A POCHI GIORNI DALLE COMMERAZIONI IN USA.

Gli attentati dell’11-S: una scusa perfetta?

di Atilio Boron (*) – da: atilioboron. Com; 19.9.2011

 

Passati i dieci anni dagli attacchi dell’11 settembre alle Torri Gemelle e al Pentagono, sono sempre più le domande che ancora aspettano una risposta convincente. La commemorazione appena fatta del nuovo anniversario non ha fatto che aumentare il sospetto che ci siano molte informazioni di grande importanza mai messe a disposizione dell’opinione pubblica, e che lo stesso giorno degli incidenti sia stato messo in atto un imponente dispositivo per nascondere quello che era veramente successo.

 

Ma, al di là di questa percezione, la verità è che i fatti dell’11-S hanno segnato l’inizio di una nuova tappa nella storia dell’imperialismo, caratterizzata da una militarizzazione senza precedenti della scena internazionale che ha posto la diplomazia in un luogo subordinato rispetto al boato delle bombe e alle mortifere scie dei missili. Si potrebbe dire – senza esagerare - che di tutto ciò sopravvive solo la pompa e il protocollo perché la sostanza e l’agenda diplomatica la decidono oggi i signori della guerra. Questo è più che evidente nel caso degli Stati Uniti, dove lo spostamento del Dipartimento di Stato nelle mani del Pentagono dimostra eloquentemente quello che stiamo dicendo.

Corollario di questa tendenza è l’adozione di una nuova dottrina strategica: la “guerra infinita” o la “guerra globale contro il terrorismo” senza un nemico chiaramente definito né una data prevista per la fine delle ostilità; la riaffermazione della supremazia del “complesso militare-industriale” nel blocco dominante, la cui sopravvivenza e il cui tasso di profitto dipendono senza mediazione dall’affare della guerra; e l’impressionante scalata delle spese militari statunitensi che, sommando tutte le loro componenti, ha appena superato tranquillamente il milione di milioni – un bilione di dollari – cifra che solo pochi anni fa era considerata inarrivabile dagli esperti di questioni militari.

L’enigmatico 11-S ha fatto precipitare tutte queste calamità. Ai circa tremila morti di quel giorno a New York (quello che si sa delle vittime dell’attentato al Pentagono e della caduta dell’aereo diretto a Camp David è molto poco) vanno aggiunti i quasi seimila soldati statunitensi caduti nelle guerre scatenate per “combattere il terrorismo islamico” in Iraq e Afganistan e, naturalmente, le centinaia di migliaia massacrati soprattutto nel primo di questi due paesi.

 

Incidentalmente: il costo di queste due guerre, calcolato a valori costanti, raggiunge una cifra di quasi il doppio di quella raggiunta nella guerra del Vietnam. Se Osama bin Laden voleva dissanguare economicamente gli Stati Uniti, bisogna riconoscere che questo obiettivo è stato raggiunto in buona misura. Su questa stessa linea Noam Chomsky ha osservato che secondo Eric Margolis, un esperto del tema, Osama aveva affermato in numerose occasioni “che l’unica strada per spazzar via gli USA dal mondo musulmano e sconfiggere i suoi satrapi era coinvolgere gli statunitensi in una serie di piccole, ma costose, guerre che li portassero alla fine alla bancarotta….”. “Far sanguinare gli Stati Uniti” le sue precise parole.

 

Al luttuoso saldo di cui sopra, bisognerebbe aggiungere le ottocentomila vittime causate dal blocco decretato contro l’Iraq dopo la prima Guerra del Golfo (2 agosto 1990 – 28 febbraio 1991), blocco iniziato dal governo conservatore di George H.W. Bush padre e continuato dall’amministrazione “progressista” di Bill Clinton. Interrogata sul fatto se questo silenzioso olocausto in Iraq, che ha preceduto l’11-S, era valso la pena – nonostante che le vittime in maggioranza fossero stati i bambini – la ex segretaria di Stato di Clinton ha detto senza esitazione di sì.

Dopo gli attentati Washington non perse tempo nell’identificare i loro autori come appartenenti ad Al Qaeda e quasi tutto il mondo musulmano divenne sospetto a meno di non provare il contrario; il capo di questa organizzazione, un ex collaboratore della CIA in Afganistan, Osama bin Laden - venne dichiarato nemico pubblico degli Stati Uniti e del “American way of life” e, con sorpresa degli specialisti, l’odiato nemico di Osama, Saddam Hussein, appariva ora nei comunicati di Washington come il suo alleato e protettore nell’Iraq che, a giudizio della Casa Bianca, disponeva di un mortale arsenale di armi di distruzione di massa.

