IL 12 DICEMBRE 1969: LA STRAGE DI STATO.

 

NELL'ANNIVERSARIO DELLA STRAGE DI STATO RIPORTIAMO TESTIMONIANZE DI CHI HA VISSUTO QUEI MOMENTI. 

 

Brani tratti dal libro  

Dall’Internazionale a Fischia il vento a Niguarda

 

Di Antonio Masi e Michele Michelino

 

Edizioni EVA 

 

 

La strage di Piazza Fontana

 

Tutti evitavano Piazza Fontana. Era un rischio passarvi. Le camionette della polizia vi stazionavano. Da lontano si notavano appesi alle finestre dell’ex Hotel Commercio striscioni di disoccupati e studenti.

Scritte inneggiavano al Maggio francese, incitavano allo scontro armato con il potere borghese e la polizia faceva irruzione nell’albergo al minimo pretesto. Tutti pensavano al peggio. E arrivò quel tragico 12 dicembre 1969. Una micidiale bomba esplose nella Banca dell’Agricoltura in Piazza Fontana. Il bilancio fu tremendo: 17 morti e 84 feriti. Un evento tragico che sconvolse le famiglie delle vittime, le coscienze dei milanesi e degli italiani. Lo racconta Fortunato Zinni, uno dei lavoratori della Banca, fortunatamente scampato alla strage: «Il boato è tremendo, lo spostamento d’aria mi manda lungo disteso fino alla porta d’ingresso della saletta dell’ammezzato che dà sul corridoio opposto a quello della Direzione. Avverto solo che d’improvviso è tutto buio. Dopo il boato c’è un silenzio tombale. Mi rialzo a fatica, tutto dolorante. Giuseppe e Raffaele, gli altri due colleghi della Commissione interna che mi si parano davanti nel vano della porta diretta verso le scale, hanno il volto insanguinato dalle schegge della vetrata andata in frantumi. Inconsciamente, come del resto tutti gli altri colleghi, imbocco la breve rampa di scale, diretto verso il piano terreno. Molti corrono verso l’uscita e tanti sono feriti. Passando vicino al bancone del portiere istintivamente alzo la cornetta del telefono che squilla all’impazzata. È la questura che chiede spiegazioni: è scattato il segnale d’allarme... L’orologio sulla parete di fondo segna le 16,37: rimarrà cosí per anni. Quel che vedo è spaventoso».

Antonio Pizzinato, allora segretario della FIOM di Sesto San Giovanni, in quel 12 dicembre era in una riunione nel saloncino al primo piano della Camera del Lavoro di Milano. I suoi ricordi sono affidati al volume di Fortunato Zinni Piazza Fontana, nessuno è Stato.

Cosí scrive Pizzinato: «La discussione, il confronto tra i dirigenti della FIOM-CGIL, era vivace e tesa e riguardava, da un lato l’andamento delle trattative, l’ipotesi di accordo che si profilava con l’Intersind per il rinnovo del contratto nazionale del lavoro dei metalmeccanici delle aziende a partecipazione statale e, dall’altro, la definizione del programma di scioperi e manifestazioni dei metalmeccanici del settore privato». «Alle 16,40 circa, veniamo scossi dal forte rimbombo di una esplosione avvenuta nelle vicinanze e dalle vibrazioni che scuotono vetri e mobili. Inebetiti e preoccupati, indignati, non riusciamo a comprendere l’accaduto. Chi corre fuori, chi telefona, chi si pone domande. Dopo piú di un quarto d’ora, affannato per la corsa e sconvolto, arriva Manlio Pirola, segretario della Camera del Lavoro, il quale provenendo da Piazza Fontana, ci informa che alla Banca dell’Agricoltura, è esplosa una bomba, e non, come si supponeva,la

caldaia del riscaldamento. Immediatamente ci si interroga sui possibili autori dell’efferato attentato e sui suoi obiettivi. Molti sono gli interrogativi: può essere un attacco contro le lotte sindacali in corso nel paese per il rinnovo dei contratti? Oppure l’obiettivo è piú generale: l’attacco alla democrazia, l’assalto alle istituzioni? È da mesi che in Italia si registrano attentati, sono oltre 90 gli ordigni fatti esplodere in varie località, continue provocazioni fanno intendere che vi è una “strategia della tensione” mentre sono piú di cinque milioni i lavoratori che da mesi scioperano per il rinnovo dei contratti di lavoro.

C’è chi formula l’ipotesi che vi sia un collegamento con il contratto dei bancari poiché, proprio in quel salone, la sera precedente si era tenuta l’assemblea dei dipendenti della Banca dell’Agricoltura che avevano discusso e approvato, dopo mesi di lotte con 72 ore di sciopero, l’ipotesi di accordo raggiunto per il rinnovo dei contratti dei bancari. Tale ipotesi veniva riproposta quando giunsero, via via, le notizie riguardanti la bomba scoperta all’interno della Banca Commerciale in piazza della Scala, quelle esplose a Roma, nel sottopassaggio della Banca Nazionale del Lavoro, all’Altare della Patria e al Museo del Risorgimento. Nel contempo vengono diffuse le piú diverse ipotesi sugli autori e i loro obiettivi: i giornali della sera parlano di un gruppo anarchico, ma si rafforza la convinzione che, quella che diventerà “la madre di tutte le stragi”, sia opera dei gruppi neofascisti, la continuazione, lo sviluppo della strategia della tensione».

