CRISI ISLANDESE

Islanda: un riassunto di tre anni di crisi

di Miguel Giribets; da: rebelion.org; 15 .11.2011

 

La crisi dell’Islanda fornisce molti elementi di riflessione. Facciamo un breve riassunto di quanto è successo in questi ultimi tre anni.

 

A) Il capitalismo cresce solo come economia speculativa

 

Prima dello scoppio della crisi del 2008 l’Islanda era la dimostrazione che il capitalismo è il paradiso in terra, un esempio delle meraviglie del neoliberismo che tutto il mondo avrebbe dovuto imitare. Non mancava nemmeno l’elemento etnico, quando si diceva che i motivi del successo dell’Islanda si dovevano alle sue “radici vichinghe”: “gli islandesi controllano meglio il rischio dato il loro passato vichingo”. Nello stesso tempo l’Islanda era la “Wall Street dell’Artico” e la “Tigre Nordica” dell’economia mondiale. Il grande economista Rodrigo Rato, quando dirigeva il FMI, si scioglieva in elogi su come si stavano facendo bene le cose in quel paese.

Nel 2008 l’Islanda era la sesta nazione più ricca dell’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico (OCSE) e uno dei paesi più ricchi del mondo per entrate pro capite. Il suo PIL per abitante era del 50% superiore a quello degli USA. Un rapporto dell’ONU di quest’anno segnalava che l’Islanda era il miglior luogo al mondo dove vivere; due anni prima, un altro rapporto internazionale sosteneva che gli islandesi erano le persone più felici del mondo.

Nel 2007 vennero vendute in Islanda più Mercedes di lusso che in tutta la Svezia. L’Islanda era il secondo paese del mondo acquirente del marchio di lusso Bang & Olufsen, dopo la Russia. “I ristoranti eleganti di Reikjavik facevano sembrare quelli di Londra mediocri trattorie, Gli articoli di lusso inondavano i negozi ed enormi 4x4 ostruivano le strade” (1).

L’Islanda viveva nel migliore dei mondi possibili grazie alla speculazione finanziaria delle sue banche più importanti: Kaupthing, Landsbanki e Glitner. La banca era stata privatizzata e de-regolata nel 2003; il Kaupthing operava in 13 paesi ed era la 7° banca dei paesi nordici. La Borsa aveva moltiplicato il suo valore per nove dal 2003 al 2007.

L’Islanda era una meraviglia del neoliberismo anche dal punto di vista fiscale. Le tasse sui capitali erano del 10% mentre quelle sul lavoro erano il 36%; l’importo per le società era del 18% e si prevedeva un abbassamento al 15%.

 

B) Il capitale speculativo ci porta ad una crisi senza ritorno

 

Le cose cambiano nel 2008. All’inizio del’anno il fondo di investimento Gnùpur fa sapere che deve rifinanziare il suo debito e FL Group comincia a vendere i suoi attivi per aumentare la sua liquidità. In aprile le possibilità di fallimento della banca più importante, la Kaupthing, erano di 7 volte maggiori della media delle banche europee, La corona islandese subisce già una forte svalutazione del 25% nel primo quadrimestre di quell’anno, la Borsa cade del 40% rispetto all’estate precedente, l’inflazione è al 6,8%, i tassi di interesse sono arrivati al 15,5% e i consumi cadono a picco. L’economia islandese stava cominciando a soffrire delle limitazioni al credito che iniziavano a sorgere a livello mondiale. “La corona islandese cadde bruscamente in senso contrario al valore dei debiti delle banche, che aumentarono; la perennità dei crediti espressi in moneta straniera diventò ben presto un problema ‘pubblico’; il mercato delle azioni crollò e i fallimenti si moltiplicarono. Il Danske Bank di Copenhagen descrisse allora l’Islanda come una ‘economia geiser’ sul punto di scoppiare” (1). Ciò nonostante, ancora nel luglio 2008 gli esperti del FMI dicono che l’economia islandese è “eccellente”.

