OTTOBRE E LE RIVOLUZIONI

Articolo pubblicato su nuova unità  - rivista di politica e cultura comunista, novembre 2013

 

Ottobre, ottobre….

 

di Daniela Trollio (*)

 

Ottobre sembra essere un mese cruciale per le rivoluzioni. L’Ottobre più luminoso è quello del 1917, quando il proletariato russo diede l’assalto al cielo e si conquistò il diritto a costruire il primo Stato degli sfruttati e degli oppressi. Ma Ottobre  non è stato sempre vittorie, ed è anche l’occasione per ragionare su una serie di esperienze storiche successive.

 

Perché ricordare non può essere solo celebrare: se la memoria non diventa lezione per il presente finisce per essere solo il ricordo di ciò che è stato e non è – o non sarà – più: frustrante ed inutile esercizio di retorica.

 

Nell’Ottobre 1944, mentre l’Europa è ancora in piena guerra mondiale, in un piccolo paese del Centro America, il giorno 20 il “Napoleone dei Caraibi” - il dittatore guatemalteco Jorge Ubico - viene rovesciato, dopo 14 anni di terrore, da un’alleanza tra movimenti studenteschi, borghesia nascente e militari esclusi dal banchetto della dittatura.

Civili e militari “di spirito socialista” danno così inizio ad  un processo rivoluzionario che durerà fino al 1954. Sotto due presidenti eletti democraticamente – Juan José Arèvalo (1945-1951) e Jacobo Arbenz (1951-1954) – questa coalizione di forze “di spirito socialista” porterà avanti una serie di profondi cambiamenti della struttura della società del Guatemala. In un paese semi-feudale, in dieci anni vengono espropriate  e nazionalizzate tutte le terre incolte per essere date alle organizzazioni contadini. Si costruisce una legislazione sui diritti fondamentali dei lavoratori, di cui l’attuale Istituto Guatemalteco di Sicurezza Sociale è erede. Vengono costruite le principali strade del paese per spezzare il monopolio del servizio di trasporto appartenente alle compagnie bananiere nordamericane. Si sviluppa un programma culturale senza precedenti di accesso all’educazione per tutta la popolazione. Lo Stato democratico e “rivoluzionario” diventa l’attore principale dell’economia del paese. Per consolidare  tutte queste misure viene redatta una nuova Costituzione Politica dello Stato, basata sulla dignità e sulla sovranità nazionale.

Ma il processo rivoluzionario ha danneggiato profondamente e direttamente gli interessi e i privilegi economici e politici di una potenza, la United Fruit Company, oltre a quelli di un’ottusa oligarchia semifeudale e della gerarchia cattolica. La United Fruit si rivolge direttamente alla Segreteria di Stato USA, diretta a quel tempo da John Foster Dulles, socio della compagnia, ed alla CIA, il cui capo è il fratello Allen Dulles.

Parte così l’operazione BP Success, che porterà alla sconfitta del processo rivoluzionario e all’instaurazione della dittatura di Carlos Castillo Armas, che durerà 30 anni e causerà la morte di 200.000 civili guatemaltechi.

A guardare impotente i B52 nordamericani che bombardano Città del Guatemala ci sarà anche un allora anonimo giovane studente di nome Ernesto Guevara de la Serna che, diventato il “Che”, farà tesoro negli anni a venire di questa bruciante lezione.

Quale lezione? Fondamentalmente una: si era trattato sì di una “rivoluzione per i poveri”, ma senza i poveri. Arbenz, pur denunciando le manovre USA, non pensò mai di chiamare le masse che avevano beneficiato del processo rivoluzionario a difenderlo nelle strade. Esse erano appunto beneficiarie, non soggetto rivoluzionario, e i dirigenti del governo non avevano alcuna fiducia nella capacità di organizzarsi delle grandi masse povere ed escluse del paese.

