CRISI FINANZIARIA.

Per la finanza la democrazia è un fastidio

di Alberto Rabilotta (*); da:alainet.org, 9.11.2011

N.b.: le sottolineature nel testo sono nostre e riguardano ciò che sta succedendo in Italia.

 

La crisi finanziaria ed economica della zona euro si aggrava, e si aggravano ancor più le politiche antidemocratiche che Germania, Francia e altri paesi cercano disperatamente di applicare per soddisfare la “dittatura dei mercati”. Per questo, per applicare una “sana gestione” delle finanze pubbliche nei paesi della zona euro è stato necessario retrocedere di quasi mille anni, all’epoca in cui Federico I - alias Barbarossa, Re dei romani e del Sacro Impero Romano Germanico - governava su una parte di quella che oggi è l’Italia; quando, per “mettere ordine” nella gestione delle appena create “città-stato”, Federico I introdusse il “podestà straniero”, ovvero la designazione dal vertice di un quasi-dittatore importato dall’estero.

 

Per trovare una “soluzione” al problema del debito nei paesi meno sviluppati della zona euro, la “troika” formata dalla Commissione Europea (CE), dalla Banca Centrale Europea (BCE) e dal Fondo Monetario Internazionale (FMI) ha scartato le possibilità offerte dalla democrazia, come negoziazioni trasparenti dove si ascoltino altre voci rispetto a quella dei creditori del sistema finanziario, e soggette all’accettazione mediante referendum o elezioni anticipate. Su questi temi seri, la democrazia è un impiccio, come mi disse francamente una volta in una conversazione “off-the-record” un importante ministro canadese nel cercare di giustificare il segreto totale riguardo ai negoziati per creare accordi di libero commercio e di protezione degli investimenti stranieri.

Non per niente negli ultimi 15 anni, e praticamente in tutti i paesi a capitalismo avanzato, compresi quelli di lunga tradizione parlamentare e di scrutinio pubblico, i negoziati bilaterali o multilaterali sul commercio, gli investimenti e la finanza sono stati sottratti alla discussione e alla revisione della sfera pubblica, compresa quella legislativa, e concentrati in mano di funzionari controllati dai poteri esecutivi.

La via dell’approvazione per decreto, per evitare qualsiasi votazione o scrutinio pubblico, è quella utilizzata correntemente. Solo dopo essere arrivati alla conclusione di accordi e quando non ci sono più le possibilità di riaprire i negoziati, i governi procedono a cercare l’approvazione legislativa o la ratifica, quando questa è necessaria.

 

Tutela nella zona euro

 

E questo viaggio nella macchina del tempo ha, secondo il professore di economia politica Stefan Collignon, l’appoggio dell’italiano Mario Monti, ex Commissario dell’Unione Europea, e ben visto nei circoli della troika come candidato alla carica di podestà per succedere all’uscente Silvio Berlusconi.

 

La differenza con l’epoca del Barbarossa che governava il Sacro Romano Impero Germanico è che questa volta i podestà non saranno stranieri per il loro luogo di nascita, ma per il loro livello di alienazione verso la realtà dei loro popoli e di subordinazione ai centri finanziari mondiali, i creditori che formano la plutocrazia globale, come li chiamano le forze di sinistra in Grecia.

E in quel paese il podestà che assicurerà la tutela e applicherà il duro piano di austerità è oggi oggetto di una negoziazione a tre lati (l’uscente primo ministro George Papandreu, Antonis Samaras leader del principale partito di opposizione, Nuova democrazia, e la troika CE-BCE-FMI), ma ciò di cui non vi è dubbio è che sarà un uomo della troika.

Fino a poche ore fa si parlava di Lucas Papadernos, ex governatore della Banca Centrale di Grecia ed ex vice-presidente della BCE, e poi di è parlato di Philippos Petsalnikos, ministro dell’Ordine Pubblico dell’uscente governo socialdemocratico di Papandreu. Ciò che è sicuro è che il nuovo primo ministro dovrà arrivare al governo con una “cambiale in bianco” del Parlamento greco, cioè con una dichiarazione firmata da Antonis Samaras che affermi che appoggerà senza reticenze l’applicazione completa del piano di austerità fiscale imposto dalla UE il 27 ottobre scorso.

 

Questa è una “umiliante esigenza” del Commissario dell’Unione Europea per gli Affari Economici e Monetari, Olli Rehn, secondo una notizia di Athens news, “destinata a porre Samaras in totale sottomissione (e che) ha provocato una tumultuosa protesta nella base del partito ND, che era furiosa per la decisione del leader del partito di votare per i termini del piano di salvataggio che da più di un anno denunciava”.

La dichiarazione che Rehn esige dovrà essere firmata anche dall’uscente primo ministro Papandreu, dai prossimi primo ministro (podestà), ministro delle Finanze e governatore della Banca di Grecia.

Cioè una capitolazione in piena regola della sovranità politica greca, che servirà come standard per l’Italia, dove avrà luogo lo stesso scenario della Grecia: Berlusconi abbandonerà il governo dopo che il Parlamento avrà adottato il piano di austerità fiscale della UE, il podestà che lo sostituirà come primo ministro dovrà firmare l’accettazione di questo piano e assicurarne l’applicazione.

