UGO CHAVEZ

                                                      

L’uomo col basco rosso

                            di Daniela Trollio (*)

Sei dappertutto. Nell’indio

fatto di sogno e rame. E nel nero avvolto nella spumosa fiumana,

e nell’essere fatto di petrolio e salnitro,

e nel terribile abbandono

della banana, e nella grande pampa delle pelli

e nello zucchero e nel sale e nella pianta di caffè

Nicolàs Guillen, “Che Comandante”

 

Hugo Chàvez Frìas, presidente del Venezuela e ispiratore del “socialismo del XXI secolo” non è più tra noi.

Le parole che il poeta cubano Nicolàs Guillen ha dedicato al Che Guevara racchiudono forse il segreto: Chàvez ha incarnato le sofferenze dello sfruttamento brutale, i sogni, i desideri e la millenaria, caparbia, volontà di rivolta dei popoli latinoamericani. Per questo è stato tanto amato quanto odiato, perché questi sogni si sono realizzati, questa volontà di riscossa ha vinto.

Per sempre? Non lo possiamo sapere, ma se oggi l’America Latina è un continente che marcia verso la giustizia sociale, la solidarietà tra i popoli  e l’unità, dopo essersi scrollata di dosso – in gran parte – i freddi e crudeli ingranaggi dell’imperialismo, quel Fondo Monetario Internazionale e quella Banca Mondiale che oggi si accaniscono sulla nostra “avanzata e democratica” Europa, lo si deve in gran parte a Hugo Chàvez.

Le grandi conquiste del popolo venezuelano diretto da Chàvez le potete leggere in una lunga lista compilata da Salim Lamrani, professore francese esperto di cose latinoamericane in altra parte di questa pagina. Le “50 verità su Hugo Chàvez e la Rivoluzione Bolivariana” fanno impallidire noi, che nelle democrazie “consolidate” vediamo ogni giorno di più cancellare quei diritti che i nostri padri, e alcuni di noi, hanno conquistato con la lotta, spinti ogni giorno di più verso un abisso di sfruttamento, povertà, oppressione, miseria e guerra.

Povero indio, secondo di sei fratelli che giocavano senza scarpe nelle tre polverose stradine di Sabaneta de Barinas, parte di quel quasi 50% di venezuelani neppure registrati all’anagrafe, Chàvez si arruolò nell’esercito per sfuggire alla annosa povertà della maggior parte del suo popolo. Non faremo la storia della sua vita, se n’è scritto abbastanza in occasione della sua morte, ma qui ci interessa ricordare e sottolineare alcuni elementi di questa storia.

 

La fine della storia

Nel 1992 Francis Fukuyama dava alle stampe il suo libro “La fine della Storia”. In periodo di neoliberismo trionfante in realtà Fukuyama intendeva tutt’altra cosa: fine della lotta di classe. Nello stesso anno Hugo Chàvez, col tentativo di colpo di stato del suo Movimento Bolivariano per cui fu arrestato e successivamente liberato  per le grandi proteste popolari seguite al suo arresto, dava invece inizio al movimento che avrebbe portato la maggioranza degli sfruttati, degli emarginati e degli oppressi venezuelani a prendere – nella sua persona - il potere dello Stato. Non si è trattato di una rivoluzione proletaria “classica” guidata dalla classe operaia, è vero, ma vogliamo suggerire ai tanti, a sinistra, che non lo hanno amato di rileggere quanto Marx ed Engels scrivevano della Comune di Parigi.

E vogliamo anche chiederci, e chiedere: cosa dovrebbero fare i rivoluzionari in paesi, come quelli dell’America Latina dove la classe operaia – se c’è – è una piccolissima parte di un’immensa maggioranza di sfruttati, di emarginati, di oppressi? Nel corso dell’ultimo secolo c’è chi ha risposto che bisognava attendere lo sviluppo di questa classe operaia per garantire la “perfezione” della rivoluzione, perfezione che – diceva Lenin – non sarebbe mai esistita perché le rivoluzioni le fanno gli uomini, che perfetti non sono. Una risposta di questo genere, anche se più sfumata e argomentata, vuol dire gettare alle ortiche tutti i processi rivoluzionari che da allora hanno preso vita. Ma se Marx e Engels scrivono che “Il comunismo è il movimento reale che abolisce lo stato di cose presenti, aggiungono anche che “le condizioni di questo movimento risultano dal presupposto ora esistente”. Questa è, secondo noi, la risposta giusta, ed è la risposta che riassume proprio tutti i processi rivoluzionari in corso in America Latina, passati e presenti, a cominciare dalla Rivoluzione Cubana fino alla Rivoluzione Bolivariana di Hugo Chàvez; è il concetto di “socialismo del XXI secolo”, una sperimentazione - sulla base della realtà esistente ma senza arrendersi ad essa - del progetto di costruzione di una società socialista in un mondo ancora dominato dall’imperialismo .