 

 

Il 16 ottobre 1953, durante il processo per l’assalto alla caserma Moncada, Fidel Castro pronuncia la sua arringa di difesa, che sarà conosciuta col titolo di “La Storia mi assolverà”: «È stato in questo continente e in quest’epoca che l’avventura caparbia di pochi giovani in uno dei paesi più poveri del mondo ha cominciato a cambiare la Storia, ad appena centocinquanta chilometri dal più potente paese capitalista del pianeta.»Parole profetiche, visto che Cuba è ancora là, a sfidare dopo più di 60 anni l’imperialismo nordamericano e a dimostrare che i popoli possono cambiare la storia.

 

In un giorno d’ottobre (il 9 dell’anno 1967, per la precisione), in terra boliviana, con cento colpi è morto Ernesto Che Guevara” cantava Guccini. Non è questa l’occasione per discutere della sua figura se non per ricordare solo una cosa: la lezione del Guatemala il Che la imparò e la mise in pratica, non solo a Cuba. La sua presunta”sconfitta” in Bolivia, lungi dal cancellare la sua figura dalla storia, ne ha fatto un punto di riferimento per tutte le lotte dei popoli del mondo. Ovunque vi sia una ribellione, il suo ritratto, il suo esempio, il suo pensiero e la sua azione, mai separati, rinascono per ricreare i peggiori incubi all’imperialismo.

 

25 Ottobre 1983, ore 5 del mattino. Una piccola isola dei Caraibi, di nome Granada, sta per pagare assai caro il sogno di una rivoluzione. E’ appena partita l’operazione “Furia Urgente” voluta da Ronald Reagan contro la piccola isola caraibica, 344 chilometri quadrati per una popolazione di 100.000 abitanti. La capitale Saint George viene bombardata da aerei, elicotteri  e navi da guerra nordamericane, che sbarcano poi 7.000 marines. L’operazione USA, la prima in grande stile dopo la sconfitta del Vietnam, vede in campo una tragica e grottesca sproporzione militare: di fronte ai marines c’è solo un esercito di 800 soldati, molti dei quali avevano già disertato alla notizia dell’assassinio del presidente Maurice Bishop, avvenuto qualche giorno prima. Il saldo dell’operazione sarà di 94 persone assassinate – tra cui 25 tecnici e operai cubani che lavoravano alla costruzione di un aeroporto – più di 500 feriti e 3.000 arrestati.

Bishop, fondatore e dirigente del New Jewel Movement, nel 1979 era riuscito a rovesciare il dittatore Eric Gairy, amico di Pinochet, di Washington e di Londra, e a dare inizio alla “People’s Revolution”. Occupate le caserme dell’esercito e la radio, aveva dato vita al Governo Popolare Rivoluzionario, iniziando un processo di  profonde trasformazioni sociali con prospettive socialiste. Misure per difendere i diritti e le condizioni di vita dei lavoratori, che avevano abbassato la disoccupazione dal 49% al 12%, educazione gratuita con metodi didattici libertari, sviluppo della cultura locale contro i condizionamenti culturali esterni erano alcuni dei risultati di questo processo che, insieme alla rivoluzione sandinista, voleva segnare una nuova epoca nella regione.

Il copione dell’operazione “Furia Urgente” era quello ancor oggi utilizzato: una presunta fabbricazione di razzi (mai apparsi), il pericolo (inesistente) che correvano gli studenti nordamericani nell’isola rivoluzionaria, e la costruzione dell’aeroporto, voluta per potenziare il turismo, ma che per gli USA sarebbe diventato una base militare sovietica. Ronald Reagan così definì l’operazione: Ci dicevano che Granada era un’isola amica e un paradiso turistico. Ma non era vero. Era una colonia sovietico-cubana che si stava preparando a diventare bastione militare per generare il terrore e indebolire la democrazia. Arrivammo là giusto in tempo”.

 

Insomma, il pericolo “comunista” di sempre.

