Lettera aperta a Santa Claus

Lettera aperta a Santa Claus

di Luìs Sepùlveda

(Le Monde Diplomatique – 21.12.2010)

(traduzione di Daniela Trollio)

 

Egregio Santa Claus, Papà Natale, Vecchio Pascuero o come Le va di chiamarsi o farsi chiamare:

 

confesso che mi è sempre stato simpatico perché in genere mi piace la Scandinavia, il suo vestito rosso mi pare premonitorio e perché dietro quella barba ho sempre creduto di riconoscere un filosofo tedesco che ogni giorno ha sempre più ragione in ciò che ha affermato in vari libri, molto citati ma poco letti.

 

Non abbia paura del tenore di questa lettera, non sono il bambino cileno che qualche anno fa Le scrisse: “Vecchio Scemo, l’anno scorso ti ho scritto dicendoti che, nonostante andassi a scuola scalzo e a digiuno, avevo preso i voti migliori e che l’unico regalo che volevo era una bicicletta, naturalmente non nuova, non doveva essere una mountain bike o una per il Tour de France. Volevo una semplice bicicletta, senza cambi, per aiutare mia madre a consegnare la biancheria altrui che lava e stira in casa. Era tutto, uno schifo di bicicletta qualsiasi, ma è arrivato il Natale e ho ricevuto una stupida cornetta di plastica, gioco che ho conservato e che ti invio con questa lettera perché tu te la metta nel culo. Spero che ti attacchi l’AIDS, vecchio figlio di puttana”.

 

Sono stati i suoi elfi i responsabili di un pasticcio così spaventoso? Ebbene, stimato Santa Claus, quest’anno sicuramente riceverà numerose richieste di biciclette, perché l’unico futuro che aspetta i ragazzi del mondo è quello di fattorino, senza contratto di lavoro e condannati a consegnare pacchetti fino a 67 anni.

Io, invece, non Le chiedo una bicicletta, ma uno sforzo pedagogico: metta i suoi elfi e le sue renne a scrivere milioni di lettere spiegando che cosa sono e dove stanno i mercati.

Come Lei sa bene, ci hanno fregato la vita, abbassato i salari, impoverito le pensioni, ci hanno tolto il sussidio di disoccupazione e ci hanno condannato a lavorare per sempre per tranquillizzare i mercati.

I mercati hanno nomi e facce di persone. Sono un gruppo formato da meno dell’1 per cento dell’umanità e sono, allo stesso tempo, i padroni del 99 per cento della ricchezza. I mercati sono i membri dei consigli di amministrazione e gli stessi azionisti, per esempio, di un laboratorio che non vuole rinunciare ai brevetti di una serie di medicinali che, se fossero generici, salverebbero milioni di vite. Non lo fanno perché la vita non è redditizia, ma la morte lo è, e molto.

I mercati sono gli azionisti delle industrie che imbottigliano il succo d’arancia, e che hanno aspettato che l’Unione Europea annunciasse leggi restrittive per i lavoratori non comunitari, che saranno obbligati a lavorare in Spagna o in un altro paese dell’Unione Europea secondo i regolamenti sul lavoro e le condizioni salariali dei loro paesi d’origine. Appena è successo, nelle borse europee i prezzi del prossimo raccolto delle arance sono andati alle stelle. Per i mercati, per tutti e per ognuno di quegli azionisti, la giustizia sociale non è redditizia, ma la schiavitù sì, e molto.

I mercati sono gli azionisti della banca che sequestra la casa a una donna con il figlio invalido. Per tutti e per ognuno di quegli azionisti, dirigenti e direttori di reparto, le ragioni umanitarie non sono redditizie, ma la spogliazione, il passaggio dalla povertà alla miseria sì che lo sono, e molto. E per i truffatori della speranza - che siano di destra o di sinistra, dato che non c’è altra scelta tra i difensori del sistema responsabile della crisi causata dai mercati stessi – spogliare della sua casa quella vecchietta è stato un segnale per tranquillizzare i mercati.

In Inghilterra il criminale rialzo delle tasse universitarie è stato fatto per tranquillizzare i mercati. Lo scontento sociale genererà inevitabili azioni di sopravvivenza, e i mercati chiederanno sangue, morti, per tranquillizzare il loro appetito insaziabile.

 

Che i suoi elfi e le sue renne spieghino dettagliatamente che - in mezzo a questa crisi economica generata dalla voracità speculativa dei mercati e dalla rinuncia dello Stato a controllare il “va e vieni “ del denaro - nessuna banca ha smesso di guadagnare, nessuna società multinazionale ha smesso di guadagnare e anche gli economisti più ortodossi della teoria del mercato concordano nell’affermare che il principale sintomo della crisi è che le banche e le multinazionali guadagnano sì meno, ma in nessun caso hanno smesso di guadagnare.

Che i suoi elfi e le sue renne spieghino fino alla nausea che sono stati i mercati quelli che si sono opposti a qualsiasi controllo statale delle speculazioni, ma che ora essi impongono che lo Stato castighi i cittadini per il calo dei loro guadagni.

E, infine, mi permetta di chiederLe qualcosa d’altro: migliaia, milioni di bandiere di lotta, grandi barricate, grosse pietre, maschere antigas, e che la stella di Betlemme diventi una serie di comete incandescenti con un unico bersaglio, le Borse, che brucino fino alle fondamenta, perché le fiammate di cento begli incendi ci darebbero, anche solo per poco, una indimenticabile Notte di Pace.

 

Molto fraternamente.

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