ELEZIONI IN BOLIVIA

 

Bolivia: trionfa presidente Evo Morales. Con il 60% voti ottiene terzo mandato, dedica a Castro e Chavez

Le ragioni del trionfo

di Atilio Boron (*); da:  pagina12.com.ar; 13.10.2014 

La schiacciante vittoria di Evo Morales ha una spiegazione molto semplice: ha vinto perchè il suo governo è stato, senza alcun dubbio, il migliore della convulsa storia della Bolivia. “Migliore” vuol dire, ovviamente, che ha fatto realtà della grande promessa, tante volte non realizzata di ogni democrazia: garantire il benessere materiale e spirituale delle grandi maggioranze nazionali, di quella eterogenea massa plebea oppressa, sfruttata e umiliata per secoli.

 

Non c’è alcuna esagerazione se si dice che Evo è lo spartiacque della storia boliviana; c’è una Bolivia prima del suo governo e un’altra, diversa e migliore, a partire dal suo arrivo al Palazzo Bruciato (sede del governo e del Capo del governo boliviani, n.d.t.). Questa nuova Bolivia, cristallizzata nello Stato Plurinazionale, ha seppellito definitivamente l’altra: coloniale, razzista, d’èlite, che niente e nessuno potrà resuscitare.

 

Un errore frequente è attribuire questa vera prodezza storica alla buona fortuna economica che si sarebbe sparsa sulla Bolivia a partire dai “venti di coda” dell’economia mondiale, ignorando che poco dopo l’ascesa al governo di Evo questa sarebbe entrata in un ciclo recessivo dal quale ancora non è uscita. Senza dubbio il suo governo ha gestito intelligentemente la politica economica, ma quello che, a nostro giudizio, è essenziale per spiegare la sua straordinaria leadership è stato il fatto che con Evo si è scatenata una vera rivoluzione politica e sociale il cui segno più importante è l’instaurazione, per la prima volta nella storia boliviana, di un governo dei movimenti sociali. 

 

Il MAS (Movimento al Socialismo, il partito di Evo Morales, n.d.t.) non è un partito in senso stretto ma una grande coalizione di organizzazioni popolari di diverso tipo che, nel corso di questi anni, si è ampliata fino a porre sotto la sua egemonia settori di “classe media” che in passato di erano opposti fortemente al leader “cocalero”. Per questo non sorprende che nel processo rivoluzionario boliviano (ricordiamo che la rivoluzione è sempre un processo, mai un atto) si siano espresse numerose contraddizioni che Alvaro Garcìa Linera, il compagno di formula di Evo, ha interpretato come tensioni creative proprie di ogni rivoluzione.

 

Nessuna è esente da contraddizioni, come tutto ciò che vive, ma quello che distingue la gestione di Evo è stato il fatto di averle risolte correttamente, rafforzando il blocco popolare e riaffermando il suo predominio nell’ambito dello Stato. Un presidente che quando si è sbagliato – ad esempio durante il “gazolinazo” ( proteste per un aumento dei generi petroliferi tra cui la benzina, n.d.t.) del dicembre 2010 – ha ammesso il suo errore e, dopo aver ascoltato la voce delle organizzazioni popolari, ha annullato l’aumento del combustibili decrettao pochi giorni prima.

 

Questa non frequente sensibilità nell’ascoltare la voce del popolo e nel rispondere di conseguenza è ciò che spiega perchè Evo ha ottenuto quello che Lula (Da Silva, ex presidente brasiliano, n.d.t.) e Dilma  (Rousseff, attuale presidente del Brasila, n.d.t.) non sono riusciti ad ottenere: trasformare la loro maggioranza elettorale in egemonia politica -  di questo si tratta - in capacità di forgiare un nuovo blocco starico e di costruire allenze sempre più ampie ma sempre sotto la direzione del popolo organizzato nei movimenti sociali. 

 

Certo che quanto detto prima non avrebbe potuto basarsi solo sull’abilità politica di Evo o sulla fascinazione di un racconto che esaltasse l’epopea dei popoli originari. Senza un adeguato ancoraggio nella vita materiale, tutto questo sarebbe sparito senza lasciare traccia. Ma si è combinato con risultati economici molto significativi che gli hanno fornito le condizioni necessarie per costruire l’egemonia politica che ieri ha reso possibile la sua trascinante vittoria.  

 

Il PIL è passato da 9.525 milioni di dollari del 2005 a 30.381 nel 2013, e il PIL pro capite è balzato da 1.010 a 2.757 dollari negli stessi anni.La chiave di questa crescita – e di questa distribuzione! – senza precedenti nella storia boliviana si trova nella nazionalizzazione degli idrocarburi. Se nel passato la distribuzione della rendita del gas e del petrolio lasciava nelle mani delle multinazionali l’82 per cento di quanto prodotto mentre lo Stato incassava solo il restante 18 per cento, con Evo questa relazione si è rovesciata e ora la parte del leone rimane nelle mani del fisco.

 

Non sorprende quindi che un paese che aveva cronici deficit nei conti fiscali abbia terminato l’anno 2013 con 14.430 milioni di dollari in riserve internazionali (contro i 1.714 milioni di cui disponeva nel 2005). Per valutare il significato di queste cifre, basta dire che le stesse equivalgono al 47% del PIL, la percentuale più alta dell’America Latina. In linea con quanto sopra, la povertà estrema si è abbassata dal 39% del 2005 al 18% del 2013 e c’è l’obiettivo di sradicarla completamete per l’anno 2025. 

 

Con il risultato di ieri Evo rimarrà nel Palazzo Bruciato fino al 2020, momento in cui il suo progetto di rifondazione avrà oltrepassato il punto di non ritorno. Rimane da vedere se avrà la maggioranza dei due terzi al Congresso, il che renderebbe possibile approvare una riforma costituzionale che gli aprirebbe la possibilità di una rielezione indefinita.

 

Davanti a questo fatto non mancheranno quelli che alzeranno grandi grida al cielo accusando il presidente boliviano di essere un dittattore o di pretendere di perpetuarsi al potere. Voci ipocrite e falsamente democratiche, che mai hanno espresso questa preoccupazione nei 16 anni di gestione di Helmut Kohl in Germania, o i 14 del lobbysta delle multinazionali spagnole, Felipe Gonzàlez. Quello che in Europa è una virtù, prova inappellabile di prevedibilità o stabilità politica, nel caso della Bolivia si trasforma in un vizio intollerabile che spoglia la presunto essenza dispotica del progetto del MAS.

 

Niente di nuovo: c’è una morale per gli auropei e un’altra per gli indios. Così, semplicemente. 

 

(*) Politologo argentino

 

 

 

(traduzione di Daniela Trollio Centro di Iniziativa Proletaria “G.Tagarelli”

 

Via Magenta 88, Sesto S.Giovanni) 

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