CRISI U.S.A.

Stati Uniti in decadenza

di Noam Chomsky, da: www.jornada.unam.mx, 8.8.2011

 

E’ un tema comune che gli Stati Uniti, che solo fino ad alcuni anni fa erano visti come un colosso che percorreva il mondo con un potere senza pari e un’attrazione senza eguali (…), siano in decadenza, messi di fronte fatalmente alla prospettiva del loro deterioramento definitivo, segnala Giacomo Chiozza nel numero attuale di Political Science Quarterly.

Il credere a questo tema, in effetti, è molto diffuso. E con una certa ragione, anche se si dovrebbero fare un certo numero di precisazioni. Per cominciare, la decadenza è stata costante a partire dal punto culminante del potere degli Stati Uniti, dopo la Seconda Guerra Mondiale, e il notevole trionfalismo degli anni ’90, dopo la guerra del Golfo, è stato di fondo un auto-inganno.

Altro tema comune, almeno tra coloro che non si tappano gli occhi,è che la decadenza degli Stati Uniti è, in grande misura, auto inflitta. L’opera buffa che abbiamo visto questa estate a Washington, che ha disgustato il paese e lasciato perplesso il mondo, potrebbe non avere paragoni negli annali della democrazia parlamentare.

Lo spettacolo sta anche cominciando a mettere paura ai patrocinatori di questa parodia. Ora il potere delle corporations si preoccupa che gli estremisti che ha aiutato a mettere nel Congresso di fatto facciano crollare l’edificio da cui dipende la loro ricchezza e i loro privilegi, il potente Stato-bambinaia che cura i loro interessi.

La supremazia del potere delle corporations sulla politica e sulla società – in questo momento essenzialmente finanziaria – è arrivata ad un livello tale che le due formazioni politiche, che in questa tappa assomigliano appena a partiti tradizionali, sono molto più a destra della popolazione riguardo ai principali temi del dibattito.

Per la popolazione la principale preoccupazione interna è la disoccupazione. Nelle circostanze attuali, questa crisi può essere superata solo attraverso un significativo stimolo del governo, molto al di là del più recente, che ha solo concordato il degrado nella spesa statale e locale, anche se questa iniziativa così limitata probabilmente ha salvato milioni di posti di lavoro.

 

Ma, per le istituzioni finanziarie, la principale preoccupazione è il deficit. Quindi si discute solo del deficit.

La grande maggioranza della popolazione ritiene che la risoluzione del deficit passi per una tassazione ai più ricchi (il 72 per cento, con un 27 per cento contro) secondo una inchiesta di The Washington Post e ABC News.

Il taglio dei programmi di salute pubblica conta sull’opposizione di una stupefacente maggioranza (il 69 per cento Medicaid, il 78 per cento Medicare). Il risultato probabile, invece, è il contrario.

Il Programma sulle Posizioni di Politica Internazionale (PIPA) ha indagato su come la gente eliminerebbe il deficiti. Steven Kull, direttore del PIPA, afferma: “E’ evidente che tanto il governo quanto la Camera (dei Rappresentanti) diretta dai repubblicani sono fuori sincronia con i valori e le priorità della gente per quello che riguarda il bilancio”.

L’inchiesta illustra la profonda divisione: la differenza più grande sulla spesa è che la gente favorisce profondi tagli alla spesa militare, mentre il governo e la Camera dei Rappresentanti propongono piccoli aumenti. La popolazione favorisce l’aumento della spese per la formazione per il lavoro, l’educazione e la lotta alla contaminazione in misura maggiore rispetto al governo o alla Camera.

L’accordo finale – o, più precisamente, la capitolazione davanti all’estrema destra – è l’opposto in tutti i sensi, e quasi con assoluta certezza provocherà una crescita più lenta e danni a lungo termine, tranne che ai ricchi e alle corporations, che godono di diritti senza precedenti.

Non si è neanche discusso il fatto che si potrebbe eliminare il deficit se, come ha dimostrato l’economista Dean Baker, si sostituisse il poco funzionale sistema sanitario privato degli Stati Uniti con uno simile a quello di altre società industrializzate, che hanno la metà della spesa pro capite e ottengono risultati medici equivalenti o migliori.

Le istituzioni finanziarie e le grandi compagnie farmaceutiche sono troppo potenti perché si provi anche solo ad analizzare queste opzioni, anche se l’idea difficilmente sembra utopistica.