 

Il socialismo del XXI secolo

Nel 1989 cadeva il muro di Berlino. Nel 1991 si “dissolveva”, senza colpo ferire, l’Unione Sovietica. Per la borghesia internazionale cadeva “il socialismo”. Per i rivoluzionari si apriva, in quegli anni, un periodo di enormi difficoltà che ancor oggi – nell’epoca in cui dal punto di vista materiale ed oggettivo il capitalismo, lasciando cadere ogni maschera di democrazia, sviluppo ecc., ha mostrato la barbarie in cui vuole sprofondare i popoli – rende molti timidi nel parlare di socialismo, di un altro progetto di società dove non esista più lo sfruttamento dell’uomo sull’uomo. Nel 2005, dalla tribuna del Forum Sociale Mondiale di Porto Alegre, fu proprio Hugò Chàvez a riproporre il progetto socialista di società, affermando che questo era l’unico processo che avrebbe potuto raccogliere e unificare tutte le istanze che là si esprimevano. Non era né il luogo né il momento favorevole, eppure dalla sua proposta è ripreso non solo il dibattito ma l’esperienza del socialismo, almeno in Venezuela.

Imparando dalla realtà della lotta di classe nel suo paese – mai cessata, e in ogni occasione cruciale violenta e anche armata- abbandonando l’idea di poter costruire il socialismo dall’alto, il Movimento Bolivariano da lui costruito tornò nelle strade, al lavoro nelle “comuni”, all’organizzazione delle cooperative dei lavoratori, all’idea marxista dell’auto-organizzazione della classe. La forza della sua proposta sta, secondo noi, nella volontà e nella capacità di superare l’ordine esistente, che si chiami fine della storia, condizioni oggettive, neoliberismo o come volete. Volontà e capacità che, in anni lontani, fecero di Lenin la guida riconosciuta del proletariato russo.

Nel suo discorso di 5 mesi fa (Un colpo di timone), forse il suo testamento politico, Chàvez riconosceva che, nonostante si fosse fatta la rivoluzione politica, non si erano ancora realizzati i cambiamenti economici propri del socialismo. E aggiungeva: “Questo lo dico non perché ci si debba sentire intimiditi; al contrario, lo dico per rafforzarci davanti alla complessità della sfida”. Esprimeva così, una volta ancora, la volontà di non accontentarsi di “ciò che esiste”, la volontà che il popolo venezuelano ha mostrato in tutti questi anni.

 

Lacrime e razzismo

Vogliamo toccare, in ultimo, un aspetto apparentemente secondario ma, secondo noi, illuminante: l’atteggiamento della stampa occidentale rispetto ai sentimenti di affetto, stima e dolore mostrati dal popolo venezuelano in occasione della malattia e della morte del Comandante Hugo Chàvez.

Il fatto che milioni di persone aspettassero, piangessero e pregassero nelle strade per la sorte del loro Comandante prima, e per la sua morte poi, ci è stato presentato come un aspetto dell’infantilismo di un popolo arretrato culturalmente e politicamente, l’aspetto deteriore del solito “caudillismo” sudamericano (sempre nell’articolo di Salim Lamrani ci sono i dati sulla scolarizzazione in Venezuela, che ci fanno desiderare – davanti allo sfascio della scuola e della cultura nel nostro paese - di essere “arretrati” come loro).

Due sono le osservazioni: uno, suggerire che, morto Chàvez, morirà anche il suo progetto. A questo hanno già risposto gli sfruttati e gli oppressi del Venezuela: il mare di camicie rosse nelle strade portava cartelli che dicevano “Siamo tutti Chàvez”, il che significa semplicemente che il progetto bolivariano non è il progetto di un solo uomo, ma di un popolo intero.