E, effettivamente, alla fine del 2008 l’economia islandese scoppiò. Il fallimento di Lehman Brothers e la chiusura del credito strangolano le banche d’Islanda: Landsbank, la principale banca del paese, viene nazionalizzata; in seguito si nazionalizzano la Kaupthing e la Glitnir, le altre due banche più importanti. In questo momento il debito delle banche islandesi ammonta a varie volte il PIL del paese; i titoli delle banche sono arrivati a moltiplicare per 12 il PIL, accumulando un debito di 61.000 milioni di dollari, una cifra insostenibile per una popolazione di 300.000 persone. La borsa sprofonda del 76% e la moneta si svaluta del 70% rispetto all’euro.

L’Islanda è in bancarotta, con necessità finanziarie tra i 15.000 e i 20.000 milioni di euro. “La caduta delle società bancarie islandesi si è prodotta due settimane dopo la caduta di Lehman Brothers. Il 29 settembre 2008, la Glitnir chiese aiuto al governatore della banca centrale, Oddsson. Cercando di tranquillizzarla, questi ordinò alla sua istituzione di comprare il 75% delle azioni ella Glitnir, cosa che ebbe come unico effetto quello di aggravare l’inquietudine. Il rating del paese cadde, mentre la Landsbanki e la Kaupthing gli ritirarono le linee di credito. I ritiri massicci cominciarono nelle filiali di Icesave (banca creata da Landsbanki) all’estero” (1).

Il FMI concede all’Islanda un prestito di 2.100 milioni di dollari, completato da altri 2.500 milioni di vari paesi nordici. La contropartita è quella che tutti conosciamo: salita dell’IRPEF e dell’IVA, nuove tasse, abbassamento dei salari e taglio dei benefici sociali (l’ospedale di Rejkiavik ha ridotto del 25% in questi tre anni il suo bilancio).

I tassi di interesse, su indicazione del FMI, arrivano in ottobre al 18%.

 

C) La mobilitazione del popolo è l’unico freno alle politiche del capitale

 

Settimana dopo settimana, ogni sabato, la popolazione irlandese si mobilita contro il governo. “Tra ottobre 2008 e gennaio 2009 il sabato dopo pranzo, al freddo, migliaia di persone di tutte le età si riunivano nella piazza principale di Rejkiavik. I manifestanti si prendevano per il braccio per formare una catena umana intorno al Parlamento e tappezzavano l’edificio di frutta e yogurt esigendo la rinuncia del governo” (1) “La casseruolata è arrivata anche in Islanda. Cucinata a colpi di scontento popolare, con poche spezie, senza bandiere né partiti, la protesta che toglie la fame ma non alimenta. Si appoggia sul fuoco lento della disoccupazione e degli sfratti ipotecari. Se il ‘cacerolazo’ argentino nasceva cantando, gli islandesi hanno scelto di ululare dalle cucine delle case che perdono. Le uova, la lattuga e i pezzi di pane che i politici schivano, protetti dietro corse e ombrelli nella loro cerimoniale strada dal Parlamento alla Cattedrale di Rejkiavik accelerano il vuotarsi delle dispense” (2).