Fuori dall’agenda, per ragioni simili, ci sono altre opzioni economicamente sensate, come quella della tassa sulle piccole transazioni finanziarie.

 

Nel frattempo, Wall Street riceve regolarmente grandi regali. Il comitato per le assegnazioni della Camera dei Rappresentanti ha tagliato il bilancio alla Commissione sui Titoli e la Borsa, il principale ostacolo contro le frodi finanziarie. Ed è poco probabile che sopravviva intatta l’Agenzia di Protezione del Consumatore.

Il Congresso brandisce altre armi nella sua battaglia contro le generazioni future.

Di fronte all’opposizione repubblicana alla protezione ambientale, l’importante società produttrice di elettricità American Electric Power ha archiviato lo sforzo più notevole del paese per captare il biossido di carbonio di un impianto attualmente alimentato a carbone, cosa che ha assestato un duro colpo alle campagne di riduzione delle emissioni che causano il riscaldamento globale, ci informa The New York Times.

Questi colpi auto-inflitti, anche se sono ogni volta più grandi, non sono una novità recente. Datano dagli anni ’70, quando la politica economica nazionale soffrì grandi trasformazioni, che misero fine a quello che comunemente chiamiamo l’età d’oro del capitalismo di Stato.

Due elementi importanti di questo sono stati la finanziarizzazione (lo spostamento delle preferenze degli investimenti dalla produzione industriale alla finanza, alle assicurazioni e ai beni immobili) e l’esternalizzazione della produzione. Il trionfo ideologico delle dottrine del libero mercato, molto selettivo come sempre, le ha assestato altri colpi, visto che si traduceva in deregulation, regole di amministrazione corporative che condizionavano le enormi ricompense ai direttori generali ai profitti a breve termine e altre decisioni politiche simili.

 

La risultante concentrazione della ricchezza ha prodotto un maggiore potere politica, accelerando un circolo vizioso che ha portato una ricchezza straordinaria all’uno per cento della popolazione, essenzialmente direttori generali delle grandi corporations, gestori di fondi di garanzia e simili, mentre la grande maggioranza delle entrate reali praticamente ristagnavano.

Nello stesso tempo il costo delle elezioni è salito alle stelle, facendo sì che i due partiti dovessero frugare più a fondo nelle tasche delle corporations. Quello che restava ancora della democrazia è stato ancor più minato quando entrambi i partiti sono ricorsi alla vendita all’asta di posti direttivi nel Congresso, come ha segnalato l’economista Thomas Ferguson su The Financial Times.

I principali partiti politici adottarono una pratica dei grandi venditori al dettaglio come Wallmart, Best Buy e Target, scrive Ferguson. Caso unico nelle legislature del mondo sviluppato, i partiti statunitensi del Congresso mettono un prezzo sui posti chiave nel processo legislativo. I legislatori che raccolgono più fondi per il partito sono quelli che ottengono quei posti.

Il risultato, secondo Ferguson, è che i dibattiti si basano in massima parte sulla ripetizione interminabile di un pugno di misure, che si sa che sono di interesse per i gruppi di investitori e di gruppi di interesse nazionale, da cui dipende la dirigenza per ottenere i fondi. E che il paese sia condannato…

Prima del crack del 2007, di cui sono state responsabili in grande misura, le istituzioni finanziarie posteriori all’età dell’oro avevano ottenuto un sorprendente potere economico, moltiplicando per più di tre volte la loro partecipazione nei profitti imprenditoriali. Dopo il crack, numerosi economisti cominciarono a indagare in termini puramente economici. Robert Solow, premio Nobel per l’Economia, concluse che il loro effetto potrebbe essere negativo. Il loro successo porta poco o nulla all’efficienza dell’economia reale, mentre i suoi disastri trasferiscono la ricchezza dei contribuenti verso i finanzieri.

 

Nel fare a pezzetti i resti della democrazia politica, le istituzioni finanziarie stanno gettando le basi per far procedere ancor più questo processo letale... finchè le loro vittime saranno disposte a soffrirne in silenzio.

 

(*) Professore emerito di linguistica e filosofia al Massachusetts Institute of Technology MIT) di Cambridge, scrittore e saggista

(traduzione di Daniela Trollio

Centro di Iniziativa Proletaria “G.Tagarelli”

Via Magenta 88, Sesto S.Giovanni)

 

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