GAZA

La dieta israeliana

di Juan Gelman (*); da: surysur.net; 28.10.2012

 

L’idea è di mettere a dieta i palestinesi, non di ucciderli per fame”: sono parole pronunciate più di sei anni fa da Dov Weisglass, consigliere di Ehud Olmert, allora primo ministro israeliano, poco dopo che Hamas vincesse le elezioni a Gaza (www.commondreams.org, 24-10-12).

Potrebbe sembrare una risposta metaforica a quella vittoria. Ma non è così: è una politica studiata minuziosamente dal governo israeliano.

 

Gisha, un’organizzazione israeliana che si batte per la libertà di movimento e di commercio dei palestinesi, è riuscita – dopo una battaglia legale durata tre anni e mezzo – a ottenere la declassificazione di un documento segreto riguardante le “linee rosse” imposte agli abitanti della Striscia. Questo documento è stato redatto all’inizio del 2008, quando Olmert decise di stringere ancor più il collo – e lo stomaco – del milione e mezzo di abitanti del territorio, bloccato dal giugno 2006 per la richiesta della liberazione di un soldato di Israele prigioniero di Hamas.

 

L’obiettivo ufficiale di questa politica era iniziare una guerra economica per paralizzare l’economia di Gaza e, secondo il Ministero della Difesa (israeliano), fare pressione sul governo di Hamas”, segnala un rapporto di Gisha (www.france24.com, 17-10-12). Fu preparata accuratamente. Funzionari del sistema sanitario israeliano calcolarono il minimo delle calorie che ogni palestinese aveva bisogno e, su questa base, il numero di camion con alimenti a cui si poteva permettere di entrare a Gaza.

Il Ministero della Salute israeliano stimava che tale numero dovesse corrispondere a 170 veicoli al giorno per poter fornire 2.279 calorie a ogni palestinese della Striscia. Prima del blocco ne arrivavano 400 al giorno e, secondo il rapporto di Gisha, con l’applicazione della “linea rossa” vennero ridotti ad una media di 67, meno della metà della cifra fissata dal regolamento ministeriale.

I funzionari affermavano che non ce n’era bisogno di più, in virtù della loro più che generosa stima di quanto si produceva localmente . A quanto sembra ignoravano che il blocco aveva danneggiato seriamente l’agricoltura di Gaza: la scarsità di sementi, ad esempio, aveva provocato una grave discesa della produzione alimentare.

 

In realtà neppure tutti gli alimenti trasportati dai 67 camion arrivavano nella Striscia.

Le pattuglie militari li facevano scaricare per ispezionarne il contenuto, che si spargeva all’aprirsi dei sacchi e al ricaricarli su altri camion e l’esposizione al sole e all’aria faceva andare a male, a volte, più della metà della frutta e della verdura trasportati.

Non sorprende che la Croce Rossa segnalasse, in un rapporto del 2008, che “il blocco israeliano di Gaza ha portato ad un aumento continuo della malnutrizione cronica degli abitanti della Striscia” (www.independent.co.uk, 15-12-08). Si aggiungeva che le dure restrizioni a tutti i settori dell’economia del territorio avevano aumentato l’inflazione di circa il 40% causando “un deterioramento progressivo della sicurezza alimentare per circa il 70% della popolazione”.

La dieta Weinglass funzionava.

 

Il documento declassificato indica, tra l’altro: “A Gaza verrà ridotta la movimentazione delle merci, verrà ridotta la fornitura di gas e di elettricità e verranno imposte restrizioni allo spostamento delle persone in Gaza e fuori di Gaza” (www.europalestine.com, 18-10-12).

Guy Inbar, portavoce del dipartimento del Ministero della Difesa che coordina le attività del governo israeliano nei territori palestinesi, ha dichiarato che il documento “era solo una bozza che non è mai stata messa in pratica … non abbiamo mai contato le calorie”. E’ più facile scontare camion.

 

Le restrizioni si attenuarono un poco quando, il 31 maggio 2010, alcuni commandos israeliani attaccarono in acque internazionali una flottiglia di sei imbarcazioni che portavano alimenti e materiali da costruzione ai palestinesi bloccati. Gli aiuti erano stati organizzati dal Movimento Libertà per Gaza e dalla Fondazione per i Diritti Umani della Turchia e l’attacco militare israeliano causò nove morti, otto cittadini turchi e uno statunitense, provocando una condanna internazionale generalizzata e tensioni tra Turchia e Israele.

 

Si tratta di una pratica che Israele non abbandona. Sabato 20 (ottobre) la nave battente bandiera finlandese Estelle, che trasportava aiuti umanitari per gli abitanti della Striscia, è stata intercettata e deviata in un porto israeliano. I suoi passeggeri erano parlamentari europei, il democratico statunitense Jim Manly e attivisti pro-palestinesi (www.bc.ca, 23-10-12). Sono stati arrestati e deportati.

 

Martedì scorso è avvenuto un fatto insolito: la prima visita a Gaza di un capo di Stato dal 1999.

L’emiro del Qatar, Hamad bin Jalifa al Thani, ha promesso di investire 400 milioni di dollari nella costruzione di abitazioni. Sembrerebbe che i ricchi paesi petroliferi del Golfo cerchino di migliorare la loro immagine e cercare alleati in un Medio Oriente bruciato dalle guerre civili.

 

Israele si è arrabbiata: ha ritenuto che questa visita “ha gettato la (possibilità di) pace sotto un autobus”.

Le stavano mandando a monte “la dieta”.

 

 (*) Poeta e giornalista argentino.

 

(traduzione di Daniela Trollio

Centro di Iniziativa Proletaria “G.Tagarelli”

Via Magenta 88, Sesto S.Giovanni)

 

 

 

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