Hugo Chàvez all'ONU.

2° lettera di Hugo Chàvez , presidente del Venezuela,

all’Assemblea Generale dell’ONU (27 settembre 2011)

da: Cubadebate.cu; 29.9.2011

 

 

Signore e signori:

indirizzo queste parole all’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, a questo grande foro dove sono rappresentati tutti i popoli della terra, per esprimere le verità del Venezuela bolivariano e riaffermare il nostro impegno irrinunciabile con la giustizia e l’uguaglianza, di questo si tratta, con la pace.

La pace, la pace, la pace …. Non cerchiamo la pace dei cimiteri, come diceva con ironia Kant, ma una pace basata sul più geloso rispetto del diritto internazionale. Purtroppo l’ONU, nel corso di tutta la sua storia, invece di sommare e moltiplicare gli sforzi per la pace tra le Nazioni, ha finito per avallare – a volte per azione e altre per omissione – le più spietate ingiustizie.

Bisogna sempre ricordare che nel Preambolo della Carta delle Nazioni Unite si parla di salvare le generazioni future dal flagello della guerra … Pura lettera morta. Dal 1945 in avanti le guerre non hanno fatto che crescere e moltiplicarsi inesorabilmente. Guardiamo, una volta di più, alla Libia distrutta e insanguinata per volontà dei potenti di questo mondo.

Voglio fare un appello alla riflessione ai governi del mondo: dall’11 settembre 2011 è cominciata una nuova guerra imperialista che non ha precedenti storici: una guerra permanente, perpetua.

Dobbiamo guardare in faccia la spaventosa realtà del mondo in cui viviamo. E’ necessario esprimere un insieme di inquietudini a partire dai pericoli e dalle minacce che incombono su di noi: perché gli Stati Uniti sono l’unico paese che semina il pianeta di basi militari? Di cosa hanno paura per avere un tale spaventoso bilancio destinato ad aumentare ogni volta di più il suo potere militare? Perché hanno scatenato tante guerre, violando la sovranità di altre nazioni che hanno gli stessi diritti sui loro destini? Come far valere il diritto internazionale contro la loro insensata aspirazione di egemonizzare militarmente il mondo per garantirsi fonti energetiche per sostenere il loro modello depredatorio e consumista? Perché l’ONU non fa nulla per fermare Washington? Se rispondessimo, con assoluta sincerità, a questi interrogativi , comprenderemmo che l’impero si è aggiudicato il ruolo di giudice del mondo, senza che nessuno gli abbia conferito tale responsabilità, e che, quindi, la guerra imperialista ci minaccia tutti.

Washington sa che il mondo multipolare è ormai una realtà irreversibile. La sua strategia consiste nel fermare, ad ogni costo, l’ascesa sostenuta di un insieme di paesi emergenti, negoziando i grandi interessi con i suoi soci e seguaci, per dare alla multipolarità l’indirizzo che l’impero vuole. Ma non è tutto: si tratta di una riconfigurazione del mondo che si appoggia sull’egemonia militare yankee.

L’umanità si sta confrontando con la minaccia certa della guerra permanente. In qualsiasi scenario, e la Libia lo dimostra, l’impero è disposto a creare le condizioni politiche per andare alla guerra. Nella visione imperiale del mondo, si sta capovolgendo il celebre assioma di Clausewitz: la politica è la continuazione della guerra con altri mezzi.

Cosa c’è sullo sfondo di questo nuovo Armageddon?: il potere omnicomprensivo del complesso militare-finanziario che sta distruggendo il mondo per accumulare ogni volta più profitto; il complesso militare-finanziario che sta subordinando, di fatto, un insieme, ogni volta più vasto, di Stati. Tenete in conto che il modo di esistere del capitale finanziario è la guerra: la guerra che rovina i più arricchisce, fin all’impensabile, i pochi.

Nell’immediato c’è una gravissima minaccia per la pace mondiale: lo scatenarsi di un nuovo ciclo di guerre coloniali, che è iniziato in Libia, con il sinistro obiettivo di dare un secondo respiro al sistema-mondo capitalista, oggi in crisi strutturale, ma senza porre alcun tipo di limite alla sua voracità consumista e distruttiva. Il caso della Libia deve allarmarci sulla pretesa di sviluppare un nuovo formato imperiale di colonialismo: quello dell’interventismo militare avallato dagli organi antidemocratici delle Nazioni Unite e giustificato in base a menzogne mediatiche prefabbricate.

