GRECIA: DOPO IL REFERUNDUM

Il popolo greco ha messo a nudo la vera natura dell’Unione Europea

Di Alberto Rabilotta (*)

La cupola dell’Unione Europea (UE) non perdonerà mai a Syriza – e al popolo greco che ha votato NO – di aver messo a nudo con il referendum del 5 luglio scorso la vera natura del sistema neo-liberista della UE. Per questo ora la UE esige la capitolazione del governo di Syriza riguardo alle politiche di austerità, capitolazione senza la quale l’espulsione della Grecia dalla zona euro è un fatto.

Il presidente della Commissione Europea (CE), Jean-Claude Junker, lo ha detto chiaramente: “sono fermamente contrario ad un ‘Grexit’. Ma non potrei impedirlo se il governo greco non fa quello che deve fare. La Commissione è preparata a tutto. Abbiamo uno scenario del ‘Grexit’ pronto nei dettagli”.

 

L’espulsione della Grecia dalla zona euro potrebbe essere decisa a partire da domenica 12 luglio, a meno che il primo ministro greco Alexis Tsipras accetti di continuare ad applicare i piani di austerità. L’unica cosa che riceveranno in cambio governo e popolo greco è una vaga promessa di un “poi vedremo la questione della sostenibilità del debito” della cancelliera tedesca Angela Merkel, che è accompagnata dal seguente chiarimento: la cancellazione del debito “è una cosa proibita dai trattati di Unione Monetaria” (1).

 Al momento di scrivere questo articolo, il Parlamento Europeo era in sessione su richiesta di Tsipras perché questa istituzione, l’unica con una rappresentanza  democratica nel sistema di governo della UE, ne discuta, dia seguito e si pronunci su un negoziato che – ha spiegato Tsipras – si è sempre svolto a porte chiuse tra il governo greco e la Troika (la CE, la Banca Centrale Europea e il FMI), tre organismi dei quali due – la BCE e il FMI – non sono soggetti allo scrutinio democratico. Jean-Claude Junker, presente alla sessione, ha dovuto riconoscere la validità di questo reclamo.

L’intervento del primo ministro greco è stato chiaro e preciso. Ha affermato che i negoziati degli ultimi cinque mesi hanno consumato la maggior parte del tempo e delle energie del suo governo, ma non per questo si è smesso di prendere misure per una riforma che implichi l’aumento delle entrate e la riduzione della spese dello Stato, portando allo scoperto i comportamenti di evasione fiscale, di corruzione, di contrabbando che i governi precedenti (che dicevano sì a tutte le politiche di austerità della Troika) non hanno mai messo sotto inchiesta o preso provvedimenti. E ha sottolineato che si era cominciato a legiferare per applicare le riforme necessarie.

Tsipras ha esortato i deputati europei a capire la necessità di ristrutturare i debiti impagabili che non toccano solo la Grecia e la cui soluzione è imprescindibile per un progetto europeo che rispetti la democrazia espressa dalla volontà popolare.

 

Capitolazione o espulsione dalla zone euro?

La cupola della UE, invece di accettare la chiara sconfitta che la sua ossessiva politica di austerità ha ricevuto nel referendum del 5 luglio in Grecia, di mostrarsi disposta ad una dose di realismo cambiando le sue politiche come chiedono economisti ben noti tra cui Paul Krugman, la prima cosa che ha fatto il 6 giugno è stato presentare un ultimatum a Tsipras: ci sarebbero stati  negoziati solo e quando l’economista Yannis Varoufakisa  avesse smesso di essere il ministro delle Finanze (2).

Perché Varoufakis dovesse dimettersi e quali proposte del piano greco non erano accettabili? Daniel Munevar, consigliere dell’ex ministro Varoufakis, ha detto a RT (3) che il piano presentato dalla Grecia accetta un aumento delle tariffe dell’IVA in cambio del mantenimento delle eccezioni di cui godono le isole in Grecia e che la ristrutturazione dei debito è uno dei punti chiave nei negoziati con i creditori internazionali: “Se il FMI chiede una ristrutturazione e la parte europea dice che non è disposta, è molto difficile che il programma di aggiustamento abbia una logica economica quando si sta decidendo in base a criteri eminentemente politici”.

Munevar ha aggiunto che la proposta di Varoufakis comprendeva “una richiesta di ristrutturazione del debito ‘che sarebbe stata finanziata’ per mezzo del Meccanismo Europeo di Stabilità tenendo in conto il danno provocato dalle misure della BCE nel negare di estendere la liquidità alle banche greche, nonostante che questo sia il suo compito”. E ha aggiunto che “sembra che, tragicamente, il calcolo che si sta facendo in molte capitali europee è che è più facile giustificare l’espulsione della Grecia dalla zona euro, nonostante che questo sia apertamente illegale in base ai trattati UE, che ristrutturare il debito del paese”.