In vari momenti ci sono scontri con la polizia. Si prende d’assalto un commissariato per liberare i manifestanti detenuti; il 5 dicembre la Banca Centrale viene occupata dai manifestanti. Il 23 gennaio 2009 si ottiene che il governo convochi elezioni anticipate; ma questo fa solo sì che la gente scenda in piazza con più forza: i ‘cacerolazos’ sono generali e il primo ministro e tutto il suo governo devono dimettersi. Il primo ministro dimissionario viene ricevuto dai manifestanti con palle di neve e una pioggia di uova. Giorni prima i manifestanti avevano “bombardato” il Parlamento con carta igienica e scarpe; la polizia aveva dovuto far fatica per evitare che la gente assaltasse l’edificio.
Le elezioni hanno luogo il 25 aprile e vengono vinte da un’alleanze delle sinistre formata da Alleanza Social-democratica e il Movimento della Sinistra Verde.
L’anno 2009 finirà con una caduta del 7% del PIL e una disoccupazione attorno al 10%, mentre prima era inesistente. Nel 2010 la crescita è stata zero. L’indebitamento pubblico è passato dal 10 al 100% del PIL. Il debito totale dell’Islanda è del 280% del PIL.
Si discute del problema del debito con investitori britannici e olandesi. Attratti dagli alti interessi, circa 200 organismi ufficiali (municipi, ecc.) e migliaia di investitori di questi paesi avevano acquisito circa 3.700 milioni di euro in titoli e debito delle banche islandesi.
Nel dicembre 2009 il Parlamento decide che si pagheranno in 15 anni al 5,5%. La cifra rappresenta il 75% del bilancio annuale del paese.
Ma gli islandesi ritengono di non dover pagare il debito che le banche hanno contratto. Ci sono nuove mobilitazioni nelle piazze e nel gennaio 2010 il presidente rifiuta di firmare l’accordo del Parlamento, dopo che il 25% dell’elettorato aveva firmato un documento in cui si opponeva a pagare quel debito; di conseguenza il problema del debito con la Gran Bretagna e l’Olanda dovrà risolversi con un referendum a marzo.

Il 99% dei votanti dice che NON si deve pagare il debito degli speculatori bancari. Come risposta, il FMI congela i versamenti di denaro del prestito contratto l’anno precedente. Gran Bretagna e Olanda minacciano di bloccare l’ingresso dell’Islanda nella Unione Europea. In aprile Moody’s qualifica i titoli islandesi ad un passo dai titoli-spazzatura.

Altro metodo di pressione: nel dicembre 2008, dato che il governo non faceva fronte ai suoi debiti internazionali, la Gran Bretagna applicò all’Islanda la legge antiterrorismo. “E questo significava che gli inglesi dichiaravano l’Islanda terrorista, come Al Qaeda. Così non potevamo accedere al denaro. Vendevamo i nostri pesci e il nostro alluminio all’estero, ma non potevamo raccogliere i pagamenti dall’estero e farli entrare nel paese, perché il denaro passa per la City, il centro finanziario di Londra, e dato che eravamo terroristi, il denaro restava fermo là, di modo che gli islandesi non potevano né far entrare il loro denaro né comprare niente all’estero. Nessuno voleva fare affari con dei “terroristi”. La situazione era tale che aziende islandesi che avevano fatto affari con aziende europee per più di 50 anni erano incapaci di ottenere forniture dall’Europa” (3).

Spinto dalla piazza, il governo comincia nel 2010 un’indagine contro gli speculatori: in giugno vengono emessi ordini di cattura per vari alti dirigenti bancari che vivevano all’estero. Un rapporto parlamentare descrive come gli ex direttori si aggiudicavano fraudolentemente prestiti (1.600 milioni di euro la Glitnir), e come i revisori di Price Waterhouse avevano coperto tutte le frodi bancarie. Oltretutto, 10 dei 63 parlamentari avevano contratto prestiti per circa 10 milioni di euro ciascuno. In Islanda vengono arrestati 4 dirigenti che vivevano in Lussemburgo e vengono condannati a 10 anni.

Alla fin si può dire che sono stati solo 20 tra banchieri, politici e industriali a distruggere l’economia degli islandesi.

L’Interpol riceve l’ordine di arresto contro l’ex presidente della Kaupthing, Sigurdur Einarsson, che viene incarcerato in maggio. Risiedeva a Londra, in una casa da 12 milioni di euro. Questo personaggio è accusato di malversazione di fondi, falsificazione di documenti e violazione della legge sulle transazioni azionarie.

Nel settembre 2010 il Parlamento decide di portare in tribunale l’ex primo ministro Geir H.Haarde, per negligenza nel suo mandato. Il processo è cominciato nello scorso giugno.

