IL CAPITALISMO UCCIDE GLI UOMINI E LA NATURA.

Fukushima o dell’inumanità capitalista

di Pierre Rousset – da: lahaine.org, 2.5.2011

 

In alcune osservazioni scritte dopo il disastro nucleare giapponese, il Dott. Abraham Behar, presidente dell’Associazione dei Medici Francesi per la Prevenzione della Guerra Nucleare (AMFPGN) si domandava: “Chi si preoccupa dei lavoratori della manutenzione di Fukushima? Si alzano voci che ricordino la sorte dei 50 tecnici che fanno quello che possono nella centrale altamente radioattiva: ma chi si preoccupa per i 300 lavoratori incaricati dei lavori sporchi, a fianco dei pompieri e del loro ridicolo getto d’acqua e che sono di fatto i ‘liquidatori’ giapponesi?”.

Le condizioni di lavoro sono spaventose” riconosce Thierry Charles, direttore dell’Istituto di Radioprotezione e Sicurezza Nucleare (IRSN), citato da Catherine Vincent in un articolo pubblicato il 18 marzo. Allora sembrava ancora difficile per i giornalisti verificare fino a che punto era giustificata questa valutazione. La sorte dei “fuochisti” della centrale nucleare – i lavoratori delle imprese di subappalto – continuava ad essere “ben poco conosciuta” segnalava il 23 marzo Philippe Pons, corrispondente di Le Monde che vive da decenni nell’arcipelago. Il sociologo Paul Jobin, specialista di queste questioni, sapeva senza dubbio abbastanza da avvertire: “Senza rinforzi, gli operai di Fukushima sono condannati”.

 

Sono così pericolose le dosi di radioattività ricevute da questi lavoratori della centrale, come afferma Paul Jobin, “potenzialmente mortali” secondo le parole della Criirad (Commissione indipendente di Ricerca e Informazione sulla radioattività), che critica il modo di agire delle autorità giapponesi?.

Anche se molti “esperti” pretendono di no, appoggiandosi su dati ufficiali (chiaramente incompleti) e sui “livelli” di esposizione alle radiazioni autorizzati legalmente – essi dimenticano che questi livelli sono stati definiti tenendo conto delle necessità delle industrie colpite e non criteri medici: la prova ne è che cambiano a seconda delle urgenze e dei paesi, come se gli effetti delle radiazioni variassero a seconda del luogo e del momento.

Così, il 19 marzo, le autorità giapponesi hanno elevato il massimo legale fino a 250 millisieverts (mSv), per poter continuare ad inviare lavoratori sul fronte di Fukushima e ridurre l’evacuazione della popolazione. Paul Jobin segnala che “in un periodo normale, in Giappone il limite legale è entro i 20 mSv in media all’anno per cinque anni, o un massimo di 100 in due anni, che già di per sé è molto elevato, ma si può capire questa decisione ‘d’urgenza’ come un mezzo per legalizzare la loro prossima morte ed evitare di dover pagare indennizzi alle loro famiglie, dato che i rischi di cancro aumentano in proporzione alla dose sopportata. Con dosi di 250 mSv, i rischi di cancro, di mutazioni o di effetti sulla riproduzione sono molto elevati”.

Al di là delle cifre, un po’ astratte, le condizioni imposte ai “fuochisti” della centrale nucleare di Fukushima dovrebbero convincere coloro che ancora pensano che la salute degli esseri umani sia la prima preoccupazione degli industriali e dei governanti. Sono state descritte dal corrispondente di Le Monde Philippe Mesmer della AFP e dal giornale giapponese Asashi. Tutti gli impiegati di TEPCO – l’impresa responsabile della centrale – i vigili del fuoco e i soldati che sono intervenuti nella centrale corrono grandi rischi; ma i lavori più pericolosi (dovendo sguazzare in pozze d’acqua molto radioattive) sono realizzati da operai delle imprese in subappalto: “I sacrificati di Fukushima (….) tendono cavi per ristabilire l’elettricità, rimuovono macerie ammucchiate ovunque, annaffiano i reattori privi dei sistemi di raffreddamento e cercano di riattivare il funzionamenti degli apparati”.

 

La questione è tagliare i costi: nonostante la durezza del compito i “lavoratori del rischio” sono sottoalimentati!. “Mangiamo due volte al giorno. A colazione gallette energetiche; a cena riso istantaneo e alimenti conservati”, spiega Kazuma Yokota, sorvegliante della centrale ad una equipe della televisione giapponese. Niente cibo a mezzogiorno. Nei primi giorni della crisi, ogni partecipante riceveva solo un litro e mezzo di acqua imbottigliata. Dormono (poco) in condizioni precarie nello stesso luogo di Fukushima, in un edificio previsto per resistere in parte alle radiazioni, su una stuoia e con una coperta di piombo, che –dicono – li protegge: “I lavoratori dormono in gruppo nelle sale riunioni, nei corridoi o vicini ai bagni. Tutti dormono direttamente per terra”.

