SCONTRI NELLE CITTA' INGLESI.

Regno Unito: la rivolta logica

di John Brown; da: rebelion.org, 15.8.2011

Noi massacreremo le rivolte logiche

Arthur Rimbaud

 

1. L’immaginazione, sosteneva Spinoza, funziona come un insieme di conclusioni separate dalle loro premesse. Squisitamente immaginario, ideologico, è il modo in cui ci hanno presentato sui mezzi di comunicazione le poco sorprendenti rivolte successe negli ultimi giorni in Inghilterra. Se si cercava di seguire gli avvenimenti attraverso le catene televisive, la sciocca domanda che si ascoltava di più era “che cosa si sente adesso a Londra?”. La risposta, logica, era “timore e inquietudine”, ma mai i “giornalisti” si chiedevano che cosa stava succedendo e perché.

Con quella logica implacabile che la geometria condivide con l’immaginazione e il delirio ideologico, si associavano le immagini dei giovani saccheggiatori incappucciati, bianchi e neri, con quelle delle vecchie paure delle classi pericolose, quell’idra dalle molte teste magistralmente descritta nei libro di Peter Linebaugh e Marcus Rediker (1). I poveri erano così il fondo oscuro e necessario di una società che si presenta come libera e prospera. Questo fondo oscuro ha cominciato a muoversi sotto i piedi dei benpensanti e a scuotere il loro equilibrio. Quello che succedeva poteva solo essere attribuito alla mancanza di integrazione delle varie comunità “di colore” e ad altri esotismi, nei quali si riproponeva come spiegazione dei fatti la figura del temibile Calibano (2) shakespeariano, nonostante questo nuovo Calibano, in molti degli individui che lo incarnavano era “di colore ….. bianco” e aveva partecipato alle rivolte studentesche di massa contro il saccheggio dell’educazione pubblica commesso dal governo Cameron.

Per Cameron e le diverse destre , britanniche o straniere, si tratta di “crimine”, di delinquenza che bisogna combattere con i mezzi più rigorosi, riempiendo ancor più quegli autentici dispositivi del nuovo apartheid che sono le carceri.

Ma l’ondata di saccheggi e di scontri con la polizia degli ultimi giorni non sono altro che il rovescio della violenza strutturale che produce a sua volta la povertà e la “pericolosità” dei poveri.

 

2. Il Regno Unito è stato, con il Cile di Pinochet e gli Stati Uniti di Ronald Reagan, uno dei primi paesi a intraprendere la controrivoluzione neoliberista. Lo fecero, come si sa, dando il via a forme più o meno spettacolari di violenza statale contro i lavoratori e i loro diritti. La più eclatante e sanguinaria fu, senza dubbio, quella protagonizzata da Augusto Pinochet Ugarte in Cile, che finì con un saldo di migliaia di persone uccise dall’esercito e dalla polizia e centinaia di migliaia di esiliati. Il miglior simbolo di fraternità tra i diversi processi neoliberisti fu l’”emozionante” incontro tra Margaret Thatcher e Augusto Pinochet nel Surrey davanti ad una tazza di tè, che consacrò definitivamente la loro amicizia in tempi difficili per l’anziano generale. Le altre controrivoluzioni neoliberiste non furono neppure loro morbide: ricordiamoci l’azione paramilitare della polizia britannica durante il conflitto dei minatori o i brutali interventi dei vari Stati del centro e della periferia contro i diritti dei sindacati e dei lavoratori in generale.

Gli episodi iniziali di violenza che hanno fondato l’ordine attuale facevano parte di una strategia coerente di limitazione – quando non di liquidazione – della democrazia in alcuni paesi capitalisti dove le conquiste sociali del movimento operaio – unite alle nuove forze dei paesi del Terzo Mondo – mettevano in pericolo il tasso di profitto del capitale. Questa strategia veniva descritta nel famoso testo della Commissione Trilaterale eloquentemente intitolato “La crisi della democrazia”, dove Samuel Huntington – lo stesso dello “Scontro di Civiltà” – sosteneva che “il funzionamento efficace di un sistema politico democratico richiede una determinata misura di apatia e di non partecipazione da parte di certi individui e gruppi”.

Sappiamo in che modo si ottenne questa “apatia” e questa “non partecipazione” in Cile e nel resto dell’America Latina. Negli Stati Uniti, nel Regno Unito e negli altri paesi del centro capitalista, i mezzi furono u po’ più sottili, ma il risultato finale fu lo stesso.

 

3. Dagli anni ’70, la storia del neoliberismo ha continuato ad essere quella dell’esclusione sistematica delle classi popolari da qualsiasi decisione politica effettiva. E’, correlativamente, la storia della crisi della sinistra”, indebolita dalla sua incapacità di mediazione effettiva a favore degli interessi dei lavoratori nel nuovo quadro sociale ed economico postfordista.