L’umanità è sul bordo di una catastrofe inimmaginabile: il pianeta marcia inesorabilmente verso il più devastante ecocidio; il riscaldamento globale si annuncia attraverso le sue paurose conseguenze, ma l’ideologia dei Cortèz e dei Pizarro rispetto all’ecosistema, come ben dice l’importante pensatore francese Edgar Morin, li porta a continuar a devastare e a distruggere. La crisi energetica e la crisi alimentare si acutizzano, ma il capitalismo continua ad oltrepassare impunemente tutti i limiti.

Di fronte a questo panorama così desolante, il grande scienziato statunitense Linus Pauling, premiato in due occasioni con il Nobel, ci illumina ancora il cammino: “Credo che esista nel mondo un potere più grande del potere negativo della forza militare e delle bombe nucleari: il potere del bene, della moralità, dell’umanitarismo. Credo nel potere dello spirito umano. Mobilitiamo, allora, tutto il potere dello spirito umano: è ormai tempo. Si impone scatenare una grande offensiva politica per impedire che i poteri delle tenebre trovino giustificazioni per andare alla guerra: per scatenare la guerra globale generalizzata con cui pretendono di salvare il capitale dell’Occidente”.

 

Il Venezuela chiama alla costituzione di una grande alleanza contro la guerra e per la pace: con il supremo obiettivo di evitare la guerra a cui darebbero luogo. Bisogna sconfiggere politicamente i guerrafondai,e ancor più la cupola militare-finanziaria che li sostiene e comanda.

Costruiamo l’equilibrio dell’universo che immaginava il Liberatore Simòn Bolìvar: l’equilibrio che, secondo le sue parole, non può trovarsi nel seno della guerra; l’equilibrio che nasce dalla pace.

E’ necessario ricordare e ricordare subito: il Venezuela, insieme ai paesi dell’Alleanza Bolivariana per i popoli della Nostra America (ALBA), aveva raccomandato attivamente una soluzione pacifica e negoziata per il conflitto libico. Così l’aveva fatto, anche, l’Unione Africana. Ma, alla fine, si è imposta la logica bellica decretata dal Consiglio di Sicurezza dell’ONU e messa in pratica dalla NATO, questo braccio armato dell’impero yankee. La logica bellica che ha avuto la sua punta di lancia nelle multinazionali della comunicazione: ricordatevi che il “caso Libia” è stato portato al Consiglio di Sicurezza sulla base del’intensa propaganda dei mezzi di comunicazione, che hanno mentito nell’affermare che l’aviazione libica bombardava civili innocenti, per non parlare della grottesca messa in scena mediatica nella Piazza Verde di Tripoli. Questa premeditata campagna di menzogne ha giustificato le misure affrettate e irresponsabili del Consiglio di Sicurezza dell’ONU, che hanno aperto il cammino perché la NATO sviluppasse, per via militare, la sua politica di cambiamento di regime in quel paese.

Vale la pena di chiedersi: in che cosa si è trasformata la zona di esclusione aerea stabilita dalla risoluzione 1973 del Consiglio di Sicurezza? Forse che le più di 20.000 missioni aeree della NATO contro la Libia, molte delle quali con fine di bombardare il popolo libico, non sono la negazione stessa di quella Zona di Esclusione? Annichilita completamente la forza aerea libica,la continuità dei bombardamenti “umanitari” dimostra che l’Occidente , attraverso la NATO, impone i suoi interessi in Nord Africa, trasformando la Libia in un protettorato coloniale.

E’ una burla affermare che dall’ONU si è imposto l’embargo sulle armi in Libia, quando la stessa NATO ha introdotto migliaia di armi pesanti per appoggiare l’insurrezione violenta contro il legittimo governo di quel paese. L’embargo, naturalmente, doveva solo impedire che il governo libico difendesse la sua sovranità, dando validità una volta di più a quella crudele modalità di funzionamento internazionale secondo la quale al debole la legge la si impone..