Facciamo una digressione: mentre scriviamo si sprecano, sulle pagine degli stessi giornali, i ricordi di Margaret Thatcher, la lady di ferro pioniera del neoliberismo in Europa, che massacrò i minatori britannici e, con loro, la classe operaia che non seppe unirsi a quella lotta. Chi vuole la pianga ma i minatori non lo hanno fatto. Il segretario generale dell’Associazione dei Minatori di Durham, David Hopper, ha dichiarato: “Non provo alcuna tristezza; lei ha distrutto la nostra comunità, i nostri villaggi e la nostra gente.”. Hopper ha detto anche di avere “ricordi molto brutti di ciò che ci ha fatto. Mise l’intera nazione contro di noi e la violenza con cui ci trattò fu terribile.Sono contento di essere vissuto più di lei. Oggi è un grande giorno per tutti i minatori”.  Del resto, vi immaginate folle di europei che portano cartelli con scritto “Siamo tutti Berlusconi” (o Bersani) e “Siamo tutti Angela Merkel”?!

La seconda osservazione è quella relativa al razzismo strisciante che riveste sempre i commenti su quanto avviene nel cosiddetto Terzo Mondo. 55 capi di Stato provenienti da tutti i paesi dell’America Latina (e dal mondo) hanno partecipato ai funerali di Hugo Chàvez, facendo la guardia d’onore alla sua bara, primo fra tutti Raùl Castro per Cuba. Un grande e chiaro riconoscimento del ruolo fondamentale svolto dal Venezuela e dal suo governo nei progetti di integrazione antimperialista del continente, che ne hanno fatto in pochi anni, da cortile di casa degli USA una “potenza” che nessuno può sottovalutare. Ma di questo neppure una parola sui nostri giornali, solo commenti folkloristici e profonda cecità politica, che fa scambiare la realtà con i propri desideri o, meglio, con i desideri del proprio padrone.

 

Una voce latinoamericana

Meglio di quanto abbiamo cercato noi di spiegare la figura di Hugo Chàvez Frìas lo hanno fatto i compatrioti della sua Patria Grande, ed è giusto che sia così. . Vogliamo quindi finire citando alcuni brani di un articolo scritto dal politologo argentino Atilio Boròn.

 

“....La storia darà il suo verdetto sul compito portato avanti da Chàvez, anche se non abbiamo dubbi che sarà positivo. Al di là di qualsiasi discussione che si possa legittimamente fare all’interno del campo antimperialista – non sempre sufficientemente saggio da distinguere con chiarezza amici e nemici – bisogna partire riconoscendo che il leader bolivariano ha girato una pagina della storia venezuelana e, perchè no?, latinoamericana. Da oggi si parlerà di un Venezuela e di un’ America Latina precedente e di una posteriore a Chàvez, e non è avventato  ritenere che i cambiamenti che egli ha spinto e di cui è stato protagonista come pochi nella nostra storia portino il sigillo dell’irreversibilità..... Si può smarrire il cammino delle nazionalizzazioni e si possono privatizzare le imprese pubbliche, ma è infinitamente più difficile ottenere che un popolo che ha acquistato coscienza della sua libertà retroceda e accetti nuovamente la sottomissione.

....E’ stato Chàvez colui che, nel mezzo della notte neoliberista, ha riportato nel dibattito pubblico latinoamericano – e in gran parte internazionale – l’attualità del socialismo. Più ancora, la necessità del socialismo come unica alternativa reale, non illusoria, davanti all’inesorabile putrefazione del capitalismo, denunciando la frode delle politiche che pretendono di risolvere la sua crisi integrale e sistemica conservando i parametri fondamentali di un ordine economico-sociale storicamente spacciato.

Questo uomo straordinario, che mi ha onorato della sua amorevole amicizia, se n’è andato per sempre. Ma ci ha lasciato un’eredità immensa, incancellabile, e i popoli della Nostra America ispirati dal suo esempio contineranno a seguire il cammino che conduce verso la nostra seconda e definitiva indipendenza. Succederà per lui quello che è successo con il Che: la sua morte, invece di cancellarlo dalla scena politica, ingrandirà la sua presenza e il suo ruolo nelle lotte dei nostri popoli. Per uno di quei paradossi che la storia riserva solo ai grandi, la sua morte lo trasforma in un personaggio immortale. Hasta la victoria siempre, Comandante Chàvez”.

 

Quelli che muoiono per la vita non si possono chiamare morti”

(Alì Primera, cantautore rivoluzionario venezuelano

 

(Centro di Iniziativa Proletaria “G:Tagarelli

Via Magenta 88, Sesto S.Giovanni)

 

Anteprima della rivista “nuova unità”

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Commenti: 3
  • #1

    u=6738 (sabato, 27 aprile 2013 14:24)

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  • #2

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  • #3

    威哥王 (venerdì, 16 agosto 2013 10:49)

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