Le dichiarazione a partire dal referendum del 5 luglio, fatte da coloro che controllano decisionale nella UE, indicano che si sono già esaminate le previsioni per l’espulsione della Grecia dalla zona euro, il “Grexit”,  a meno che Tsipras capitoli e si pieghi alle condizioni della Troika. Questo verrà deciso, secondo coloro che seguono da vicino i negoziati, nei prossimi giorni.

 

Questa grave crisi di legittimità politica della UE era prevedibile perché, secondo Steve Richard (The Indipendent, 6.7.2015), “l’unione politica non può essere risultato di un’unione monetaria” anche se il contrario, forse, sarebbe stato possibile.

 

Le ripercussioni politiche di questa situazione, che sia una capitolazione di Syriza o l’espulsione della Grecia dalla zona euro, vanno al di là della UE: una capitolazione sotto la minaccia di espulsione aggraverà ancor più le contraddizioni interne e danneggerà irrimediabilmente la legittimità della UE, in Europa e a livello mondiale. L’espulsione della Grecia dalla zona euro non lascerà indifferenti gli Stati Uniti (USA), che hanno già comunicato la loro posizione alla Germania e – secondo fonti ben informate – Washington ha già un suo piano per evitare l’eventuale uscita della Grecia dalla NATO e un avvicinamento al gruppo dei BRICS, alla Russia e alla Cina in  particolare. Cioè l’espulsione della Grecia dalla zona euro può rappresentare allo stesso tempo la sua entrata nella lista dei paesi che verranno destabilizzati per ottenere “un cambio di regime” (4).

 

Tutta questa percezione delle crisi della UE ha smesso di essere un “affare” di gente della sinistra radicale.

Basta ascoltare quanto ha dichiarato in un’intervista l’ex primo ministro francese Dominique de Villepin, che ha parlato della necessità di “avere immaginazione” per risolvere la crisi finanziaria europea (5): “Con Alexis Tsipras abbiamo la fortuna di avere un primo ministro greco giovane e indipendente (…) una delle soluzioni deve iniziare con la ristrutturazione del debito, compreso un ‘ritorno’ del debito. E nello stesso tempo inventare un nuovo meccanismo: facciamo in maniera che i rimborsi greci vadano con priorità all’investimento greco”.

Villepin si è detto dispiaciuto “della cecità europea” e ha criticato che si assuma “il rischio di gettare la Grecia nell’instabilità dei Balcani, nella polveriera del Medio Oriente e nella fragilità del Maghreb. L’Europa ha la necessità di stabilizzare le sue frontiere. Siamo incapaci di inventare un grande progetto. Non siamo vere democrazie, allora smettiamo di dare lezioni agli altri;  siamo diventati democrazie mediatiche. Oggigiorno i nostri dirigenti parlano per i microfoni e per le telecamere, ma si dimenticano dei popoli”.

 

Il giornalista e scrittore britannico George Monbiot sottolinea in un articolo di The Guardian (6) che “la Grecia forse è finanziariamente in bancarotta, ma la Troika è politicamente in bancarotta” e va al fondo della questione scrivendo che la UE pratica una versione estrema del “fondamentalismo di mercato”, al che si potrebbe aggiungere che la UE e l’euro sono parte dell’imperialismo  neo-liberista che ha trasformato in un dogma assoluto e intoccabile le due definizioni date da Margaret Thatcher: “non c’è alternativa” e “la ‘società’ non esiste”.

La rigidità di questo modello basato su un dogma assoluto, come provano le politiche di austerità, il negarsi alla ristrutturazione dei debiti pubblici impagabili, le minacce di espulsione dalla “moneta comune”, lo strangolamento della democrazia in campi che implicano il benessere o la sofferenza dei popoli, lo condanna al collasso.

 

Lo scossone del referendum greco ha messo a nudo le contraddizioni sociali e politiche di questo rigido sistema, come stiamo vedendo nelle dichiarazioni dei politici e dei burocrati della UE. Ricordiamo che il 6 luglio, dopo una riunione a Parigi con Angela Merkel, il presidente François Hollande ha detto che la UE “non è unicamente una costruzione monetaria e finanziaria” dando a intendere che dovrebbero essere prese in considerazione le questioni sociali e politiche. Il giorno seguente, e dopo un’altra riunione con la Merkel, ha dichiarato che prima di tutto cercava di mantenere la Grecia nella zona euro, ma che “c’era un’altra opzione:l’uscita con un programma di accompagnamento: la Francia ha l’obbligo di guardare in faccia questa opzione”.

