LA RESISTENZA AL NAZI-FASCISMO IN ITALIA: RIPORTIAMO DUE TESTIMONIANZE INEDITE.

Serata al Centro di Iniziativa Proletaria di Sesto San Giovanni. Il primo a sinistra seduto al tavolo è Ettore Zilli, quello a destra è Enzo Galasi.
Serata al Centro di Iniziativa Proletaria di Sesto San Giovanni. Il primo a sinistra seduto al tavolo è Ettore Zilli, quello a destra è Enzo Galasi.

 

la prima è di un sopravvissuto ai campi di sterminio nazista, la seconda è una lettera inviata da un partigiano comunista al segretario del P.C.I. e Ministro di Grazia e Giustizia, Palmiro Togliatti.

 

  Dal libro di

 Antonio Masi e Michele Michelino

 

DALL’INTERNAZIONALE A FISCHIA IL VENTO A NIGUARDA

 

Riportiamo una lettera inedita pubblicata a pag. 63/64 del libro.

 

 

 

Testimonianza di un sopravvissuto

 

Ettore Zilli, classe 1924, abitante da molti anni a Sesto San Giovanni è uno dei pochi sopravvissuti ai campi di sterminio nazisti.

Originario di Ovoledo di Zoppola proviene da una famiglia antifascista. L’impegno sociale, sindacale e politico di Zilli lo porta ad incontri oltre che nelle scuole nelle associazioni di lavoratori e inizia sempre con ricordi delle sue radici friulane. Lo dice con orgoglio: non avrei mai immaginato che io contadino friulano, operaio della Pirelli sarei diventato un punto di riferimento per tante persone. Ha conosciuto Padre Davide Maria Turoldo (partigiano cristiano) che gli ha trasmesso tanta umanità. Da anni frequenta il Centro di Iniziativa Proletaria “G. Tagarelli” di Sesto San Giovanni, dove racconta ai lavoratori e ai giovani il suo amore per la libertà, la democrazia e la giustizia, valori conquistati durante la lotta di Liberazione.

 

Ecco il suo racconto a Michele Michelino su quegli anni.

 

«Mio zio Giuseppe fu “oliato” dalle squadracce di picchiatori fascisti e lui per vendicarsi sfoga la rabbia sul Podestà e viene arrestato. Viene seviziato, ma essendo stato decorato nella prima guerra mondiale le violenze si fermano lí. Si salva solo perché emigra in Argentina. Il 10 giugno del 1940 alle ore 18 Mussolini convocò gli italiani nelle piazze delle città d’Italia, collegate a Roma via radio per annunciare l’entrata in guerra dal balcone di Palazzo Venezia”.

Ettore e un suo amico decidono di disertare l’adunata nella piazza di Zoppola, ma i fascisti li costrinsero a schiaffi a raggiungere la piazza. Dopo l’8 settembre, aveva 19 anni, con un assalto alla caserma del paese si impadronisce di 6 fucili che successivamente passò ai partigiani. Il 28 ottobre del 1944 viene arrestato con altri partigiani e portato a Pordenone, viene rinchiuso nel carcere del Castello, in una piccola cella con altri 11 detenuti e successivamente trasferito nel carcere di Udine dove per due volte fu portato nel cortile per essere fucilato.

 

Racconta ancora Ettore: «Assieme a me quella notte furono arrestati altri 34 partigiani, ci caricarono tutti su un treno con destinazione Germania, ma mentre eravamo in viaggio avvenne un bombardamento sulla stazione di Salisburgo e quella fu la mia fortuna. I tedeschi ci lasciarono a Salisburgo per due mesi per chiudere le buche lungo la ferrovia. Eravamo trattati come bestie, ma non era nulla confronto di quello che avrei vissuto a Dachau. Arrivai a Dachau diversi mesi dopo perché prima ci fermarono a Reichenau in un campo di smistamento. Fu qui che mi fu dato il numero di riconoscimento che mi portai dietro anche nel lager. Dopo alcuni giorni fui caricato sul treno insieme ad altri e dopo un viaggio durato tre giorni fui internato nel campo di lavoro e di sterminio di Dachau in Germania, dove all’entrata campeggiava la scritta tristemente famosa “Arbeit macht frei”, il lavoro rende liberi, come ad Auschwitz. Qui fui destinato alla baracca 7. Eravamo 400 persone in uno spazio che ne poteva contenere a malapena la metà. Sulla branda di 2 metri per 90 cm, dormivamo in 4. Due da un capo e due dall’altro, testa piedi. Spesso ci svegliavamo al mattino con al fianco un compagno morto.

Il numero che ci era stato assegnato dovevamo pronunciarlo in tedesco due volte al giorno, all’appello della mattina e della sera. Nei campi di sterminio la vita non valeva niente. Oltre ai nazisti anche i kapò, che erano prigionieri e prigioniere trasformati in guardiani di quei derelitti, uccidevano per niente. Eravamo scheletri viventi e a Dachau si moriva anche per il freddo. Il pasto consisteva in una brodaglia di barbabietole e in una pagnotta da un chilo per ogni sei persone. Un giorno mentre trasportavo fuori dalla baracca n. 5 gli escrementi in un grande contenitore metallico ebbi un mancamento per lo sforzo e caddi sommerso dagli escrementi. Il soldato che ci scortava mi colpí violentemente con il calcio del fucile provocandomi la frattura della mascella e il taglio parziale della lingua di cui ancora oggi subisco conseguenze e per alcuni giorni stetti in preda al delirio con febbre alta. Prima dell’arrivo degli Alleati gli aguzzini nazisti avevano deciso di uccidere i prigionieri e a tale scopo avevano chiamato come rinforzo i Vigili del Fuoco di Monaco che però si rifiutarono di sparare sui prigionieri e rivolsero le armi contro le SS».

 

Ettore Zilli

 

Dall’Internazionale a Fischia il vento a Niguarda.

Il libro, scritto a quattro mani da Antonio Masi e Michele Michelino, racconta – sulla base di testimonianze inedite e documenti reperiti nell'archivio dell'ANPI di Niguarda - la storia dei partigiani e degli operai che insorsero il 24 aprile 1945 a Milano.

In questo quartiere, per una serie di circostanze raccontate nel libro, i partigiani e gli operai in armi insorsero un giorno prima che il CLN ordinasse l'insurrezione.

Nel volume si raccontano la lotta partigiana e la lotta operaia dal periodo della ricostruzione fino agli anni 70’.  

 

Il libro può essere richiesto per mail agli autori.

 

 

ANTONIO MASI

antonio37ma@gmail.com

 

MICHELE MICHELINO

michele.mi@inwind.it

 

 

 

 

 

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Commenti: 1
  • #1

    Juicers Reviews (sabato, 13 aprile 2013 05:58)

    This is an excellent post! Thank you for sharing with us!

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