Qual è il motivo reale di questo intervento?: ricolonizzare la Libia per impadronirsi delle sue ricchezze. Tutto il resta è subordinato a questo obiettivo. Nessuno colonizza innocentemente, diceva con ragione il grande poeta martinicano Aimé Césaire nel suo straordinario Discorso sul colonialismo.

Certo: la residenza del nostro Ambasciatore a Tripoli è stata invasa e saccheggiata, ma l’ONU ha fatto scena muta, mantenendo un ignominioso silenzio.

Esigiamo la cessazione immediata dei bombardamenti sul territorio libico, e continueremo ad esigere il rispetto per il diritto internazionale nel caso di questa nazione sorella: non taceremo davanti al perverso tentativo di distruggere le basi che le danno senso e ragione. Per questo facciamo la seguente domanda a questa Assemblea: perché si concede lo scranno della Libia all’ONU all’autodefinitosi “Consiglio nazionale di Transizione” mentre si blocca l’ingresso della Palestina, disconoscendo non solo la sua legittima aspirazione ma quanto è già volontà maggioritaria dell’Assemblea generale? Il Venezuela ribadisce qui, con tutte le sue forze e con l’autorità morale che dà la volontà maggioritaria dei popoli del mondo, la sua solidarietà incondizionata al popolo palestinese e il suo assoluto appoggio alla causa nazionale palestinese, compresa naturalmente l’ammissione immediata di uno Stato palestinese con pieno diritto in seno all’Organizzazione delle Nazioni Unite.

E lo stesso copione imperialista si va ripetendo nel caso della Siria. Se non fosse perché alcuni membri permanenti del Consiglio di Sicurezza fanno oggi mostra della fermezza che è mancata loro nel caso della Libia, sarebbe stato già definito tutto perché il Consiglio di Sicurezza desse il suo avallo alla NATO per sparare missili e inviare i bombardieri contro la Libia.

E’ intollerabile che i potenti di questo mondo pretendano di arrogarsi il diritto di ordinare a governanti legittimi e sovrani che rinunciano al loro ruolo. Così è successo in Libia, nello stesso modo vogliono procedere con la Siria. Tali sono le asimmetrie nello scenario internazionale e tali le soprafazioni contro le Nazioni Indipendenti.

Non abbiamo titolo per anticipare un giudizio sulla situazione interna della Siria, primo per la complessità inerente a qualsiasi realtà nazionale, e secondo perché solo il popolo siriano può risolvere i suoi problemi e decidere del suo destino con riferimento al diritto all’autodeterminazione dei popoli, un diritto inalienabile in tutti i sensi. Ma questo non ci impedisce di pensare che è cento volte meglio scommettere sul successo dell’ampio dialogo nazionale a cui ha convocato il Presidente Bashar Al Assad, che imporre sanzioni e gridare come iene all’intervento militare. Dal Venezuela bolivariano appoggiamo, senza ambiguità, i grandi sforzi che fa il Presidente Bashir Al Assad per preservare l’unità e la stabilità della sua patria, davanti all’assedio dell’imperialismo vorace.

 

Signor Presidente,

dirigiamo ora la nostra attenzione al Corno d’Africa e avremo un esempio straziante del fallimento storico dell’ONU: la maggior parte delle agenzie di stampa serie sostiene che negli ultimi tre mesi sono morti tra i 20 e i 29 mila bambini minori di 5 anni.

La grande giornalista Frida Modak, nel suo articolo Morire in Somalia, mette in chiaro tutta la miseria che – peggiore di quella che devasta la vasta regione del Corno d’Africa – corrode le principali organizzazioni internazionali, in primissimo luogo l’ONU: quello di chi c’è bisogno per far fronte a questa situazione sono circa 1.400 milioni di dollari, non per risolvere il problema ma per gestire l’emergenza in cui si trovano Somalia, Kenia, Gibuti e Etiopia. Secondo le informazioni i prossimi due mesi saranno decisivi per evitare la morte di più di 12 milioni di persone e la situazione più grave è quella della Somalia.

Questa realtà non può essere più atroce se nello stesso tempo non ci domandiamo quanto si sta spendendo nel distruggere la Libia. Così risponde il congressista statunitense Dennis Kucinich: Questa nuova Guerra di costerà 500 milioni di dollari solo durante la prima settimana. E’ chiaro che non abbiamo risorse finanziarie per questo e finiremo per ridurre il finanziamento ad altri importanti programmi domestici. Secondo lo stesso Kucinich, con quanto speso nelle prime tre settimane nel nord del continente africano per massacrare il popolo libico, si sarebbe tranquillamente potuto aiutare tutta la regione del Corno d’Africa, salvando decine di migliaia di vite.

