che funziona così, e parliamo di beni di prima necessità, in modo che la gente deve convivere con la scarsità, sul mercato, di ciò di cui ha più bisogno, dalla carta igienica al formaggio, al dentifricio, beni fondamentali.

I prodotti entrano in Colombia, vengono commercializzati dai narcotrafficanti e dai mercenari, prima in bolivares alla frontiera, con un cambio di 40/50 volte il loro prezzo, oppure sono re-importati; si trasformano in beni di produzione venezuelana che diventano importazioni e tornano nel paese, ma dollarizzati (e si possono comprare solo con moneta USA). Con questo è aumentata enormemente la domanda di dollari e i prezzi sono saliti. Ancor oggi il cambio ufficiale bolìvar-dollaro è un cambio di 1 a 6,5, ma in un anno e mezzo è arrivato a 750 sul mercato nero.

Duplica  e triplica, quindi, l’inflazione speculativa e indotta, mentre il potere d’acquisto dei lavoratori cade, perché hanno un salario medio di circa 10 dollari al mese, sul mercato nero.

 

Così, guerra economica significa assenza di prodotti indotta da un attacco imperialista e, parallelamente, inflazione, speculazione commerciale, economica e monetaria.

Ovviamente così comincia anche la guerra psicologica. La maggior parte della popolazione, anche quella chavista o simpatizzante, vedendo una mancanza così grande di beni di prima necessità, comincia a pensare che forse la colpa sia del governo. Interessa poco il discorso sui narcotrafficanti, sull’oligarchia o sulla guerra economica, perché alla gente manca il riso, la farina e vuole vivere meglio. Si danno quindi al governo colpe che non sono sue.

Questo si aggiunge chiaramente alla guerra mediatica; bisogna tener conto che in 15 anni di governo rivoluzionario l’oligarchia ha mantenuto un forte controllo dei centri di potere.

La parte dell’oligarchia petrolifera è completamente ‘disoccupata’ per il fatto che con Chàvez e con il governo di Maduro la rendita petrolifera è stata redistribuita socialmente verso il basso: l’80% di essa è stata utilizzata per investimenti sociali, cioè è finita nell’industria pubblica, nelle strade, negli ospedali, nell’educazione, nella rete fognaria, nell’elettricità, ecc.

In ogni modo gli oligarchi hanno in mano la struttura finanziaria, produttiva e della distribuzione, e anche l’informazione; il 90% dei giornali del Venezuela è in mano all’opposizione, solo 4 o 5 giornali a diffusione nazionale sono filo-governativi o vicini al PSUV o a Chàvez. L’informazione è molto controllata anche in televisione; in Venezuela ci sono moltissime televisioni, ma in pratica solo una dà un’informazione oggettiva e sincera sull’azione del governo di Maduro, è la grande TeleSur.

C’è una disparità informativa grandissima e la guerra psicologica la si fa con la guerra mediatica.

E così ecco come si è arrivati a questa elezione. Non voglio neanche dimenticare l’onda legata alla vittoria di Macri in Argentina, un uomo di centro-destra molto filo-imperialista. Macri, appena eletto, ha giurato fedeltà agli USA e fatto immediatamente appello alla vendetta e alla guerra contro l’ALBA, chiedendo l’espulsione del Venezuela dal Mercosur.

Tutto questo ha influito, senza dubbio, su molti elettori indecisi. Il popolo venezuelano ha votato, senza dubbio, in senso ampio, il 75%. Maduro ha immediatamente ammesso il risultato nel suo discorso alla nazione, riconoscendo la durissima sconfitta. Ma, anche, annunciando nella pratica il deciso ritorno alla “strada”, con la gente, per rivitalizzare il processo rivoluzionario, chiedendo di ritornare alla discussione e al lavoro.

 

Questa nuova ondata contro i governi progressisti, democratici, rivoluzionari si sente molto …

Come si sente anche la crisi internazionale che colpisce il Venezuela e l’ALBA.

C’è la guerra del petrolio, tra l’altro. Il prezzo è caduto, dal 60 al 70%, in poco tempo. Perché? E’ un effetto speculativo ed ha come obiettivo la Russia di Putin e il Venezuela di Maduro, perché sono tra i maggiori produttori di petrolio non controllati dagli USA. Il Venezuela è il quinto produttore di petrolio nel mondo, ma il primo per riserve.

E’ chiaro che si sta realizzando, da parte dell’Occidente, un attacco contro questi due paesi. Poiché sono esportatori di petrolio, la riduzione del prezzo ovviamente crea loro grandi danni economici. Per poter sopportare il basso prezzo c’è bisogno di un’offerta alta. Chi si presta a questa operazione di mettere sul mercato grandi quantità di petrolio? Le petromonarchie arabe, che sono le stesse che finanziano, proteggono ed hanno grandi investimenti e legami militari con l’ISIS e il terrorismo. L’Arabia Saudita mette sul mercato una tale quantità di petrolio che persino l’Iran si vede obbligato a pagare il prezzo dell’accordo nucleare.

Lo scenario internazionale della crisi sistemica porta parte del mondo occidentale a cercare uscite attraverso la guerra militare, sociale, e il clima sempre più militarizzato. I maledetti parametri di Maastricht, la mancanza di investimento sociale; si negano esenzioni alla spesa sociale ma si tagliano i parametri solo per aumentare investimenti pubblici ma non sociali, cioè quelli militari, della guerra, degli armamenti, ecc.