 

I metalmeccanici decidono unitariamente lo sciopero generale e

la partecipazione ai funerali per rendere omaggio alle vittime. Cosí continua Antonio Pizzinato: «Il 15 dicembre, durante la cerimonia funebre celebrata in Duomo, centinaia di migliaia di lavoratori e cittadini presidiano silenziosi Piazza Duomo e le vie percorse dal corteo sino al Castello Sforzesco ed oltre. La giornata è buia, nebbiosa, plumbea e triste, ma il mondo del lavoro, la classe operaia con fermezza e unità sono presenti in forze e costruiscono una barriera in difesa della democrazia, delle istituzioni, contro il neofascismo e il terrorismo. Il Comitato permanente antifascista per la difesa dell’ordine repubblicano chiama alla mobilitazione la città con il seguente appello: “Per l’unità delle forze democratiche, contro il terrorismo”.

Il Comitato Antifascista, con sede presso l’ANPI milanese, rappresenta un costante punto di riferimento: ha vigilato contro l’eversione fascista e il terrorismo ed ha operato attivamente in difesa e per l’attuazione della Costituzione repubblicana».

 

Alla notizia della strage, solo il questore di Milano non ebbe dubbi: bisogna seguire la matrice di sinistra, anzi la pista anarchica. E tre giorni dopo l’anarchico Giuseppe Pinelli precipitava dal quarto piano della questura di Milano. Valpreda aveva fatto il suo nome gli fu detto e «lui non resse» e si buttò giú. Cosí la spiegazione. I servizi segreti deviati avevano ottenuto il depistaggio delle indagini sulla bomba alla Banca dell’Agricoltura. Aumentava la tensione e la paura: si parlò di “opposti estremismi” e si fecero cortei opposti con parole d’ordine contrastanti. Cosí anche nelle assemblee. In una riunione del 13 dicembre il responsabile di Lotta Continua: «Dobbiamo stare attenti a non assumere un atteggiamento difensivo; se c’è violenza operaia è risposta alla violenza borghese». Intanto le indagini trascurano la pista neofascista per la bomba a Piazza Fontana e il processo si sposta a Catanzaro, un primo colpo all’accertamento della verità.

Inizia immediatamente la campagna di diffamazione contro il commissario Calabresi per la morte di Pinelli, fino al suo assassinio, come atto di “giustizia proletaria”. Il Comitato antifascista per la difesa dell’ordine repubblicano chiama allo sciopero generale, commosso, partecipato. Il corteo si snoda silenzioso dal Duomo al Castello Sforzesco. «Era il 15 dicembre – ricorda Fortunato Zinni – Sono arrivato in Piazza Fontana attorno alle 7,30. L’appuntamento con il direttore e con un gruppo di colleghi è nel salone. Ripulito alla bene e meglio.

Nella Banca sventrata dall’esplosione, stamattina il lavoro riprende. Il cielo è scuro, ma d’intorno si avverte uno spirito nuovo. Cominciano ad affluire i primi gruppi di operai. Non portano bandiere, né striscioni; avanzano compatti verso Via Arcivescovado; anche la delegazione della Banca è pronta. Si capisce subito che la Milano del lavoro ha reagito e non si è lasciata travolgere dalla provocazione. Quella che si sta preparando è una grande manifestazione democratica. La tensione c’è e si sente. La Milano popolare e democratica è presente con tutta la sua forza. Operai, casalinghe, studenti, impiegati, commercianti, artigiani, professionisti: sono venuti tutti. E nessuno li ha chiamati. Quando le bare sfilano tra due ali di folla muta, composta, la città sembra trattenere il respiro. L’anima di Milano, quella che fa andare avanti la città, sembra respirare l’unisono, con la gente presente nella piazza. Se c’è qualcuno che ha pensato di creare, con gli attentati e le bombe, un clima di insicurezza e di tensione per favorire scorciatoie autoritarie ha sbagliato clamorosamente i suoi conti.

La presenza di quel muro umano rappresenta una risposta inequivocabile. Una folla sterminata che sussulta quando la voce del cardinale arcivescovo Giovanni Colombo invoca giustizia chiara e ferma. “La mano proditoria e furtiva di Caino ha sorpreso fratelli inermi ed ignari e ne ha fatto strage”». Dal volume di Fortunato Zinni Piazza Fontana nessuno è Stato.

 

Ricorda Michele Michelino: «La strage fascista di piazza Fontana,

subito battezzata strage di Stato, apre il capitolo delle stragi tuttora impunite e il governo ne approfitta per scatenare la caccia agli “opposti estremismi”. Scattano perquisizioni nelle case e nelle sedi dei gruppi extraparlamentari. Si calcola che solo a Milano in quei giorni siano piú di duecento quelli che finiscono in Questura. Fra gli arrestati c’è anche il ferroviere anarchico Pino Pinelli “volato” fuori dalla finestra della Questura e Pietro Valpreda. Si respira un’aria pesante e il pericolo di una svolta autoritaria, di un golpe è presente in tutti i militanti. In quei giorni molti di noi dormivano fuori casa da amici o parenti non impegnati politicamente. Subito viene imboccata la pista

anarchica. La strage genera un cambiamento profondo anche nei

sindacati e nei partiti. Negli striscioni portati dai militanti nelle manifestazioni prima delle bombe si leggeva che il PCI era “per il socialismo”. Dopo la strage di piazza Fontana, questo slogan scompare e compare la parola d’ordine dell’ANPI e del Comitato Antifascista: “Contro il terrorismo per la difesa dell’ordine Repubblicano nato dalla Resistenza”».

 

 

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