 

Collignon, professore di economia politica, definisce come “colonialismo nella sua forma post-moderna” questa esigenza di controllo in assenza di un governo federale europeo che agisca “con una completa legittimità democratica”.

 

In materia di podestà imposti dal FMI e da Washington, noi latinoamericani abbiamo una lunga esperienza pratica perché l’America Latina è stata (ed è) il terreno su cui l’imperialismo sperimenta le politiche che poi applica nel resto del mondo, come dice lo storico statunitense Greg Grandin.

L’ultimo tentativo di imporci una tutela al servizio della finanza globale è stato nel 2002, quando l’Argentina si trovava in una crisi del debito simile a quella della Grecia e, per sostenere le posizioni del FMI e dei creditori, l’economista di origine tedesca Rudiger Dornbusch dell’Istituto di Tecnologia del Massachusetts (MIT) “consigliò che in Argentina intervenissero specialisti del Primo Mondo per gestire la moneta, le spese pubbliche e le tasse. La strada scelta negli anni seguenti fu quella opposta, ma sembra che le idee dello scomparso Dornbusch troveranno il loro riscatto in Grecia”, ricorda opportunamente Fernando Krakowiak su Pàgina 12 (quotidiano argentino, n.d.t.) , edizione dello scorso 28 ottobre.
(Anche se si tratta solo di una coincidenza geografica, va segnalato che Federico I fu incoronato re tedesco a Francoforte, la capitale finanziaria dell’attuale Germania e della zona euro, e dove si trovano le sedi rispettivamente della Bundesbank (Banca Centrale Tedesca) e della BCE).

E intanto l’economia reale affonda ….

E’ quasi certo che l’uscita di Berlusconi avrà luogo nel mezzo di una vera crisi dell’euro, visto che al momento di scrivere questo articolo il tasso di interesse dei titoli italiani ha superato il 7.0% annuale, livello che assicura la crescita accelerata del debito pubblico italiano anche in presenza di un rispettabile tasso di crescita economica che permetta di aumentare le entrate fiscali. Ma con il piano di austerità fiscale che la UE esige e con la recessione economica che inevitabilmente l’accompagnerà, il debito italiano diventa praticamente un problema senza soluzione. Il debito italiano esploderà letteralmente, e con esso una parte della zona euro.

Rispettati economisti hanno detto e ridetto che queste politiche di austerità fiscale e di privatizzazione dei beni e dei servizi pubblici non hanno alcun senso dal punto di vista economico, perchè invece di risolvere il problema del debito lo peggiorano, provocando recessioni o stagnazioni economiche che dureranno uno o più decenni e avranno, come inevitabile conseguenza, l’aumento e non la diminuzione del debito stesso. L’economista Nouriel Roubini (
n.d.t.: economista turco, professore di economia all’Università di New York,unico a prevedere con anni di anticipo la “crisi dei mutui subprime”) l’ha appena riaffermato in un lungo testo .

La crisi della zona euro sta entrando in una nuova e probabilmente più grave fase, con le banche creditrici che vendono (o liquidano implicitamente) i titoli del debito sovrano che hanno in mano, secondo una notizia dell’agenzia Bloomberg (Europe Bank Selling Sovereign Bonds May Worsen Debt Crisis, 8 novembre 2011).
Le banche stanno vendendo perché gli investitori privati - ai quali le banche cercano di continuare ad avere accesso – non vogliono assumersi il rischio implicito di questi titoli, e vendono anche per l’esigenza di aumentare il capitale di riserva per sostenere eventuali perdite, aumento richiesto dall’Autorità Bancaria Europea. Insomma, come ha dichiarato a Bloomberg l’analista del credito Otto Dichtl, di King Capital Europe Ltd, i regolatori e i leaders europei si sono dati una martellata sui piedi perché i grandi investitori sui titoli sovrani se ne sono andati dal mercato. La spirale discendente continuerà finchè coloro che prendono le decisioni politiche trovino una soluzione per sostenere i titoli sovrani.

 

Nello stesso momento, in una conferenza a Pechino, Cina, Christine Lagarde, ex ministro delle Finanze del presidente francese Sarkozy e Direttore del FMI, ha messo in guardia sulle “nubi scure che si stanno formando sull’economia globale” e ha chiesto alle economie emergenti, e evidentemente alla Cina, che le autorità – nella misura in cui la situazione economica globale peggiora – “ammorbidiscano la pressione sui freni fiscali, utilizzino le loro riserve o le impieghino in accordi regionali e riattivino le linee di credito tra le banche centrali, tutto quanto per evitare il rischio di “un decennio perduto, con bassa crescita e alt disoccupazione”.

 

Insomma, mentre nella zona euro il FMI approva e contribuisce ad applicare la politica del salasso per rivitalizzare economie anemiche in Irlanda, Grecia, Portogallo, Italia e Spagna, col probabile risultato che questa cadranno in stato di coma molto rapidamente e passeranno decenni perché recuperino, la Direttrice del FMI raccomanda in Cina, dove il problema è l’eccessiva crescita di alcuni settori dell’economia, che si adottino politiche di stimolo fiscale.