Le ragioni che hanno motivato l’intervento criminale in Libia non sono per nulla umanitarie: hanno la loro base nel postulato maltusiano che “c’è troppa gente nel mondo” e bisogna eliminarla, generando più fame, più distruzione e più incertezza. Generando, nello stesso tempo, più profitti finanziari. In questo senso è francamente triste che, nel messaggio di apertura della 66° Assemblea Generale dell’ONU non si sia fato appello all’azione immediata per risolvere la crisi alimentare che soffre il Corno d’Africa, mentre si è asserito che “è giunto il momento di agire” sulla Siria.

 

Signore e signori,

noi chiediamo, allo stesso modo, la fine del vergognoso e criminale blocco della sorella Repubblica di Cuba: blocco che, da più di cinquanta anni, l’impero esercita, con crudeltà ed efferatezza   contro l’eroico popolo di José Martì.

Con l’anno 2010 sono ormai diciannove le votazioni nell’Assemblea Generale dell’ONU che confermano la volontà universale di chiedere agli Stati Uniti di cessare il blocco economico e commerciale contro Cuba.

Esauriti tutti gli argomenti della ragione internazionale, rimane solo da credere che un tale accanimento contro la Rivoluzione Cubana sia conseguenza della superbia imperiale davanti alla dignità e al coraggio che ha mostrato il mai piegato popolo cubano con la sovrana decisione di decidere del suo destino e lottare per la sua felicità.

Dal Venezuela, crediamo che sia giunta l’ora di esigere dagli Stati Uniti non solo la fine immediata e senza condizioni del criminale blocco imposto contro il popolo cubano, ma anche che siano messi in libertà i cinque lottatori antiterroristi cubani sequestrati nelle carceri dell’impero per ‘unico motivo di aver cercato di impedire le azioni illegali che gruppi terroristici preparano contro Cuba, sotto la protezione del governo degli Stati Uniti.

 

Signor Presidente dell’Assemblea Generale e distinti rappresentanti dei popoli del mondo:

Vogliamo ripeterlo: è impossibile ignorare la crisi delle Nazioni Unite. Davanti a questa stessa Assemblea Generale abbiamo sostenuto, nell’anno 2005, che il modello delle nazioni Unite era esaurito. In quella occasione, abbiamo prospettato, anche, la necessità improrogabile della loro rifondazione.

Da allora ad oggi non si è fatto nulla: si è imposta la volontà politica dei potenti. Certo: l’ONU, così come funziona oggi, serve docilmente i loro interessi. Per noi è chiaro che le Nazioni Unite non migliorano e non miglioreranno dall’interno. Se il suo Segretario Generale, con il Procuratore della Corte Penale Internazionale partecipano ad un atto di guerra, come nel caso della Libia, non vi è nulla da aspettarsi dall’attuale forma di questa organizzazione. E non è più tempo di riforme: l’ONU non accetta riforma alcuna; la malattia che porta dentro di sé è mortale.

E’ intollerabile che esista un Consiglio di Sicurezza che volti le spalle, ogni volta che vuole, alle richieste maggioritarie delle nazioni, disconoscendo deliberatamente la volontà dell’Assemblea Generale. Se il Consiglio di Sicurezza è una sorta di club con membri privilegiati, che cosa può fare l’Assemblea Generale, qual è il suo margine di manovra quando questi violano il diritto internazionale?

Parafrasando Bolìvar – quando si riferiva concretamente al nascente imperialismo yanquee nel 1818 – è ora di smettere che le leggi le pratichino i deboli e gli abusi li pratichino i forti. Non possiamo essere noi,i Popoli del Sud, quelli che rispettano il diritto internazionale, mentre il Nord ci distrugge e ci saccheggia, violandolo. Se non ci assumiamo, finalmente, l’impegno di rifondare le Nazioni Unite, questa organizzazione perderà definitivamente la poca credibilità che le resta. La loro crisi di legittimità si accelererà fino all’implosione finale. Di fatto, così è successo con l’organismo che è stato il suo antecedente immediato: la Lega delle Nazioni.