Il presidente della CE, Valdis Dombrovsky, ha messo in dubbio la validità del referendum e ha detto che “un alleggerimento del debito non è negoziabile”, che il risultato del referendum aveva “drammaticamente indebolito” la capacità di negoziazione del governo greco e “complicato ancor più le cose (al punto che) è molto probabile che, con questo risultato, non ci siano possibilità che qualcuno vinca”. E, per essere più chiaro, ha sottolineato che non ci saranno fondi per le banche greche senza che prima lascino attivi come cauzione.

Il primo ministro olandese Mark Rutte ha fatto intendere la possibilità di un’espulsione dalla zona euro quando ha detto che “tutto ha termine se la Grecia non accetta le riforme che i creditori esigono: i greci pensano davvero che dopo aver votato NO gli daremo il benvenuto e gli chiederemo ‘Che cosa volete ancora’?”. Rutte ha sottolineato che il suo governo non disporrà alcun altro finanziamento per la Grecia.

E non è mancato neppure il disprezzo di un’adepta delle più ortodosse politiche neo-liberiste, la presidente della Lituania, Daria Grybauskaite, per cui “col governo greco è sempre ‘domani’ (…) ogni giorno può essere sempre ‘domani’” (The Guardian, 8.7.2015).

Un comunicato dell’Agenzia Bloomberg (7) riassume le opinioni di 6 dirigenti di paesi della UE con la conclusione che “dopo cinque mesi di dramma, false partenze e sgradevoli sorprese, i leaders europei si apprestano finalmente a mostrare a Alexis Tsipras la porta d’uscita”.

 

La Grecia può essere espulsa, ma il problema rimane

Questo confronto così asimmetrico e con così tante conseguenze politiche, sociali ed economiche, sia per la Grecia che per il rigido sistema della UE, difficilmente porterà ad un negoziato che risolva in modo giusto quello che è davvero in gioco, come la ristrutturazione del debito greco (e in futuro quello della Spagna, del Portogallo, dell’Italia e, eventualmente, della Francia) con una remissione importante.

 

Ma, e questo è qualcosa che si è ottenuto grazie a Syriza, d’ora in poi la ristrutturazione del debito pubblico non potrà essere tanto facilmente scartata dall’agenda dei negoziati dei paesi indebitati con la Troika e a livello politico. La questione della rinegoziazione del debito rimane anche se la Grecia dovesse essere espulsa.

 

E questa non è l’unica crisi politica che minaccia il presente ed il futuro della UE, visto che con la sua posizione sottomessa ai diktat di Washington e della NATO essa ha giocato un ruolo centrale nel colpo di Stato in Ucraina (che gli USA hanno finanziato con 5.000 milioni di dollari, niente di meno) per accerchiare e minacciare la Russia, un paese chiave per qualsiasi sviluppo economico della UE.

Immediatamente, a causa del referendum della Crimea e della sua unione alla Russia, la UE ha applicato contro Mosca sanzioni commerciali, politiche e di diverso tipo che hanno colpito le economie dei paesi membri della UE stessa. Le società USA, curiosamente, continuano invece ad aumentare il loro commercio e i loro investimenti in Russia.

 

Sul tema dei rifugiati - che arrivano attraverso il Mediterraneo, a causa degli interventi militari e delle azioni sovversive degli USA e di diversi paesi della UE che hanno distrutto varie società ed economie del Medio Oriente e dell’Africa -, la risposta della UE è di tipo militare (affondare le barche dei trafficanti di immigranti illegali), poliziesca (impedire che gli immigranti illegali che arrivano in un paese possano spostarsi in un altro della UE) e autoritaria (ogni paese della UE è obbligato ad accettare una quota di illegali).

 

Non parliamo neanche del Trattato con gli USA per l’Associazione Transatlantica di Commercio e Investimento (TTIP) che affronta grande opposizione in molti livelli delle società dei paesi della UE, ma che molto probabilmente sarà firmato dalla cupola della UE, confermando il fatto che il “gigante economico europeo”  non ha una politica indipendente per difendere i suoi interessi legittimi, costruire la pace e impedire il ritorno alla militarizzazione e alla guerra in Europa.

 

Ed è in questo modo che sta venendo esposta alla luce del giorno e al dibattito politico nelle nazioni che compongono la UE la vera ragione di essere di questo sistema, che l’esperienza ci dice essere una costruzione monetaria e finanziaria al servizio del Grande Capitale e non delle società delle nazioni che lo compongono.