Contraddizione? No, sia la politica di austerità nella zona euro che il contrario nei paesi emergenti serviranno a rafforzare il capitale finanziario dominante e le multinazionali, i suoi dirigenti e azionisti principali che formano l’oligarchia globale, quel’1% che anche perdendo finisce per guadagnare, come stiamo constatando dalla crisi finanziaria del 2008-2009.


La democrazia nacque (e può rinascere) annullando i debiti

 

I partiti di governo, conservatori, liberali e socialdemocratici, hanno chiuso la discussione su qualsiasi opzione al di fuori da quella adottata dalla troika CE-BCE-FMI senza alcun procedimento democratico. E sono quei piani di austerità e la rigidità del sistema monetario, con il suo seguito di disoccupazione e impoverimento, che stanno alimentando i discorsi demagogici, populisti , anticapitalisti, anti-euro e anti immigranti dell’estrema destra, come con il Frante Nazionale di Marine Le Pen in Francia, che per attirare i voti dei disoccupati, dei lavoratori che vedono abbassarsi i loro salari, degli esclusi sociali e di una classe media che è rimasta senza ascensore sociale, sta copiando il copione che nei primi decenni del secolo 20° permise a Benito Mussolini e la fascismo di arrivare al potere per via elettorale.

Il piano di Papandreu di fare un referendum, scrive Costas Douzinas sul quotidiano britannico The Guardian, non è stato un riconoscimento tardivo, un tentativo di correzione democratica di fronte alle ripetute umiliazioni che hanno subito i greci, e per riaffermare la sovranità di fronte al FMI e alla Germania. Al contrario, è stato un tentativo del governo per recuperare l‘iniziativa contro il suo stesso popolo, che sta gridando che se ne vada dal governo.
Ma Douzinas ricorda anche che “referendum” è una “brutta parola nei corridoi di Bruxelles, perché evoca la paura che le élites provano quando il popolo entra momentaneamente sulla scena politica”. Il vertice della zona euro e i grandi centri finanziari sono contro qualsiasi consulta o referendum popolare che metta in discussione – come è già successo in passato – l’euro, i rigidi e limitanti principi dei trattati costituenti l’UE, e come dice l’economista Constantin Gurdgiev, l’antidemocratico sistema che regge la zona euro e che, per la tutela fiscale , fa rivivere i conflitti nazionali ed etnici che si supponeva che la creazione della UE avrebbe sepolto per sempre.
Ma, tastando il polso della popolazione, il vertice della zona euro e i governi nazionali non possono ignorare che una crescente percentuale della popolazione e il movimento popolare che si è già mobilitato nei paesi debitori può trovare o trova attraente l’idea di referendum per rifiutare l’impagabile debito e le politiche di aggiustamento fiscale e le privatizzazioni, e esigere una politica radicalmente diversa dall’attuale.

E nei paesi “donatori”, come Germania o Olanda, l’idea dei referendum è attraente anche per alcuni politici e movimenti conservatori e di destra che, come dicono senza nasconderne il razzismo implicito, non vogliono continuare ad utilizzare risorse fiscali per “mantenere quegli scansafatiche” dei paesi del Mediterraneo.

Il famoso compositore greco Mikis Theodorakis, noto per la sua lotta all’occupazione nazi-fascista e alla dittatura dei colonnelli, ha ricordato alla televisione greca che “la democrazia nacque ad Atene quando Solone annullò i debiti dei poveri con i ricchi”.
Theodorakis ha detto che “la nostra battaglia non è solo quella della Grecia, ma aspira ad un’Europa libera, indipendente e democratica”, e ha aggiunto che “non c’è altra soluzione che cambiare l’attuale modello economico europeo, concepito per creare debiti, e tornare ad una politica di stimolo della domanda e dello sviluppo, a un protezionismo dotato di un controllo drastico della finanza. Se gli Stati non si impongono sopra ai mercato, questi ultimi se li inghiottiranno, insieme alla democrazia e a tutti i risultati della civiltà europea. La democrazia nacque ad Atene quando Solone annullò i debiti dei poveri verso i ricchi. Non si può oggi autorizzare le banche a distruggere la democrazia europea, a strapparci le somme gigantesche che essi stessi hanno generato sotto forma di debiti”.

E ha continuato sottolineando che la battaglia dei greci è di interesse di tutti i popoli, perché “se voi autorizzate oggi il sacrificio delle società greca, irlandese, portoghese e spagnola sull’altare del debito e delle banche, molto presto sarà il vostro turno. Voi non prospererete tra le rovine delle società europee. Resistete al totalitarismo dei mercati ,che minaccia di smantellare l’Europa trasformandola in un Terzo Mondo, che mette i popoli europei gli uni contro gli altri, che distrugge il nostro continente propiziando il ritorno del fascismo”.

 

(*)Economista e giornalista argentino

(traduzione di Daniela Trollio

Centro di Iniziativa Proletaria “G.Tagarelli”

Via Magenta 88, Sesto San Giovanni)





 

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