Nell’ottobre 2010 la situazione è lontana dalla soluzione: ogni giorno qualcuno brucia la sua casa perché non se la prenda la banca; 46.000 famiglie hanno problemi per arrivare a fine mese; 13.000 abitazioni sono state messe sotto sequestro dalle banche; 6.000 islandesi sono emigrati per motivi economici dal gennaio 2009. E di nuovo scoppiano le manifestazioni: la polizia non riesce a contenere i manifestanti, che accerchiano il Parlamento battendo casseruole e tamburi di metallo. “Guardo attorno a me e i miei amici, la mia famiglia, hanno perso tutto. Tutto. Io sono qui per dimostrare che se ci tolgono tutto, possiamo ricominciare da zero un’altra volta. Guardo attorno a me e non sopporto quello che vedo. E’ ingiusto. Salvano le banche e lasciano che la gente affondi” (2).

Ciò nonostante appaiono alcuni segnali di recupero: l’economia cresce dell’1,2% nel terzo trimestre del 2010 rispetto al trimestre precedente. E’ la prima crescita in due anni.

Per il 2011 la previsione di crescita è del 3%. In ogni caso, nel 2011 il PIL era caduto del 15% rispetto al 2008.
Nel dicembre 2010 c’è un nuovo accordo parlamentare sul debito con Gran Bretagna e Olanda: a partire dal 2016 si inizierà a pagare e si finirà nel 2046. Il governo è d’accordo con il pagamento del debito. Ma l’accordo viene sottomesso di nuovo ad un referendum nell’aprile e la gente di nuovo vota NO per il 60% al pagamento del debito.

Nel giugno2011 Landsbanki decide di ridurre il debito delle persone fisiche, cosa che toccherà circa 70.000 persone. Vengono contemplate varie ipotesi: rimborso degli interessi pagati dal 2008 al 2011; riduzione del debito sulla casa, calcolando l’ipoteca sui prezzi di mercato; riduzione di altri debiti, quando si accerti che sono al di sopra della capacità di pagamento del debitore.

 

D) Cambiare il governo non è la soluzione


Altro elemento interessante – ma che ha avuto effetti molto limitati – è stato il tentativo di elaborare una nuova Costituzione a partire dal 2011. I redattori sono stati 25 cittadini senza appartenenza politica, eletti tra 522 candidati. Sono state utilizzate forme di democrazia diretta, in cui assemblee popolari discutevano e proponevano l’articolazione della nuova Costituzione.

Nel luglio 2011 la proposta costituzionale è approdata al Parlamento. A partire da lì è andata perdendo i suoi aspetti più progressisti ma, ciò nonostante, va sottolineato che la nuova Costituzione prevede che il 2% della popolazione possa chiedere che si discuta un argomento in Parlamento, che il 10% della popolazione possa fare proposte legislative, se queste proposte riguardano i diritti della natura e della proprietà collettiva sulle risorse naturali – ispirate sui cambi costituzionali di Bolivia e Ecuador –, che si possa votare persone da una lista invece che l’intera lista e l’abolizione del servizio militare obbligatorio. Il nuovo testo non affronta i temi della democrazia diretta o del controllo e della nazionalizzazione del mondo finanziario ed economico.


E così sta oggi l’Islanda: tra la certezza che le cose non possono continuare ad andare come vanno e il problema di come andare avanti con alternative che permettano agli islandesi di prendere in mano il loro destino. Come sottolinea Gunnar Skuli Armannsson, attivista di ATTAC Islanda: “Sia i socialdemocratici che Sinistra Verde hanno promesso molte belle cose alla gente in campagna elettorale. Ma hanno rotto tutte le loro promesse. Così noi islandesi abbiamo imparato, come gli irlandesi, come i greci e gli spagnoli, che cambiare il governo non è la soluzione” (3).



(1) Quando il popolo islandese vota contro i banchieri, di Robert Wade y Silla Sigurgeirsdóttir -www.eldiplo.org
(2) Le casseruolate contro banche e politici risuonano, di Alberto Arce –Diagonal

(3) Le banche e i creditori continueranno la loro avanzata: l’unica soluzione è fermarli, di Patricia Rivas - Entrevista a Gunnar Skuli Armannsson, attivista di ATTAC Islanda


(Traduzione di Daniela Trollio

Centro di Iniziativa Proletaria “G.Tagarelli”

Via Magenta 88 – 20099 Sesto S. Giovanni)



 

 

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