IN RICORDO DEL COLPO DI STATO IN CILE

Il palazzo della Moneda bombardato
Il palazzo della Moneda bombardato

L’undici settembre in Cile

di Alvaro Quadra (*); da: surysur.net; 4.9.2012

 

Ben pochi cittadini statunitensi sanno che, insieme alla commemorazione della tragedia del WTC di New York, qui nel sud anche noi abbiamo ragioni per il ricordo e la tristezza ogni undici settembre. Pochi ricorderanno che fu proprio il loro governo, guidato da Nixon e Kissinger, quello che finanziò e preparò il colpo di stato un undici settembre del 1973, in un piccolo paese dell’America del Sud, per rovesciare un governo costituzionale guidato dal presidente Salvador Allende.

Si trattò, è chiaro, di una vigliaccata in più di quelle a cui ci ha abituato la Casa Bianca in tutto il pianeta.

 

Per i cileni, invece, questa data è stata una macchia nel nostro calendario, macchia che svela qualcosa di sporco, spiacevole e infinitamente triste che segna il nostro presente. Se ci sono certi scervellati che ancora celebrano il genocidio, molti altri preferiscono tacere, come se il silenzio rendesse più leggera la vergogna.

Sono già passati quasi 40 anni da quell’infausto episodio, ma il nostro paese non è riuscito fino ad oggi ad uscire dal lezzo di tante tombe senza nome, di tanti abusi ancora impuniti.

In Cile, al contrario di quello che credeva il filosofo, si è imposta la legge del più forte. Tutta la violenza scatenata quel giorno ha avuto come corollario il prolungamento del potere dei potenti.

La dittatura di Augusto Pinochet fu capace di restaurare nel nostro paese il vecchio ordine oligarchico sotto vesti neoliberiste. Un pugno di famiglie concentra tutto il potere economico e politico, addomesticando la moltitudine coi consumi di lusso.

La disuguaglianza regna tra noi, perpetuando l’ingiustizia di secoli.

 

Per trentanove anni abbiamo assistito alla tragedia di una cruenta dittatura con la sua sequela di cadaveri, torturati, desaparecidos; ma anche alla farsa di una democrazia che è stata incapace di restituire, per quanto minimamente, un senso etico e civico alla nostra nostra società. Il far luce su molti crimini di lesa umanità commessi sul nostro suolo continua ad essere un doloroso compito non terminato.

Il paese è stato portato all’amnesia, all’oblio interessato della propria ferita. L’oblio si impone dappertutto quando i colpevoli sono liberi e impuniti.

La memoria è abolita in ogni supermercato e in ogni programma televisivo che loda le figure dei nostri in uniforme, dispiegando la scenografia tricolore delle fiere e delle feste perché la moltitudine ebbra di patriottismo non ricordi i “campi di concentramento”, lo spianamento massiccio di paesi, le migliaia di torturati e desaparecidos.

La televisione ci mostra il signor sindaco che fa qualche passo di ballo, dimenticando che quel signore fu un agente degli organismi di sicurezza del dittatore.

Dire verità scomode non è di moda e non è “politicamente corretto”, ma è indispensabile dirle alle nuove generazioni, eredi di questo paese.

* Semiologo cileno, ricercatore e docente della Scuola Latinoamericana di Postgrado dell’Università di Arti e Scienze (ARCIS) del Cile.

 

(traduzione di Daniela Trollio

Centro di Iniziativa Proletaria “G.Tagarelli”

Via Magenta 88, Sesto S.Giovanni)

 

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