I CRIMINI DI GUERRA ISRAELIANI.

Israele ha paura della giustizia internazionale

di Juan Gelman (*); da: pagina12.com.ar, 8.11.2011

 

Risulta molto chiaro in una comunicazione classificata come “segreta”, che l’ambasciatore statunitense a Tel Aviv, James B. Cunningham, ha inviato alla segretaria di Stato il 23 febbraio 2010 dopo essersi riunito con l’avvocato generale militare delle Forze di Difesa di Israele (FDI), Avichail Mandelblit (//wikileaks.org, 30-8-11).

Il ministro della Giustizia dell’Autorità Palestinese (ANP), Ali Kashan, aveva chiesto al procuratore della Corte Penale Internazionale (CPI), Luis Moreno Ocampo, che venissero indagati i crimini di guerra israeliani commessi dal 2002 nei territori palestinesi occupati, compresa la cosiddetta Operazione Piombo Fuso, che falciò la vita di 1.400 abitanti di Gaza.

 

Mandelblit ha ripetuto nell’incontro la richiesta che gli USA sostenessero “pubblicamente che la CPI non ha giurisdizione legale su quell’operazione perchè Gaza non ha lo statuto di Stato”. Non si è fermato lì: ha avvertito che se la richiesta dell’Autorità Nazionale Palestinese fosse accolta, “per il governo israeliano sarebbe la guerra e questo si aspetta che gli USA aiutino l’ANP a capire la gravità delle sue azioni”. “L’ambasciatore ha affermato – continua la comunicazione – che gli USA hanno fatto forti pressioni sull’ANP perchè questa desista dalle sue azioni e ha ricevuto la promessa che l’ANP avrebbe congelato le sue richieste”. Alla riunione assisteva il colonnello Liron Libman, capo del Dipartimento di Diritto Internazionale delle FDI: “Ha segnalato che la questione della CPI era la più pericolosa per Israele”.

 

Ci sono almeno 1.400 ragioni perché sia così.

Mandelblit ha anche espresso la speranza che il cosiddetto Rapporto Goldstone “sparisca”.

Si riferiva a quello preparato dalla Missione di Indagine delle Nazioni Unite sul conflitto a Gaza, guidata dal giudice sudafricano Richard Goldstone (www.ohchr.org, 23-9-09), in cui si registra la repressione di Hamas contro oppositori politici, ma soprattutto si documentano largamente, tra altre aggressioni, i deliberati attacchi delle FDI contro obiettivi civili. “A partire dai fatti determinati – segnala il rapporto – la Missione è arrivata alla conclusione che la condotta delle forze armate israeliane presuppone gravi violazioni della Quarta Convenzione di Ginevra in relazione alle morti indiscriminate e al desiderio deliberato di causare sofferenze a persone protette …. Arriva anche alla conclusione che la decisione di attaccare e uccidere arbitrariamente civili palestinesi costituisce una violazione del diritto alla vita.”.

Si capisce perché Tel Aviv esige la “sparizione” del rapporto.

Mandeblit ha dichiarato che le accuse che Israele abbia violato il diritto internazionale durante l’Operazione Piombo Fuso “sarebbero decisamente insopportabili” per il suo governo e per il popolo israeliano.

 

Per i palestinesi sarà stato certamente più insopportabile soffrire dei fatti accaduti.

 

Quanto filtrato da Wikileaks non sembra casuale. Nel prossimo periodo di sessioni dell’Assemblea Generale dell’ONU, che avrà luogo dal 13 al 30 settembre, si discuterà la petizione presentata dall’Autorità Nazionale Palestinese: il riconoscimento dell’esistenza dello Stato Palestinese, in attuazione della risoluzione 181 di questo organismo, adottata nel 1947.

Se questo succederà, andrà in pezzi la scusa che Tel Aviv utilizza per impedire che la Corte Penale Internazionale indaghi e giudichi i crimini di guerra compiuti a Gaza. E molto di più: sarebbe un grave ostacolo, sanzionato dalla comunità internazionale, nel rendere concreto l’obiettivo di un Grande Israele che comprendesse i territori palestinesi che Israele occupò militarmente nel 1967 e che oltretutto, da anni, sta occupando con l’imposizione illegale degli insediamenti.

Si stima che il numero dei coloni giunga già al mezzo milione.

 

Washington e Tel Aviv hanno insistito con l’Autorità Nazionale Palestinese perché lasci cadere la sua richiesta, perché anche se fosse accolta – hanno puntualizzato – sul campo non cambierebbe nulla.

Cioè il governo israeliano tratterebbe questa decisione con la stessa indifferenza che ha avuto davanti a molte altre richieste dell’Assemblea Generale (dell’ONU).

Anzi, al contrario: il ministro delle Relazioni Estere di Israele, Avigdor Lieberman, ha dichiarato che se i palestinesi avranno accesso allo statuto di Stato, Tel Aviv si sentirà libera di annettersi una quota più grande di territorio della Cisgiordania (//nationalinterest.org, 10-8-11).

 

Israele, comunque, tresca con frenesia con i paesi membri dell’ONU per impedire che la richiesta dell’ANP sia approvata.

Bisogna chiedersi il perché: Tel Aviv ha paura che la richiesta palestinese confermi le frontiere del 1967, cancellate dall’occupazione militare israeliana.

Il primo ministro Benjamin Netanyhau ha detto più volte che preferisce l’esistenza di due Stati per risolvere il conflitto. Dalle sue azioni, sembrerebbe invece che preferisca annettere a Israele la maggior parte possibile della Cisgiordania.

Se l’ONU riconoscesse uno Stato Palestinese a partire da queste frontiere, sarebbe molto difficile per Israele continuare la colonizzazione di terre straniere.

 

(*) Poeta e scrittore argentino.

(traduzione di Daniela Trollio

Centro di Iniziativa Proletaria “G.Tagarelli”

Via Magenta 88, Sesto S.Giovanni)

 

 

 

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