 

Diciamo che gli interrogativi sono molti, cosa che ha dato luogo negli ultimi anni alla proliferazione di una serie di spiegazioni alternative, che guadagnano sempre più adepti … Inchieste fatte negli ultimi anni coincidono nel segnalare che uno su tre statunitensi crede che gli attacchi dell’11-S siano stati elaborati e/o eseguiti con la complicità di funzionari del governo federale (militari, CIA, FBI o altra organizzazione); un 16% crede che le Torri Gemelle e la torre n. 7 – che non fu attaccata da alcun aereo e ciò nonostante crollò nel pomeriggio – siano state demolite con l’esplosivo e un 12% crede che sia stato un missile cruise a colpire il Pentagono.

 

Naturalmente nell’una e nell’altra direzione c’è una vera alluvione di dati, che sono stati messi in gioco per giustificare queste interpretazioni. E anche se alcune sono state escluse, le domande rimaste senza risposta hanno uno spessore sufficiente da alimentare ogni tipo di congettura.

 

Succintamente, le versioni più verosimili delle teorie alternative (che non a caso la stampa di regime stigmatizza come “cospirative”) sostengono che, nonostante le torri siano state investite da due aerei civili, la forma in cui si è prodotto il loro crollo – l’angolo di caduta,la velocità, l’esistenza di residui di esplosivi tra le macerie – si inquadra chiaramente in quella che si chiama “demolizione controllata”.

Il sito web di un numeroso gruppo di esperti riuniti in un’associazione chiamata “Accademici per la verità dell’11-S” osserva che, secondo quanto dichiarato da un’esperta in ingegneria meccanica, la professoressa Judy Wood, se qualcuno avesse gettato una palla da biliardo dal tetto delle Torri Gemelle, ci sarebbero voluti 9. 22 secondi perché arrivasse a terra. Le torri, invece, fecero la stessa traiettoria in 8 secondi, cosa impossibile a meno che non ci fosse stata un’esplosione nelle loro fondamenta.

Ancora: si parla sempre delle Torri Gemelle, ma la stampa e la versione ufficiale del governo nordamericano omettono il fatto che l’Edificio n. 7 del complesso del World Trade Center crollò anch’esso. Questo fatto misterioso avvenne alle 4.56 del pomeriggio dell’11-S, cioè circa otto ore dopo il crollo delle Torri Gemelle e senza che vi si fosse schiantato alcun aereo. Questo edificio ospitava, tra altre agenzie governative, alcuni uffici del servizio segreto, la CIA, del Servizio Imposte Interne e l’Unità di lotta al terrorismo della città di New York. Il modo in cui è crollato, una volta di più, si adatta chiaramente al modello della “demolizione controllata”.

Non sono minori i dubbi suscitati da quanto successo al Pentagono, dove l’aereo che presumibilmente si schiantò nel suo muro praticamente si polverizzò in aria, e senza che venisse trovato alcun resto significativo né dei suoi motori né delle sue ali, della coda e del sistema di atterraggio. Non sono state trovate tracce neppure dei sedili o dei corpi dei passeggeri, cosa che dimostrerebbe la teoria che contro il Pentagono, in realtà, si schiantò un missile cruise.

Tutte queste ipotesi, che contraddicono la versione ufficiale di Washington, hanno guadagnato credibilità grazie all’azione del suddetto gruppo di accademici, del quale fanno parte ingegneri, architetti e scienziati di differenti discipline che insieme segnalano che la caduta delle torri e dell’Edificio n.7 portano indiscutibilmente all’esistenza di esplosivi collocati strategicamente nelle fondamenta di questi edifici, con il che si pone la domanda di come sia stato possibile che succedesse questo in edifici sottoposti a rigorosissimi controlli, con accessi impossibili da superare senza alcuna forma di cooperazione con coloro che erano responsabili della loro sicurezza.

