INDEBITAMENTO USA

La crisi del tetto dell’indebitamento: una farsa politica bi-partitica

L’economia politica del militarismo USA

di Ismael Hossein-Zadeh; da: globalresearch.ca, 27.7.2011

 

 

Alla luce del fatto che negli attuali negoziati sul bilancio il presidente Obama e i dirigenti repubblicani condividono l’obiettivo comune di tagliare drasticamente le spese sociali non militari, tutte le discussioni tra le due parti sembrano un po’ enigmatiche, e considerando che i tagli previsti alle spese sociali sono quasi identici, perché litigano tanto?

 

Quando democratici e repubblicani avevano posizioni leggermente differenti rispetto alla politica fiscale, era facile capire il dibattito tra i due partiti sui temi del bilancio. I democratici partivano dal centrosinistra, i repubblicani dal centrodestra e, di solito, si incontravano a metà della strada. Era una divisione del lavoro molto sottile, visto che entrambi provvedevano alla copertura politica delle posizioni o degli inganni di ognuno.

I bisticci attuali durante i negoziati sul bilancio, tuttavia, sono un po’ diversi: non sono provocati tanto da uno scontro di posizioni divergenti delle due parti, quanto dalla concorrenza per una posizione uguale o simile di entrambe, la concorrenza per guadagnarsi i cuori e le menti dei pezzi grossi di Wall Street. I repubblicani sono arrabbiati perché pensano che il presidente abbia infranto le regole tradizionali del gioco bipartitico e abbia occupato la posizione normalmente della destra. E il signor Obama è arrabbiato perché i membri del Tea Party all’interno del Partito Repubblicano non giocano secondo le regole convenzionali e non gli danno la copertura tributaria di cui ha bisogno per giustificare i suoi tagli, più profondi di quelli dei repubblicani, alle spese sociali.

 

Da questo punto di vista, il disaccordo tra Barak Obama e John Boehner è essenzialmente simile al disaccordo fra due generali o due comandanti che combattono un nemico comune – in questo caso i cittadini statunitense – ma non sono d’accordo rispetto alle tattiche per sconfiggere questo nemico. In altre parole, condividono un obiettivo strategico (smantellare i programmi della rete di sicurezza sociale) ma hanno tattiche differenti per giungere a questa meta.

Questa è l’essenza del’attuale scambio di critiche tra le due parti.

 

Il tetto del debito nazionale degli Stati Uniti è stato aumentato molte volte dalla metà degli anni Settanta, per facilitare la drastica crescita delle spese militari, i grandi vantaggi fiscali per i ricchi e – cosa più importante – i salvataggi multimilionari dei giocatori d’azzardo di Wall Street.

Dopo aver accumulato in questo modo quasi tanto debito quanto Prodotto Interno Lordo (14,3 bilioni – milioni di milioni – di dollari), i servi bipartitici della plutocrazia affermano ora che il tetto dei debito arriverebbe ai suoi limiti di “crisi” il 2 agosto, e che non può essere elevato oltre questo limite “critico” senza squilibrare i tagli delle spese sociali non militari.

I dirigenti repubblicani hanno inizialmente cercato di approfittare del negoziato sul bilancio, facendo dipendere il tetto del debito da severi tagli alle spese sociali per avvantaggiarsi su Obama davanti a Wall Street. Questi calcoli, tuttavia, hanno subito un capovolgimento quando Obama ha proposto tagli ancora più grandi di quelli che i repubblicani della Camera esigevano. Aveva anche proposto che venissero discussi tagli alla sicurezza sociale, provocando le proteste dei repubblicani della Camera perché le loro proposte venivano “scippate”dalla Casa Bianca.

In una tappa precedente dei negoziati, il leader repubblicano della Camera, il suo presidente John Boehner, aveva insistito che la legislazione per aumentare il tetto del debito contenesse tagli delle spese (dollaro per dollaro) uguali all’aumento del limite. Aveva proposto un aumento di 2,4 bilioni di dollari al tetto, coincidente con tagli alle spese sociali dello stesso importo.

Il presidente Obama rispondeva proponendo un pacchetto molto più pesante, 4 bilioni, che comprendeva la riscossione di alcune tasse vagamente riferite ai più ricchi. L’inclusione della previsione tributaria faceva sì che il pacchetto proposto dal presidente sembrasse più equilibrato e un filo progressista.

Un’analisi più accurata del pacchetto, invece, ha messo in luce due problemi.

Primo: il monte per l’imposizione della tassa imposta ai ricchi veniva calcolato solo su 1 bilione di dollari, cosa che lasciava che i restanti 3 bilioni di dollari fossero ritagliati dalle spese sociali, cifra ovviamente più elevata del taglio di 2,4 bilioni proposto da Boehner.