Questa esclusione prese le due forme descritte e preconizzate da Huntington: l’apatia e l’emarginazione. L’apatia colpì soprattutto le “classi medie” che smisero di identificarsi con le conquiste sociali del dopoguerra e – come le spingevano a farlo gli ideologi neoliberisti – misero il centro della “democrazia” nel mercato. Per gli altri gruppi si misero in marcia misure di esclusione. Queste colpirono di preferenza i giovani figli di operai, le cui prospettive professionali si facevano ogni volta più precarie, e gli immigrati, le cui possibilità di “ascesa sociale” attraverso il lavoro nelle società che li avevano accolti vennero liquidate con la soppressione delle varie misure di protezione sociale e di inserimento, e con l’introduzione dell’obbligo al lavoro (workfare).

La combinazione di queste politiche raggiunse l’obiettivo di abbassare in modo effettivo il valore della forza lavoro, aumentando l’offerta di questa merce a prezzi di mercato ogni volta più bassi, e di dividere le classi lavoratrici tra apatici e emarginati.

Gli “apatici” erano rappresentati da una sinistra “socialdemocratica” e “eurocomunista” e da alcuni sindacati che divennero i pilastri del nuovo regime. Gli emarginati divennero oggetto di misure di esclusione e controllo ogni volta più rigorose.

In una società come quella britannica, ma anche in altri paesi europei come la Francia, gli emarginati si identificarono in grande misura con gli immigranti. Queste persone, provenienti dalle vecchie colonie, hanno continuato ad essere oggetto – dal blocco della loro “ascesa sociale” degli anni ’70 – di una autentica politica di emarginazione coloniale all’interno delle stesse metropoli: concentrazione in ghetti o in città dormitorio, controllo poliziesco permanente, continue umiliazioni razzista dello Stato, ecc. La divisione tra lavoratori organizzati, rappresentati, con contratti fissi e i sempre più numerosi lavoratori precari si è realizzata così in una frontiera razziale, la cui gestione si basa nella ricca esperienza di controllo e di repressione degli “indigeni” acquisita oltremare dalle vecchie potenze europee. Africani, indios, abitanti delle Antille e altri gruppi di immigranti delle colonie hanno ottenuto così nella metropoli un trattamento simile a quello che avevano subito i loro padri nei paesi colonizzati. Lo spazio coloniale si era spostato con loro nella metropoli e inglobava ora uno strato crescente di precari “bianchi”. Come affermava alla BBC un popolare e un po’ reazionario storico britannico, “I bianchi sono diventati neri”.

 

4. La “pace” neoliberista riuscì, nonostante tutto, a mantenersi grazie alla sostituzione parziale dello Stato sociale retto dalla spesa pubblica con una forma suppletiva di Stato sociale rappresentata dalla rendita finanziaria e dal credito facile.

Il settore “apatico”, con l’insieme delle “classi medie”, fu all’inizio il beneficiario principale di queste misure anche se - in un certo modo, attraverso i “crediti spazzatura” - queste finirono per estendersi ai settori più insolventi della popolazione. Sperimentiamo oggi il fallimento del sistema finanziario causata da questa sostituzione della spesa pubblica con il credito. Oggi, né gli emarginati né gli apatici possono contare sulla rendita finanziaria, e ancor meno sulla spesa pubblica, per ottenere condizioni di vita decenti: dal punto di vista degli equilibri e dei consensi sociali, il capitalismo è entrato in un vicolo senza uscita.

Tanto in Inghilterra quanto nel resto d’Europa e del mondo, il capitalismo non può più proporre alle classi popolari un sistema di protezione sociale e di benessere; gli può solo imporre con la violenza un lavoro precario in condizioni ogni volta più degradanti.

 

La risposta pacifica del 15M (3) e le risposte violente della Grecia o dei ragazzi di Tottenham di fronte al saccheggio capitalista sono uno stesso processo in congiunture politiche differenti.

Un gruppo di giovani “antisistema” francesi – il collettivo Invisibili – scrisse anni fa un libro intitolato profeticamente “L’insurrezione che arriva”; oggi l’insurrezione è arrivata e vive tra noi.

 

(1) “L’idra della rivoluzione”, scritta dai due storici militanti statunitensi.

(2) Personaggio della commedia La Tempesta di William Shakespeare. Mostro ripugnante schiavo di Prospero, divenne il simbolo della natura selvaggia dell'uomo. In epoche più recenti Calibano è stato usato come metafora del colonialismo da diversi scrittori e intellettuali anti-colonialisti e anti-imperialisti.

(3) Il movimento degli “indignados” spagnoli.

 

(traduzione di Daniela Trollio

Centro di Iniziativa Proletaria “G.Tagarelli”

Via Magenta 88, Sesto S.Giovanni)

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