DEMOCRAZIA EUROPEA?

Angela Merkel e il sogno di Hitler

di Manuel Navarrete; da: insurgente.com; 29/11/2011

 

 

A certi mezzi di informazione piace fare flash backs sulle deformazioni burocratiche e antidemocratiche dei “nemici della libertà” sovietici o cubani. Tuttavia ci raccontano con tutta naturalezza l’attuale nascita di un “Merkozy”, cioè una guida europea da parte della Francia e, specialmente, della Germania.

Sembra non importare loro molto che da nessuna parte si sia deciso, o si sia votato, che due presidente (per non dire una sola) debbano autoproclamarsi leaders dell’Unione Europea. Non vedono neanche niente di sospetto nel fatto che la banca nordamericana Goldman Sachs stia collocando i suoi dirigenti alla guida dei poteri politici europei. Come Mario Draghi, presidente della Banca Centrale Europea, o come Mario Monti, nuovo presidente (del Consiglio n.d.t.) italiano, senza dimenticarci del nuovo primo ministro greco, Lucas Papademos.

A questi mass media sembra sempre molto antidemocratico che indios di origini umili come Evo Morales o Hugo Chàvez governino i loro paesi, le cui rispettive elezioni hanno vinto; ma non hanno invece alcun problema ad accettare governi di banchieri che non sono stati votati da nessuno, bensì imposti dai “mercati”.

Da chi? si chiederanno alcuni. Facile. I paesi socialisti si sbagliavano: che roba è esibire una burocrazia pubblica, conosciuta da tutti, che fa discorsi incendiari nella Piazza Rossa e fa i conti davanti alla società?! Meglio parlare di spettrali “mercati”, la cui volontà impersonale – come quella di un nuovo dio – deve compiersi sempre automaticamente, senza nemmeno sapere troppo bene perché.

Meglio non rivelare che, in questo nuovo Medio Evo, dietro eufemismi come “i mercati” non si nascondono dei, ma persone molto concrete e troppo umane, con nomi, cognomi e titoli tanto nobili come banchieri, grandi imprenditori, proprietari di fondi pensione privati o padroni di agenzie di qualificazione del rischio (che faranno scendere il rating dei paesi discoli che rifiutino di privatizzare tutto per – come una profezia autocompiuta – provocare un rincaro dei loro futuri prestiti, aumentando drasticamente il loro debito).

Ma, a quanto pare, in questo non c’è nulla di antidemocratico. In Grecia o in Italia “i mercati” impongono “governi tecnici”. O, in altre parole, i banchieri di Goldman Sachs che, come dicevamo, non sono stati votati da nessuno, governeranno a partire da adesso quegli Stati in modo ancor più diretto di prima.

 

Bene, questa dittatura del capitale non è un questione ideologica o politica. No,no. Si tratta di governi “tecnici”, che “tecnicamente” decideranno di tagliare la spesa pubblica e di abbassare le imposte dirette (specialmente per i settori più alti dell’IRPEF). Cosa che mette in evidenza la grande imparzialità di questi banchieri ….. o “tecnici” come ora li si chiama. Ma allora, a cosa potrebbe servire la sovranità di alcuni popoli, che mancano delle conoscenze tecniche necessarie per decidere qualcosa?

Chi, se non un tecnico, ha la competenza per sistemare una macchina, quella europea, che ha smesso di funzionare? Chi, se non i banchieri, ha la competenza per governare? Di più: esiste qualcosa di più aristocratico (volevo dire democratico…) di questo?

 

Sono domande che mai si faranno giornalisti super critici come Ana Pastor o Ernesto Ekaizer. Perché per loro non c’è niente di antidemocratico o che puzzi di marcio nella UE. Non è antidemocratico che Merkel decida da sola di rifiutare gli eurobonds (proposta difesa dalla quasi totalità dei restanti paesi) o imponga a forza un Patto dell’Euro che obbliga a modificare (neo-liberalizzare) le Costituzioni degli stati membri (dibattiti e votazioni scartate perché antiquate, sfasate e poco “tecniche”, ovvio).

 

Neppure è antidemocratico che la Banca Centrale Europea - che logicamente emette tutti gli euro esistenti (denaro che, non dimentichiamolo, non è altro che l’equivalente generale del mondo delle merci, della produzione dei lavoratori) – presti quel denaro alle banche all’1% di interesse, perché queste, a loro volta, lo prestino agli stati al 4%.