Secondo: le presunte nuove tasse imposte ai ricchi da 1 bilione di dollari non sarebbero venute da percentuali più alte di tasse sulle maggiori entrate, ma dalla sistemazione o limitazione di alcune lacune della legislazione tributaria per le grandi corporations, che eventualmente queste avrebbero potuto recuperare attraverso percentuali più basse sulle imposte: “Le sue proposte per chiudere alcune poche scappatoie tributarie che avvantaggiano le corporations e i ricchi sono state considerate in gran parte come un inconveniente minore che avrebbe fornito una copertura politica ad una riduzione generale del bilancio …. Oltretutto, ai multimilionari è stato assicurato che qualsiasi piccolo cambiamento della loro ricchezza sarebbe stato più che riguadagnato attraverso proposte di riforma tributaria che ridurrebbero drasticamente le percentuali generali di tassazione alle corporations e alle famiglie ad alto reddito”.

 

In cambio del suo impavido servizio al grande capitale, il signor Obama è stato ampiamente ricompensato con la generosa iniezione di contributi in denaro alla sua campagna per la rielezione, più del doppio di quelli avuti da tutti i candidati repubblicani nel loro insieme.

 

Nonostante il suo successo nell’avvantaggiarsi sui suoi rivali repubblicani nell’ottenere la fiducia e i contributi in denaro di Wall Street, il signor Obama si è mostrato inusualmente agitato durante gli attuali negoziati sul bilancio. Ad esempio, se n’è andato arrabbiato da una riunione con i dirigenti repubblicani il 13 luglio, quando si interruppero le discussioni per l’aumento del tetto dell’indebitamento. Con un attacco verbale al leader della maggioranza della Camera, Eric Cantor (repubblicano della Virginia), il presidente ha detto bruscamente: “Non creda che io stia bluffando”, e ha aggiunto che avrebbe opposto il suo veto a qualsiasi legge che Cantor gli avesse proposto a breve termine. “Il presidente ha messo Eric Cantor sui carboni ardenti, come mai nessuno l’aveva fatto”, ha scritto Joe Klein del New York Times.

 

La domanda è: perché? Perché il presidente, di solito imperturbabile, è stato così stranamente nervoso durante questi negoziati?

Sospetto che il motivo sia che il suo piano di camuffamento dei grandi tagli alle spese sociali – avvolto in un aumento simbolico o falso delle tasse ai ricchi - è stato svelato dai componenti del Tea Party del Partito repubblicano che si oppongono inflessibilmente a qualsiasi cambiamento nell’imposizione di tasse, privandolo così della copertura di cui aveva bisogno per falsificare il suo piano di bilancio: far finta di combattere i “tagliatori repubblicani del bilancio” a favore dei lavoratori mentre invece lavora febbrilmente per servire il welfare delle corporations.

Da questa breve discussione si possono trarre due conclusioni.

 

Primo, è ovvio, come anche altri hanno segnalato, che la “crisi” del tetto del debito viene utilizzata come una scusa dai responsabili politici bipartitici, sia alla Casa Bianca che al Congresso, per spremere dai lavoratori poveri i bilioni di dollari che sono stati dati (e si continuano a dare) ai biscazzieri di Wall Street, ai beneficiari della guerra e del militarismo, e ai super ricchi (nella forma di immensi vantaggi fiscali).

Allo stesso modo, è altrettanto ovvio che la maggior parte della finzione e dei litigi bi-partisans, ingranditi significativamente e privati del loro significato dai media corporativi, hanno lo scopo di spaventare la gente riguardo alla “imminente crisi del debito” per nascondere le loro vere intenzioni di ridurre il suo pane quotidiano e guadagnarsi la riconoscenza del grande capitale, alla ricerca di contributi in denaro per la loro rielezione.

Secondo, i sostenitori sindacali e liberali del presidente Obama hanno una grande lezione da imparare da questi negoziali sul bilancio: che le sue politiche economiche (come quelle estere) non sono diverse da quelle dei suoi colleghi neoliberisti/neoconservatori del Partito Repubblicano; che la sua lealtà e il suo impegno vanno fondamentalmente al sistema di welfare delle corporations e che è ora di smettere di negare questi fatti e di non sprecare i loro voti per Obama nelle prossime elezioni.

 

(*) Saggista e professore emerito di Economia all’Università Drake di Des Moines, Iowa. Il suo libro più famoso è The Political Economy of U.S. Militarism

(traduzione di Daniela Trollio

Centro di Iniziativa Proletaria “G.Tagarelli”

Via Magenta 88, Sesto S.Giovanni)

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