Un primo e decisivo passo per cominciare a rifondare le Nazioni Unite sarebbe eliminare la categoria di membri permanenti e il diritto di veto del Consiglio di Sicurezza. Allo stesso modo bisognerebbe massimizzare democraticamente il potere di decisione dell’Assemblea Generale. Si impone anche, nell’immediato, la revisione a fondo della Carta delle Nazioni Unite con l’obiettivo di procedere alla redazione di una nuova Carta.

Popoli del mondo:

Il futuro di un mondo multipolare in pace dipende da noi. Nell’articolazione dei popoli maggioritari del pianeta per difenderci dal nuovo colonialismo e raggiungere l’equilibrio dell’universo che neutralizzi l’imperialismo e l’arroganza.

Questo appello ampio, generoso, rispettoso, senza esclusioni, è diretto a tutti i popoli del mondo, ma specialmente alle potenze emergenti del Sud, che devono assumere con coraggio il ruolo che sono chiamate a svolgere nell’immediato.

Dall’America Latina e dai Caraibi sono sorte forti e dinamiche alleanze regionali, che cercano di configurare uno spazio regionale democratico, rispettoso della particolarità, e desideroso di mettere al centro la solidarietà e la complementarietà, potenziando ciò che ci unisce e risolvendo politicamente ciò che ci divide. E questo nuovo regionalismo ammette la diversità e rispetta i tempi di ciascuno. Così, l’Alleanza Bolivariana per i Popoli della Nostra America (ALBA) avanza come un esperimento d’avanguardia di governi progressisti e antimperialisti, cercando formule di rottura con l’ordine internazionale imperante e rafforzando la capacità dei popoli a far fronte,collettivamente, ai poteri di fatto. Ma questo non impedisce che i suoi membri diano un impulso deciso ed entusiasta al consolidamento dell’Unione delle nazioni Sudamericane (UNASUR), blocco politico che federa 12 stati sovrani del Sudamerica, con lo scopo di raggrupparle in ciò che il Liberatore Simòn Bolìvar chiamò “una Nazione di Repubbliche”. E, oltre, i 33 paesi dell’America Latina e dei Caraibi si preparano a fare il passo storico di fondare una grande entità regionale che ci raggruppi tutti, senza esclusione, dove potremo insieme disegnare le politiche che dovranno garantire il nostro benessere, la nostra indipendenza e la nostra sovranità, basate sull’uguaglianza, la solidarietà e la complementarietà.

Caracas, la capitale della Repubblica Bolivariana del Venezuela, è orgogliosa già da ora di ospitare, i prossimi 2 e 3 dicembre, il Vertice dei Capi di Stato e di Governo che fonderà definitivamente la nostra Comunità degli Stati Latinoamericani e dei Caraibi (CELAC).

Noi venezuelani contiamo le nostre speranze in una grande alleanza degli insiemi regionali delSud, come l’Unione delle Nazioni Sudamericane (UNASUR), la CARICOM, il SICA, l’Unione Africana, la ASEAN o la ECO e, particolarmente, nelle istanze interregionali dell’articolazione delle potenze emergenti come il BRICS (Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica) che deve diventare un polo di attrazione articolato con i popoli del Sud.

Voglio finire ricordando il grande cantore del popolo venezuelano: Alì Primera. In una delle sue canzoni ci chiede: Qual è la lotta degli uomini per raggiungere la pace? E quale pace? Se vogliono lasciare i mondo com’è.. Oggi più che mai il peggior crimine contro la pace è lasciare il mondo com’è: se lo lasciamo com’è, il presente e il futuro sono e saranno determinati dalla guerra perpetua. Al contrario, ottenere la pace presuppone rovesciare radicalmente tutto ciò che lo impedisce, per dirlo con lo stesso Alì Primera, che sia umana l’umanità.

 

 

Hugo Chávez Frías
Presidente della Repubblica Bolivariana del Venezuela

 

 

(traduzione di Daniela Trollio del Centro di Iniziativa Proletaria “G.Tagarelli”

Via Magenta 88, Sesto San Giovanni (MI)

Mail:     cip.mi@tiscali.it

 

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Commenti: 1
  • #1

    wlp (giovedì, 25 giugno 2015 12:44)

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