Questo clima non può che ricadere sui paesi dell’ALBA, la crisi si sente a livello dell’intera America Latina ed il paese più attaccato dal potere capitalista e dalle multinazionali è il Venezuela, perché è senza dubbio la forza dell’ALBA, che sa distribuire socialmente la ricchezza che viene dai giacimenti di petrolio permettendo la fornitura a Cuba e ad altri paesi ad un prezzo politico, e ricevendo in cambio altri beni mediante i mercati interni dell’ALBA, che sono compensatori, di complementarietà e solidarietà, dove ogni paese mette a disposizione quello che può: Cuba ottiene petrolio a prezzo politico e mette a disposizione talento umano, ossia migliaia di medici e professori, o favorendo l’interscambio complementare con altri prodotti del Nicaragua o della Bolivia.

 

E’ chiaro che non si possono negare gli errori….

Ogni processo rivoluzionario commette errori; ad esempio, secondo me, per quanto riguarda l’economia si è ritardato troppo il discorso sulla diversità produttiva.

E’ vero che l’attacco speculativo e la guerra economica lo avrebbero ugualmente reso difficile. Ma si sarebbe dovuto prestare maggiore attenzione alla diversificazione produttiva, che è lenta ma dipende meno dal petrolio, e alle industrie non petrolifere, alla piccola impresa; si sarebbe dovuto dare un ruolo centrale all’agricoltura, riducendo la propensione all’importazione per lo meno dei prodotti di prima necessità. Riguardo a questo si è lavorato in questi anni, con l’impresa socialista e statale, con le cooperative, per dare un ruolo maggiore al potere popolare attraverso le comuni, le strutture politico-economiche all’interno del paese; ma ci vuole auto-determinazione, non solo politica ma anche popolare. Si è fatto molto, ma su questi punti, e in particolare sulla diversificazione produttiva e sulla socializzazione, si sono fatti pochi passi.

Nei primi anni Chàvez, trovandosi con un popolo analfabeta, senza lavoro, senza servizi di prima necessità, con la sanità privata, senza casa, ovviamente nazionalizzò le imprese del petrolio e socializzò la rendita invece di darla alle multinazionali, e così questa rimane nel paese e tutto andava agli investimenti sociali.

Si svilupparono le Missioni, con grandi investimenti in case popolari, in un lavoro per tutti, per l’eliminazione dell’analfabetismo, la creazione dell’università bolivariana, l’educazione e la sanità gratuite e pubbliche, l’accesso gratuito alla medicina preventiva.

Ma poi, in un secondo momento, bisognava dare più impulso alla diversificazione economica specialmente in alcuni settori, credo, dando più forza alla socializzazione o, almeno, ad una nazionalizzazione più decisa, come nel caso del controllo bancario.

Un paese che vuole essere indipendente dalle politiche capitaliste ed imperialiste deve controllare assolutamente tutto il sistema finanziario e tutto il sistema bancario; perché questo permette di nazionalizzare di più in altri settori e permette anche che quei settori, o industrie, nazionalizzati godano della normalità nel flusso dei crediti. Se nazionalizzi e poi il sistema bancario internazionale ti chiude i flussi di credito, con cosa sviluppi l’impresa pubblica statale?

In altro ambito si istituirono, in questi anni, le comuni, ovvero una struttura di potere popolare di quartiere in cui, parallelamente all’educazione, alla casa, alla sanità, ci sono forme di cooperativa e di produzione autodeterminate all’interno della comune stessa.

Questo percorso, che si basa parallelamente sull’impresa socialista e sull’impresa sociale, probabilmente sarebbe dovuto cominciare prima e con più determinazione.

L’impulso, ora, dovrebbe essere maggiormente quello di socializzare. Ci sarebbe bisogno di una presa di posizione chiara e netta sui distretti socialisti, sulla produzione distrettuale. E anche una diversificazione della pianificazione; cioè la pianificazione socialista deve essere centralizzata ma bisogna coniugarla con una serie di metodi alternativi di pianificazione decentralizzata. Questo significa dare forza e ossigeno alle economie locali, non solo a livello settoriale ma anche a livello spaziale.

Bisognerebbe qualificare e ottimizzare le risorse locali; è ovvio che il piano centrale continua ad essere il riferimento, ma c’è bisogno di diversificare la struttura economica con forme di pianificazione economica socialista e con forme che tengano conto della cultura, delle risorse e delle strutture del territorio, locali. Bisogna lavorare anche su queste questioni.

E’ stata, quindi, una sconfitta dura ma non definitiva. Il governo è ancora nelle mani di Maduro; ma si tratta di una grande contraddizione perché ci sarà un governo rivoluzionario e, di fronte, un parlamento con un’ampia rappresentanza dell’opposizione controrivoluzionaria.

 

Quale sarà l’ultimo obiettivo destabilizzante delle politiche dell’opposizione?

Boicottare tutte le leggi, specie quelle a carattere sociale, in modo che lo scontento aumenti; la guerra economica, questa volta, ha il controllo istituzionale, in questo modo si cercherà di far ricadere su Maduro tutti i problemi politici, economici e sociali che il boicottaggio del parlamento farà contro le iniziative del governo e, oltretutto, c’è la possibilità di un referendum revocatorio.

In questo modo si crea una situazione di instabilità per pochi mesi, per poter poi dire che l’economia è in rovina, che tutta la società è allo stremo politico delle decisioni e per chiedere il referendum revocatorio della direzione centrale del presidente Maduro.

I controrivoluzionari, l’oligarchia, giocano le carte che hanno in mano: oggi il parlamento, e il potere di fare elezioni anticipate per il governo e dare il paese in mano alle multinazionali e agli imperialisti.

 

(*) Professore di Analisi dei sistemi economici dell’Università La Sapienza di Roma, collabora con le università cubane di Matanzas e Pinar del Rio. E’ membro di vari Centri Studi dei paesi dell’ALBA.

 

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