 

Per tutto ciò è importante, e anche necessario, studiare il processo greco, la molto ricca ed istruttiva esperienza della formazione di Syriza, la diversità politica ed ideologica delle sue componenti, la pratica che le ha permesso di raggiungere la sua grande maturità politica e in particolare la stretta e fluida relazione che mantiene con il popolo e che si è manifestata nel risultato del referendum.

 

Il governo di Syriza ha agito in modo trasparente e partendo dal fatto che il suo dovere principale era proteggere la società e non gli interessi delle banche straniere o nazionali, e difendere quello che resta della sovranità nazionale e popolare. Quello che succederà nei prossimi giorni dovrà essere interpretato come parte di un processo in questa asimmetrica lotta che sta facendo il popolo greco.

 

Va ricordato che nella sua gestione di governo Syriza ha tenuto informato il popolo sui negoziati con la Troika e sull’intransigenza di quest’ultima nel non voler discutere su una ristrutturazione del debito e sull’esigere più severe politiche di austerità, nonostante persino un documento del FMI – datato 26 di giugno – che dimostra con cifre alla mano che ilo debito greco è insostenibile e che questa in transigenza aggraverà le conseguenze economiche del programma di austerità (8).

 

 

Note:

1.- Les Echos: http://www.lesechos.fr/monde/europe/021194038840-les-europeens-mettent-tsipras-au-pied-du-mur-un-accord-ou-le-grexit-dimanche-1135552.php?dAqSTHparYMrtvE4.99

2.- Dichiarazione di Yanis Varoufakis: Il ministro delle Finanze greco ha scritto sul suo blog quanto segue: Come tutte le lotte per i diritti democratici, anche questo storico rifiuto dell’ultimatum dell’Eurogruppo del 25 giugno è accompagnato da un alto prezzo. E’ allora essenziale che il grande capitale conferito al nostro governo dallo splendido voto del No sia investito immediatamente in una SI appropriata risoluzione – verso un accordo che includa la ristrutturazione del debito, meno austerità, redistribuzione a coloro che più ne hanno bisogno e riforme reali. Poco dopo l’annuncio del risultato del referendum, mi è stato fatto sapere di certe preferenze di alcuni partecipanti europei e di altri “partners”  perché io mi “assentassi” dalle riunioni, un’idea che il primo Ministro ha ritenuto l’avrebbe aiutato a raggiungere un accodo. Per questa ragione da oggi lascio il ministero delle Finanze. Considero mio dovere aiutare Alexis Tsipras a sfruttare, come ritenga necessario, il capitale che il popolo greco ci ha conferito con il referendum di ieri. E io porterò l’avversione dei creditori con orgoglio. Noi di sinistra sappiamo come agire collettivamente e senza i privilegi di un rango. Io devo appoggiare completamente il primo ministro Tsipras, il nuovo ministro delle Finanze e il nostro governo. Lo sforzo sovrumano che onora il coraggioso popolo di Grecia, e il famoso OXI (NO) che esso ha concesso a tutti i democratici del mondo è solo l’inizio. (libera traduzione dal blog:

http://yanisvaroufakis.eu/2015/07/06/minister-no-more/#more-8433

3.-RT in spagnolo: http://actualidad.rt.com/actualidad/179512-munevar-varufakis-claves-nueva-propuesta

4.- John Hellmer, NUDELMAN’S NEW WAR, NULAND’S NEMESIS – WILL GREECE, OR WON’T GREECE BE DESTROYED TO SAVE HER FROM RUSSIA, LIKE UKRAINE? http://johnhelmer.net/?p=13712

5.- Dominique de Villepin, http://www.bfmtv.com/politique/villepin-avec-tsipras-on-a-la-chance-d-avoir-un-jeune-premier-ministre-independant-900285.html
6.-
George Monbiot: http://www.theguardian.com/commentisfree/2015/jul/07/greece-financial-elite-democracy-liassez-faire-neoliberalism

7.- http://www.bloomberg.com/news/articles/2015-07-08/eu-tells-tsipras-the-party-s-over-as-euro-exit-door-swings-open

8.- FMI, 26 de junio 2015, GREECE, PRELIMINARY DRAFT DEBT SUSTAINABILITY ANALYSIS https://www.imf.org/external/pubs/ft/scr/2015/cr15165.pdf y The Guardian, 30 de junio 2015 http://www.theguardian.com/business/2015/jun/30/greek-debt-troika-analysis-says-significant-concessions-still-needed

 

(*) Giornalista e analista internazionale argentino, vive in Canada

da: alainet.org; 9.7.2015

 

(traduzione di Daniela Trollio

Centro di Iniziativa Proletaria “G.Tagarelli”

Via Magenta 88, Sesto S.Giovanni)

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