Se oggi sostituiamo alla parola “comunista” quella di “terrorista”, ci ritroviamo avviluppati nel filo che lega l’Iraq, l’Afganistan, la Libia, la Siria. Sempre le stesse scuse, che faremmo bene a non berci più, sprecando il nostro tempo in sterili discussioni puriste fatte nelle nostre comode case - mentre quei popoli agonizzano sotto le bombe imperialiste -  se sia il caso o no di essere contro.

 

Sempre in Ottobre, il giorno 17 dell’anno 2003, il più protetto presidente neoliberista, il boliviano Gonzalo Sànchez de Losada, deve fuggire di gran carriera dal suo paese, con destinazione USA, il paese in cui è cresciuto, rovesciato da una rivoluzione guidata questa volta - a differenza del Guatemala - da operai, minatori e contadini, in massima parte indigeni, organizzati e armati.

La bidonville di El Alto, che guarda dalle pendici delle montagne che la circondano la capitale La Paz, acquattata nella conca, si è rivoltata e lo ha sconfitto. Alla rivolta si uniranno in seguito gli studenti, gli impiegati, le classi medie impoverite. Persino i soldati si rifiuteranno di continuare a sparare sulla popolazione e si uniranno alla rivolta, rispondendo all’invito fatto loro nel lontano 1967 dal grande poeta cubano Nicolàs Guillèn in occasione della morte del Che il cui sacrificio, non solo per quanto riguarda la Bolivia, non è stato vano:

Ma certo imparerai, soldatino boliviano Che non si uccide un fratello, che non si uccide un fratello Che non si uccide un fratello, soldatino di Bolivia.

La “Agenda di ottobre”, il manifesto della rivoluzione boliviana – delle cui ragioni storiche potrete leggere in altra parte di questa pagina – comprendeva  la nazionalizzazione e l’industrializzazione del gas naturale, la redazione e approvazione di una nuova Costituzione redatta dall’Assemblea Costituente Sovrana e Partecipativa, autonomia, terra e territorio per i popoli indigeni fra le altre cose. Oggi lo Stato Plurinazionale di Bolivia ha anche il primo presidente indigeno d’America, Evo Morales.

 

Abbiamo voluto ricordare le vittorie e le sconfitte degli Ottobri dei decenni passati perché i loro insegnamenti servano, oggi e domani, nella lotta contro il più grande nemico dell’umanità, il capitale in tutte le sue forme. E per questo ritorniamo alle parole di Lenin, pronunciate nel 4° anniversario della Rivoluzione bolscevica:

Questa prima vittoria non è ancora una vittoria definitiva ed è stata ottenuta dalla nostra rivoluzione d'ottobre attraverso ostacoli e difficoltà senza uguali, sofferenze inaudite, attraverso una serie di insuccessi e di errori grandissimi da parte nostra. Come se, da solo, un popolo arretrato avesse potuto vincere senza insuccessi e senza errori le guerre imperialiste dei paesi più potenti e più avanzati del mondo! Noi non abbiamo paura di riconoscere i nostri errori e li esaminiamo spassionatamente per imparare a correggerli. Ma il fatto rimane: per la prima volta, dopo centinaia e migliaia di anni, la promessa di «rispondere» alla guerra tra gli schiavisti con la rivoluzione degli schiavi contro tutti gli schiavisti è stata mantenuta fino in fondo e lo è stata malgrado tutte le difficoltà. …. Noi abbiamo cominciato quest'opera. Quando, entro che termine precisamente, i proletari la condurranno a termine? Ed a quale nazione apparterranno coloro che la condurranno a termine? Non è questa la questione essenziale. È essenziale il fatto che il ghiaccio è rotto, la via è aperta, la strada è segnata.”.

 

(Centro di Iniziativa Proletaria “G.Tagarelli”

Via Magenta 88, Sesto S.Giovanni, MI)

 

Articolo pubblicato su nuova unità  - rivista di politica e cultura comunista, novembre 2013

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