"DEMOCRAZIA" U.S.A.

 

Alla rovescia

 

di David Brooks (*)

 

A volte sembra che tutto sia al contrario. Durante gli ultimi giorni ci sono stati una serie di esempi  che fanno pensare che l’osservatore sia  capovolto o che le cose che osserva siano il contrario di quello che dicono di essere. 

 

Il paese che si proclama faro della libertà mondiale ha la più alta popolazione incarcerata del pianeta: 2,2 milioni di rei. Gli Stati Uniti hanno meno del 5% della popolazione mondiale, ma quasi il 25% della popolazione carcerata del mondo.

 

Questa settimana un rapporto del Consiglio Nazionale delle Ricerche, gruppo scientifico d’élite dell’Accademia Nazionale delle Scienze, segnala che quasi uno su ogni 100 adulti nel paese è in carcere, un tasso da 5 a 10 volte superiore a quelli dell’Europa e di altre democrazie. Dei carcerati il 60% sono afroamericani o latini. Il rapporto segnala che l’esplosione della popolazione carceraria è in parte risultato della cosiddetta guerra alla droga degli ultimi 40 anni.

 

Il paese che si considera esempio di democrazia – ovvero di un governo eletto e che governa in nome del popolo – ha dimostrato una volta di più che il popolo ha ben poca influenza sui suoi rappresentanti. Nonostante l’opinione pubblica sia massicciamente a favore di un aumento del salario minimo (in alcuni sondaggi lo appoggia più del 75%), il Senato, di cui più della metà dei componenti è milionario, ha rigettato questa misura. Non è stato inusuale visto che recentemente, nell’analizzare sondaggi dell’opinione pubblica, i ricercatori hanno dimostrato che gli interessi dei più ricchi prevalgono quasi sempre sulla volontà e sull’influenza della maggioranza. 

 

Nel paese che si proclama campione del mondo civilizzato, lo Stato continua ad assassinare legalmente i condannati, anche in violazione del diritto internazionale nel caso di vari messicani e di altri stranieri.

 

La scorsa settimana il mondo è stato testimone di una barbarie dietro l’altra in Oklahoma: non solo si  è trattato di un’esecuzione, ma di qualcosa di più di una morte per tortura, per errori nell’esecuzione di un reo nel tentativo di ucciderlo umanamente, atto che l’alto commissario per i diritti umani dell’Organizzazione delle Nazioni Unite ha condannato come castigo crudele, inumano e degradante. Negli Stati Uniti sono avvenute 1.379 esecuzioni dal 1976, e questa è stata la ventesima di quest’anno. Al di là della brutalità, tra il 1973 e oggi 144 condannati che aspettavano nel braccio della morte sono stati discolpati (non ci sono cifre su quanti di quelli messi a morte fossero innocenti e vittime di processi sbagliati), e si calcola che più del 4% di quelli che aspettano l’esecuzione potrebbero essere stati condannati erroneamente. 

 

Con il suo autoelogio di essere un paese in cui la giustizia impera per tutti, a New York sta per concludersi uno degli ultimi processi relativi a partecipanti al movimento Occupy Wall Street.

 

Cecily McMillan, studentessa dell’Università New School e tenace promotrice dell’azione non violenta, è accusata di aver colpito un poliziotto sotto a un occhio mentre questi cercava di arrestarla, accusa che implica una potenziale condanna fino a sette anni di carcere. Lei dice che il poliziotto l’ha abbrancata da dietro e le ha colpito il seno, e che lei non sapeva che l’aggressore fosse un pubblico ufficiale quando, spontanea reazione di difesa, gli ha dato una gomitata. Non importa che il poliziotto sia già stato precedentemente accusato di uso eccessivo della forza, né che McMillan non abbia precedenti penali, né il fatto che la polizia ha utilizzato molte volte tattiche di aggressione fisica contro gli Occupy. Come di solito succede, quelli che denunciano o sono vittime dell’ingiustizia qui vengono a trovarsi sul banco degli imputati. 

 

Intanto, come segnala il giornalista Matt Taibbi nel suo nuovo libro sull’applicazione della giustizia nell’epoca della più grande breccia della ricchezza del secolo, i più ricchi sono diventati intoccabili per la giustizia mentre la si applica in maniera sempre più aggressiva contro i dissidenti ed i poveri.

 

 Egli sottolinea, come altri, che nessun dirigente delle banche più grandi, responsabili di una frode di massa che fece scoppiare la peggiore crisi finanziaria dalla grande depressione, è stato incarcerato per un fatto che ha colpito milioni di cittadini. 

 

In quello che il presidente Barak Obama ha proclamato, dai suoi primi giorni, come il governo più trasparente della storia, il direttore dei servizi segreti nazionali, James Clapper, ha ordinato a tutti gli impiegati del settore servizi e sicurezza nazionale di non avere alcun contatto e di non fare alcun commento ad alcun giornalista.

 

Dall’altra parte la Casa Bianca è riuscita, con i suoi alleati al Senato, ad annullare una misura che avrebbe obbligato Obama a riferire pubblicamente il numero di persone uccise o ferite nel corso delle sue operazioni con l’uso di forze letali, come i droni, in Pakistan e in altri paesi. 

 

Il 1° maggio – Giornata del Lavoro in quasi tutto il mondo tranne qui, paese dove ebbe origine con la lotta sindacale dei martiri di Chicago per la giornata di otto ore a fine secolo IXI, anniversario che in anni recenti è stato risuscitato dagli immigrati in lotta per i loro diritti di base - è stato cambiato in qualcosa che non ha nulla a che vedere con le sue origini.

 

Il presidente Obama, che considera Chicago la sua città di origine e che come organizzatore comunitario conosce sicuramente il riferimento storico di questo giorno – proprio lo stesso giorno in cui gli immigranti e i sindacati si mobilitavano nel paese per i diritti del lavoro e civili – ha emesso un decreto per designare il 1° maggio Giorno della Lealtà, data in cui rinnoviamo le nostre convinzioni e i nostri principi di libertà, eguaglianza e giustizia secondo la legge e ha fatto appello perché tutti celebrino questo giorno esponendo la bandiera statunitense o giurando lealtà alla repubblica. 

 

A volte sembra come quelle stanze rivestite di specchio, che distorcono tutto e riescono anche a rovesciare il riflesso fino a che tutto finisce alla rovescia. 

 

(*) Giornalista e commentatore politico statunitense.  Scrive sul New York Times. da: jornada.unam.mx; 5.5.2014 

 

 

 

(traduzione di Daniela Trollio Centro di Iniziativa Proletaria “G. Tagarelli”

 

Via Magenta 88, Sesto S.Giovanni)

 

 

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