Vaticano versus Saramago

Il 18 giugno il grande scrittore portoghese José Saramago ci ha lasciato. Il giorno dopo, sul giornale del Vaticano, L’Osservatore Romano, è apparso un forsennato attacco contro di lui, il cui punto fondamentale è centrato sull’aver egli avuto “un intento inventivo che non si cura di celare con la fantasia l’impronta ideologica d’eterno marxista”.
Ora, non c’è bisogno di ricordare la grandezza, la vita, l’impegno verso gli sfruttati di Saramago (che aderì al partito comunista portoghese clandestino negli anni della dittatura di Salazar) ma, anche se non è nelle intenzioni dell’articolista dell’Osservatore Romano, chi non nasconde la sua posizione ideologica, chi non si maschera per esigenze di mercato, chi – in una parola – ha fatto della coerenza e dell’impegno un valore sia nella sua vita che nella sua opera, dovrebbe rappresentare un modello, soprattutto per coloro che si ritengono i depositari dell’etica e della morale.

Torno indietro con la memoria: siamo negli anni ’80, i sandinisti hanno cacciato il sanguinario Somoza ma stanno ancora combattendo la Contra. Nella Plaza 19 de Julio di Managua è stato eretto un grande palco, la piazza è affollata da migliaia di persone venute ad ascoltare Wojtyla, papa Giovanni Paolo II. Ad un lato del palco c’è un gruppo di donne: sono le madri di 12 ragazzi appena ammazzati dai Contras che chiedono al “Pastore” di Roma una preghiera per i loro figli uccisi. Il Papa, rosso di rabbia, si nega.
Eppure, per “carità cristiana”, mentre finiva la 2° guerra mondiale, il Vaticano si preoccupava, insieme alla Croce Rossa, di organizzare la fuga di migliaia di gerarchi nazisti proprio in Sud America, .dopo aver benedetto i criminali franchisti, i fascisti italiani, i nazisti tedeschi, gli ustascia croati appoggiati ed elogiati dal vescovo Stepinach (addirittura beatificato nel 1988 da Papa Wojtyla) e non aver mai speso una parola sull’annientamento di ebrei, zingari, untermenshen (sub-umani) slavi ecc.ecc.

Argentina, anni 1976-1980: il nunzio apostolico inviato da Roma si chiama Pio Laghi. Diventa ben presto intimo e compagno di tennis preferito dall’ammiraglio Emilio Eduardo Massera (tessera P2 numero 478), uno degli alti gradi del triumvirato (con i generali Jorge Rafael Videla e Orlando Ramón Agosti) che ha instaurato la dittatura col golpe del 24 marzo 1976. Omicidio volontario, sequestri seguiti da scomparsa e da morte, torture e stupri su oltre 30 mila cittadini. Questi i delitti di cui verranno poi accusati i generali argentini. A questi delitti avrebbe partecipato, per complicità diretta o indiretta, sicuramente morale, anche mons. Pio Laghi, promosso subito dopo alla nunziatura apostolica degli Stati Uniti, poi elevato al rango cardinalizio da Giovanni Paolo II e quindi nominato prefetto del dicastero vaticano dell'Educazione Cattolica.
Ad essere fermamente convinte di questa complicità sono le Madres de Plaza de Mayo, tanto che nel maggio 1997 hanno presentato una denuncia contro di lui.
Secondo le Madri, nel corso della sua permanenza in Argentina con la carica di Nunzio apostolico, mons. Pio Laghi - così si legge nella denuncia - «collaborò attivamente con i membri sanguinari della dittatura militare e portò avanti personalmente una campagna volta ad occultare tanto verso l'interno quanto verso l'esterno del Paese l'orrore, la morte e la distruzione. Monsignor Pio Laghi lavorò attivamente smentendo le innumerevoli denunce dei familiari delle vittime del terrorismo di Stato e i rapporti di organizzazioni nazionali e internazionali per i diritti umani».
Questa l'accusa principale e queste, secondo le Madri, le gravi responsabilità di mons. Laghi. E scrivono ancora nella loro denuncia che egli è stato anche colpevole «di aver messo a tacere le denunce internazionali sulla sparizione di più di trenta sacerdoti e sulla morte di vescovi cattolici. Pio Laghi provvide, con i membri dell'episcopato argentino, alla nomina di cappellani militari, della polizia e delle carceri che garantissero il silenzio sulle esecuzioni, le torture e gli stupri cui assistevano. Questi cappellani avevano l'obbligo non solo di confortare spiritualmente gli autori dei genocidi e i torturatori, ma anche, tramite la confessione, di collaborare con l'esercito estorcendo informazioni ai detenuti».

Del resto l’America Latina era da tempo un grosso grattacapo per il Vaticano: proprio là nasceva negli anni ’60 la teologia della liberazione che si basava su questo concetto di fondo: “tra cristianesimo e rivoluzione non c’è contraddizione”. La Chiesa di Roma, sempre con grande “carità cristiana”, fece fuori i teologi della liberazione, lasciandoli soli come mons. Romero e il gesuita Ignacio Ellacurìa, che gli squadroni della morte provvidero quindi a “far fuori” fisicamente.

Sono piccoli – terribili – esempi, recuperati dalla memoria del passato. Di oggi non vale la pena di parlare: da un anno è scoppiato in tutto il mondo lo scandalo dei preti pedofili, rigorosamente nascosti e difesi dalle gerarchie del Vaticano, scandalo talmente grosso e diffuso che anche i cosiddetti media non hanno potuto non parlare. 
Con quale diritto, quindi, questa chiesa si presenta come maestra di verità, etica e morale?

Allora cosa fa tanto paura, alle gerarchie ecclesiastiche, di Saramago?
Certamente il fatto che se gli uomini muoiono, le loro idee e le loro parole rimangono. E della parola Saramago era un grande maestro. E poi l’umanesimo “cristiano”, nonostante egli fosse dichiaratamente ateo, espresso nelle sue opere, nella speranza/necessità di un mondo migliore e nel valore della solidarietà come unico mezzo per uscire dal baratro in cui la “civiltà” capitalista ha gettato l’umanità intera.
Concetti espressi in tutte le sue opere, messi in pratica nella sua vita di militante comunista e, attraverso la letteratura, giunti a milioni e milioni di persone. Concetti non solo politici ma, ecco il grande peccato e il grande pericolo, etici e morali. Saramago - populista, ateo, marxista come lo definisce sprezzantemente l’articolista dell’Osservatore Romano – ha osato invadere un campo che il Vaticano ritiene proprio e per questo deve essere fatto a pezzi, soprattutto perché non è più qui a difendersi, a dar voce a chi non ce l’ha.

 

Daniela Trollio
Centro di Iniziativa Proletaria “G.Tagarelli”

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