E perché la BCE non lo presta direttamente lei agli Stati? si chiederanno anche i bambini di due anni poco imbevuti di spirito “tecnico”. Perché deve esistere una casta parassitaria situata là nel mezzo o, in altre parole, perché deve esistere la banca privata? Perché i paesi devono assumersi debiti quattro volte più asfissianti di quelli che contrarrebbero se la BCE concedesse i crediti senza intermediari?

La risposta a queste tre domande è tanto semplice quanto ovvia: perché è necessario in modo che una piccola élite viva nella più oscena opulenza. Cosa che costituisce un altro esempio di democrazia occidentale (questo sì, non ideologica ma puramente “tecnica”).

 

Si da il caso che il sogno di Hitler, alla fine, si sia realizzato. E non solo perché la Germania ordina e comanda in Europa a colpi di debito pubblico e prestito bancario (anche se questa volta con la Francia, invece dell’Italia, come scudiera), ma perché infine abbiamo una piccola minoranza, una razza superiore di uomini (i banchieri) davanti ai quali, per qualche strano motivo, l’umanità intera deve prostrarsi e supplicare clemenza. Se è necessario che uno Stato, come quello spagnolo, si indebiti per salvare il tenore di vita della razza superiore iniettandole denaro pubblico, si fa e basta.

Lo Stato, mentre invia i suoi corpi di sicurezza a sfrattare famiglie che non possono affrontare i mutui (perché questa volta il campo di concentramento sta fuori dalle quattro pareti e non dentro), si assume in cambio il debito privato di questi sfortunati banchieri, anche se questo condiziona il futuro delle prossime generazioni. Questa è la sua (sempre “tecnica”, come il gas ZiklonB) neutralità.

 

Ma come si fa a paragonare questo al III Reich? strilleranno alcuni, visibilmente offesi. E hanno ragione: è incomparabile. Soprattutto perché allora esisteva una forte sinistra politica opposta al sogno di Hitler mentre ora anche una parte della sinistra extraparlamentare (non parliamo neanche di quella istituzionale) continua ad essere imbevuta del mito di un “modello sociale europeo” che mai è esistito. O dal pregiudizio indotto che non si possa uscire dall’Unione Europea o dall’euro, dato che fuori di essi esiste solo l’inferno.

Non sembrano colpiti dal fatto che ogni giorno gruppi sempre più grandi di popolazione capiscono che la UE è (ed è sempre stata, fin dallo stesso Trattato di Maastrich nel 1992) un progetto capitalista e imperialista in se stessa; un’arma sovra-statale con cui imporre tagli e arretramenti sociali ai popoli lavoratori europei, sopprimendo la capacità dei governi nazionali di realizzare altre politiche che non siano quelle della flessibilità, della de-regulatione, della precarietà del lavoro.

Né dal fatto che, senza dubbio, la prima misura che un governo con pretese rivoluzionarie (o anche riformiste) dovrebbe prendere, nel raggiungere oggi il potere in qualsiasi paese europeo, sarebbe l’uscita dall’Unione Europea.

 

Fortunatamente sono sempre più quelli che aderiscono ad un’altra sinistra: quella che non avalla il sogno di Hitler, neppure nella sua versione “progressista”. Cioè quella che non propone altre inutili “uscite tecniche” (anche in chiave keynesiana, questa volta), come gli “eurobond” o le “agenzie di qualificazione europee”, di fronte a quella che è una crisi strutturale del capitalismo stesso, e non solo della sua versione “senza regole” (per essere esatti la versione “senza regole” è stata una fuga verso quella “regolata”, per cui tornare alla versione “con le regole”, cioè alla caduta del tasso di profitto, non risolverebbe niente).La sinistra che, invece, propone un’uscita politica: l’abbandono dell’euro e dell’Unione Europea, all’interno di un programma di recupero della proprietà sociale sulle risorse e di conquista dell’autodeterminazione, della sovranità popolare.

 

Perché la macchina europea non ha mai smesso di funzionare, perché questo è esattamente il suo perfetto funzionamento in quanto strumento della classe dominante; per cui si tratta di fermare e distruggere la macchina, non di sostituire alcuni dei suoi pezzi.

E la sinistra, di conseguenza, lavora in vista di un’accumulazione di potere popolare nel quadro di un’accentuazione della lotta di classe e di battaglia per il socialismo, sulla stessa premessa che Fidel Castro, nei lontani anni ’70, proponeva di fronte alla crisi del debito in America Latina: semplicemente negarsi di pagarlo.

 

(traduzione di Daniela Trollio

Centro di Iniziativa Proletaria “G.Tagarelli”

Via Magenta 88, Sesto S.Giovanni)

 

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