 

Altri precedenti sono ugualmente inquietanti: è ragionevole pensare che 19 cittadini stranieri – la maggior parte dei quali aveva passaporti o visti scaduti – abbiano potuto salire armati su quattro aerei civili? Come interpretare il fatto che, nei mesi precedenti l’11-S, la forza aerea statunitense abbia realizzato 67 intercettazioni positive di voli illegali o fuori rotta e invece, quel giorno fatale, 4 aerei abbiano potuto deviare la loro rotta senza che nessuno venisse intercettato?

Quello che presumibilmente si sarebbe schiantato sul Pentagono volò fuori rotta per un periodo di 40 minuti senza essere intercettato da alcun caccia statunitense.

 

Le domande e le ipotesi sarebbero interminabili. E la lunga tradizione di inganni e segreti di Washington eccita l’immaginazione dei cospirazionisti.

E’ ancora fresca la colossale menzogna ammanita dalla Casa Bianca in relazione all’assassinio di John F. Kennedy, secondo cui il suo assassinio fu opera di un pazzo solitario.

Questa assurda versione fu confermata dal cosiddetto rapporto Warren della Corte Suprema degli Stati Uniti, che in un testo di 888 pagine sostiene questa tesi. Il rapporto è stato fatto a pezzi dai critici e, tuttavia, rimane quale versione ufficiale dell’assassinio di JFK.

Menzogne simili vennero espresse nel corso della storia dal governo degli Stati Uniti.

Nel febbraio 1898 esplodeva la corazzata Maine ancorata nel porto dell’Avana, dove era arrivata per “proteggere” gli interessi nordamericani minacciati dall’imminente trionfo dei patrioti cubani sui colonialisti spagnoli. Gli USA accusarono la Spagna dell’attentato, che causò la morte di gran parte dell’equipaggio, e in questo modo giustificarono la loro intromissione nel conflitto: dichiararono guerra alla Spagna,una guerra già vinta dai cubani, e alla fine restarono loro Cuba, Portorico e le Filippine.

Mentirono anche quando dichiararono ufficialmente, il giorno dopo aver lanciato la bomba atomica su Hiroshima, che non c’erano tracce di radiazioni nucleari nella zona. Precedentemente, molti sostengono che la Casa Bianca sapesse dell’imminente attacco giapponese a Pearl Harbour e che lasciò che succedesse perché avrebbe convinto l’opinione pubblica, che in quel momento era contrario alla partecipazione del paese alla 2° Guerra Mondiale.

E tornarono a mentire quando assicurarono che c’erano armi di distruzione di massa in Iraq.

Mentirono mille volte dal 1° gennaio 1959 calunniando la Rivoluzione Cubana, come fecero accusando i governi di Salvador Allende, Juan Bosch, Jacobo Arbenz e molti altri. E mentono oggi, spudoratamente, accusando di complicità nel terrorismo e nel narcotraffico governi come quelli di Raùl Castro, Hugo Chàvez, Evo Morales e Rafael Correa. Menzogne, conviene ricordarlo, nascoste dietro montagne di vittime.

 

Il rapporto ufficiale redatto in relazione all’11-S manca completamente di credibilità. I suoi difensori squalificano i suoi critici chiamandoli “cospirazionisti”. Ma non ci sono forse sufficienti domande per concludere che, se c’è una cospirazione, questa è quella che viene dalla Casa Bianca, col suo sistematico occultamento di tutte le prove che contraddicono la storia ufficiale?

I critici di questa storia sostengono due ipotesi: o il governo USA sapeva dell’attentato che avrebbero commesso i terroristi e ha lasciato che succedesse; o che sono state alcune agenzie federali che hanno pianificato e realizzato l’operazione per creare le condizioni necessarie per andare avanti con la loro agenda politica e, nell’immediato, per giustificare l’accaparramento dell’Iraq e della sua grande ricchezza petrolifera.

Secondo analisti nordamericani molto bene informati, era un segreto conosciuto da tutti che nelle discussioni del gabinetto di George W. Bush, alla vigilia della tragedia, si diceva che per invadere l’Iraq e appropriarsi del suo petrolio era necessario contare su una buona scusa.

Gli attentati dell’11-S hanno offerto la scusa perfetta. Forse un giorno sapremo la verità. Ma la cospirazione del silenzio messa in piedi dalla Casa Bianca non autorizza ad essere troppo ottimisti al riguardo.

 

(*) Politologo argentino

 

(traduzione di Daniela Trollio

Centro di Iniziativa Proletaria “G.Tagarelli”

Via Magenta 88, Sesto S.Giovanni)

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