I “gitani del nucleare” come li chiamano in Giappone (si spostano di centrale in centrale, da lavoro a lavoro, in funzione delle necessità – anche in Francia si parla di “nomadi del nucleare”) vivono quindi 24 ore al giorno in un ambiente contaminato. Ora mancano drammaticamente i mezzi di protezione. A volte non hanno altro che un dosimetro ogni due persone – secondo TEPCO, dopo la catastrofe dell’11 marzo sono rimasti solo 320 dosimetri efficienti, sui 5.000 che ufficialmente erano immagazzinati. Portano scarponi di gomma o stivali di plastica. “Dato che le condizioni di lavoro sono sempre più pericolose, non credo che si possano trovare altri lavoratori che accettino di andarci” ha confidato un sub-contrattista al giornale Asashi.

Il movimento antinucleare – non solo i sindacati – deve assumersi la difesa dei lavoratori in pericolo. Come segnala Abraham Behar, “solo i lavoratori corrono un rischio doppio, quello delle gradi dosi legate agli incidenti e quello delle dosi minori come tutta la popolazione esposta e contaminata (….) Perdonate il vecchio riflesso del medico che considera che la vita di ogni paziente è ‘il bene più prezioso’ e si domanda: quale tipo di solidarietà possiamo, dobbiamo, mettere in piedi con gli oscuri lavoratori occasionali giapponesi? Il movimento sindacale ha saputo mobilitarsi per i precari dell’industria nucleare e l’Unione Europea ha preso qualche misura protettiva. E noi cosa facciamo?”.

 

Per quanto non piaccia agli apologeti dell’energia nucleare, la gravità del pericolo che corrono quelli che lavorano a Fukushima non lascia dubbi. Il Ministero della Salute, Lavoro e Benessere Sociale del Giappone lo riconosce a modo suo: “Non è mai bene avere un lavoro che richieda di porre la propria vita in pericolo” ha dichiarato al quotidiano Asashi uno dei suoi alti funzionari, “tuttavia l’importanza di risolvere la situazione della centrale nucleare va al di là del quadro delle politiche sociali. Non sono sicuro che la priorità attuale sia la sicurezza dei lavoratori”.

Quanto più precarizzato è il lavoro, tanto più influisce sui lavoratori il ricatto del lavoro e sulle imprese di subappalto il ricatto del mercato. Paul Jobin segnala che in queste condizioni “questi operai lavorano molte volte senza rispettare le norme di sicurezza. Il padrone di una piccola impresa vicino a Fukushima 1, che aveva lavorato per conto di fabbricanti di reattori nucleari (General Electric Hitachi …) mi mostrò nel 2002 il timbro “senza anomalie” che aveva utilizzato per anni per falsificare il libretto sanitario degli operai a suo carico, finché anche lui ebbe un cancro e fu rifiutato dalla TEPCO”.

 

Il rischio nucleare viene nascosto ovunque, a cominciare dalla Francia. Date le circostanze, i decreti governativi del 30 marzo sulle condizioni perché i lavoratori godano di una pensione anticipata hanno un valore simbolico. Le radiazioni ionizzanti (radioattività) cancerogene, prima menzionate, “sono state tolte con discrezione dalla lista” anche se “figuravano nel progetto di decreto presentato il 23 febbraio”.

Così, il personale delle centrali nucleari, e in particolare i salariati dei subappalti, che sono quelli che soffrono le esposizioni maggiori, sono messi da parte da una disposizione che serve per tutte le esposizioni professionali ai cancerogeni” denuncia Michel Lallier, rappresentante della CGT nel Comitato superiore per la Trasparenza e l’Informazione sulla Sicurezza Nucleare. “E’ un controsenso e una flagrante ingiustizia”.

Quando lo scandalo è scoppiato pubblicamente, i lavoratori che intervengono nella centrale in crisi hanno ottenuto migliori condizioni di protezione e indennizzazione – nell’attesa che i salariati dei subappaltatori beneficino anch’essi delle nuove misure. Ma questo dice molto sulla mancanza di preparazione dell’industria nucleare e del governo davanti ad un incidente importante. La TEPCO ha dovuto confessare che, a proposito dei suoi lavoratori, non aveva previsto un livello di indennizzo corrispondente alla crisi attuale e meno che mai aveva previsto ‘una situazione in cui i lavoratori dovessero intervenire in modo continuato sotto un alto livello di radiazioni”.

 

Questo mostra l’inumanità quotidiana del capitalismo per cui la salute e la vita dei lavoratori – o delle popolazioni vicine, vittime della contaminazione – è solo una variante dipendente, come il salario. In nome dell’interesse degli azionisti, TEPCO aveva rifiutato di adottare misure di sicurezza legalmente dovute e aveva negoziato al ribasso i premi assicurativi. Se gli conviene, domani si dichiarerà in fallimento per lasciare allo Stato il costo delle indennizzazioni.

Ma la Tokyo Electric Power Company (TEPCO) non è un rappresentante marginale nel mondo degli affari. Fondata nel 1951, questa multinazionale giapponese è diventata – niente meno - il più grande produttore privato di elettricità nel mondo.

La politica di TEPCO getta una luce sul rovescio della medaglia, sulla natura reale del capitalismo esistente.

 

(traduzione di Daniela Trollio

Centro di Iniziativa Proletaria “G.Tagarelli”

Via Magenta 88, Sesto S.Giovanni)

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