25 aprile - 1° maggio

Resistenza ed emancipazione proletaria

Il 25 aprile e il 1° maggio da anni sono stati svuotati del loro significato storico e di classe.

 

Il 25 aprile, anniversario della liberazione dal nazifascismo, è stata trasformata nella festa della pacificazione tra gli Italiani: partigiani e repubblichini – le vittime e i boia, coloro che, pur riempiendosi la bocca della parola “Patria”, la svendettero prima ai propri capitalisti, precipitando il paese in una guerra che fece milioni di morti, e poi all’invasore nazista, - sono messi sullo stesso piano.

 

Il 1° maggio è stato trasformato nella festa del lavoro in cui padroni e operai – sfruttatori e sfruttati - dovrebbero abbracciarsi e unirsi nella lotta contro la concorrenza internazionale in nome degli interessi della “patria”.

Ma noi lavoratori, oltre ad essere da un lato coloro che costruiscono la ricchezza di cui i padroni si appropriano, siamo anche quelli chiamati, ogni volta che i tassi di profitto scendono, a ridurci a condizioni di fame e miseria perché il ciclo del capitale riprenda ad ogni costo.

 

Oggi, nella crisi che attanaglia tutto il mondo, ci sono imposti sacrifici sempre più grandi per salvaguardare i profitti e i privilegi del grande capitale.

I salari devono scendere perché i profitti salgano anche in tempo di crisi. E’ questo il senso e l’effetto non solo dell’attacco all’art.18, ma di tutte le misure prese dai governi di questi ultimi anni. Azzerare i diritti conquistati in tanti anni di lotte significa esattamente questo, oltre all’aprire nuovi scenari di rapina.

Le pensioni, che i lavoratori si sono pagati con una vita di lavoro, spariscono dall’orizzonte: siamo condannati a morire sui posti di lavoro. La sanità sarà a portata di mano solo di chi potrà pagarsela. Pensioni e sanità a pagamento che apriranno nuovi “mercati” per le assicurazioni e risolveranno il problema che il Fondo Monetario Internazionale ha segnalato in questi giorni: nelle nostre società si vive troppo a lungo e gli stati – capitalisti – non possono reggere questo peso. Così finisce la favola di un sistema che prometteva benessere e felicità a tutti.

I lavoratori sono solo merce, questo ci stanno dicendo, e lo sono anche in senso fisico: “risorse umane” che servono solo a valorizzare il capitale e che possono essere buttate via quando si esauriscono.

Meno lavoratori occupati e più morti sul lavoro e malattie professionali sono il risultato della guerra di classe non dichiarata che si combatte giornalmente fra operai e padroni.

Il diritto allo studio è solo per chi potrà pagarselo; del resto, per chi sfrutta e opprime, la cultura è quanto mai pericolosa.

 

Da anni la Costituzione, nata dalla Resistenza e costata tanto sangue, viene ogni giorno svilita e infangata. Le stragi fasciste e di stato continuano a rimanere impunite, ed ai parenti delle vittime la giustizia borghese della Repubblica Italiana dopo il danno riserva la beffa. Assolve i fascisti e punisce la loro caparbia ricerca della verità, addebitandogli le spese processuali come nel caso della strage di piazza della Loggia.

 

Con l’aggravarsi della crisi economica, il libero mercato è regolato sempre di più con la “persuasione” delle armi; la via alla penetrazione delle merci viene spianata dagli eserciti di aggressione.

La strada è stata preparata da alcuni anni: l’art. 11 della Costituzione – nata dalla Resistenza, costata al proletariato e al popolo italiano tanto sangue - che recita “L'Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali..” è vilipeso sempre più dall’intervento dei soldati italiani che occupano paesi sovrani e dai bombardamenti di intere popolazioni. La guerra, strumento sovrano del capitale per risolvere le sue crisi, diventa “azione umanitaria”, non importa se puzza di petrolio.

 

I partiti che rappresentano le varie frazioni della borghesia italiana hanno stabilito tra loro una tregua temporanea per salvaguardare gli interessi della loro classe: nasce così il governo “tecnico” di Monti, che sta facendo il lavoro “sporco” sostenuto, con qualche lieve differenza di facciata, da tutte le forze del parlamento. Governo “tecnico” eletto da nessuno, perché in tempi di crisi per il capitale si può sospendere tranquillamente la tanto decantata democrazia borghese.

 

Il capitalismo “buono” - quello industriale che si contrappone a quello “cattivo” della finanza e delle banche -è una favola inventata dai borghesi: il capitale finanziario, industriale, agrario, commerciale sono tutt’uno con lo sfruttamento dell’uomo sull’uomo.

 

In Italia, ma non solo, i capitalisti, i loro partiti e i sindacati collaborazionisti cercano di riversare la colpa della crisi sugli altri paesi, chiedendo alla classe operaia e ai lavoratori di collaborare per potenziare la competitività “dall’azienda Italia o del sistema Italia”, cioè della propria borghesia nel mercato mondiale. Chi si oppone e lotta per i suoi interessi di classe nelle fabbriche, nei luoghi di lavoro e nel territorio, è un nemico da reprimere. La criminalizzazione e la repressione delle lotte è la ricetta che la società democratica borghese riserva a chi la ostacola.

 

Anni di delega in bianco a partiti e sindacati hanno contribuito a peggiorare la nostra situazione di proletari.

Il malcontento crescente di chi non si sente rappresentato da nessun partito politico e sindacato oggi è bollato dai borghesi (di destra e di sinistra) come “antipolitica”.

Noi siamo coscienti che senza un partito realmente proletario e comunista, senza un movimento politico indipendente, nessuna lotta proletaria si può trasformare in lotta rivoluzionaria per il potere. Ma crediamo che l’allontanamento di masse proletarie dalla politica borghese – il riconoscersi come classe e il prendere in mano i propri destini invece di lasciarli a chi ha interessi contrapposti a quelli dell’immensa maggioranza - sia il primo passo necessario per rimettersi in cammino.

 

Questo sistema va distrutto dalle fondamenta. La non delega, il non voto, la partecipazione attiva alle lotte senza delegare a nessuno la difesa dei nostri interessi, il battersi in prima persona per l’abolizione dello sfruttamento dell’uomo sull’uomo, della proprietà dei mezzi di produzione del capitale, sono principi e azione che fanno parte del programma di ogni rivoluzionario. Non ci sono altre strade. Oggi più che mai o sarà il socialismo o sarà la barbarie.

 

Editoriale della rivista “nuova unità”

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