LIBIA

Libia: un’altra stagione all’inferno

 

di Guadi Calvo (*)

 

Ma, caro Satana …….

 

Arthur Rimbaud

 

 

 

Il capo dello Stato Maggiore Congiunto degli Stati Uniti, il generale Joseph Dunford Jr., ha dichiarato che Washington “stava pensando ad un’azione militare decisiva” contro lo Stato Islamico (ISIS) in Libia dove il gruppo terrorista, secondo fonti occidentali, conta su circa 3.000 uomini, anche se si calcola che la cifra possa essere molto superiore visto che nella sola città di Sirte ce ne sono 1.500.

 

Senza precisare altri dati, Dunford ha stimato che il nuovo intervento nordamericano, insieme a Regno Unito, Francia e Italia, potrebbe cominciare in poche settimane.

 

 

 

La nuova offensiva troverà un paese in piena debacle, piagato da bande sparse che possono tranquillamente dare copertura politica ad alcune organizzazioni come cartelli della droga, trafficanti di persone, armi o – semplicemente – contrabbandieri.

 

In Libia scarseggia tutto, e tutto può essere venduto a prezzo d’oro.

 

 

 

Anche se il generale Dumford non ha specificato le caratteristiche dell’intervento, tutto indica che gli Stati Uniti continueranno con la loro decisione di non intervenire sul terreno con le loro truppe, come già stanno facendo in Siria, che opteranno per bombardare lo Stato Islamico, mentre potrebbero ricorrere a mercenari da loro addestrati o a società private del tipo di Blackwater. Tutto indica che dovranno anche vedersela con la fazione di al-Qaeda per il Maghreb Islamico, che opera sia in Libia che in Tunisia da ben prima della caduta del colonnello Muhammad Gheddafi nell’ottobre 2011, conosciuta come Ansar al-Sharia (seguaci della legge (coranica)) prima di fare il giuramento di lealtà, o bayat, ad a-Qaeda globale.

 

I piani militari degli Stati Uniti riguardo alla Libia dovranno anche aspettare che il Congresso dia l’avallo alla richiesta del presidente Barak Obama. L’approvazione dipende dalla maggioranza repubblicana che, immersa nelle sue elezioni interne, sembrerebbe non aver tempo per “questioni minori”.

 

 

 

Il Pentagono dovrà anche considerare che la Libia ha tre governi, per chiamarli in qualche modo, uno con sede a Tripoli, u altro a Tobruk ed un terzo nominato dalle Nazioni Unite, che ha designato quale Primo Ministro Mohamad Fayez al-Serraj che, come misura precauzionale, ha fissato la sua sede a Tunisi.

 

 

 

I tre “governi” hanno da poco fallito un nuovo tentativo di conseguire un qualche tipo di unità, per cui Washington, se ha interesse ad assegnare un ‘visti’ di legalità alla nuova corsa che sta pianificando, forse dovrà mettersi d’accordo perlomeno con uno dei governi, anche se ha sempre avuto maggior influenza su quello con sede a Tobruk.

 

 

 

Washington sa molto bene che fermare l’espansione dello Stato Islamico in Libia sarebbe la chiave per contenere la forte attività di questi gruppi in tutto il Maghreb e il Sahel.

 

I recenti attentati a Bamako, la capitale del Mali e a Uagadugu, la capitale del Burkina-Faso, dove mai prima di erano registrati attacchi con queste caratteristiche, parla chiaramente dell’espansione del salaafismo nella regione. I due attacchi hanno avuto come protagonista lo stesso gruppo affiliato allo Stto islamico al-Muthalimin (quelli che firmano col sangue) comandato dal veterano della guerra afgana Mokhtar Belmokhtar, che conta anche con una rete terroristica che si estende in Niger, Ciad e Mauritania. Senza dimenticare che, praticamente ad un tiro di sasso da quella regione, opera il letale Boko Aram (l’educazione occidentale è peccato), il rappresentante dello Stato islamico in Nigeria, comandato dall’allucinato Abubakar Shekau, che giurò lealtà nel marzo 2015 ad Abubakar al-Bagdadi, alias il Califfo Ibrahim, leader dello Stato islamico.

 

 

 

Pochi mesi fa era venuto alla luce un documento interno dello Stato islamico dove si invitavano i suoi combattenti a trasferirsi in Libia (un modo elegante di sfuggire all’aviazione russa che opera in Siria) per rafforzare i “fratelli” in Libia. Nel documento si menzionavano anche i vantaggi dell’affermare la propria presenza in Libia, elencando: la vicinanza della Libia alla costa sud dell’Europa, poco più di 100 km.; la lunga striscia che questo paese ha sul Mediterraneo, circa 1.700 km., che conta oltretutto su ampie e non controllate frontiere con Egitto, Sudan, Ciad, Niger, Algeria e Tunisia.

 

Il dittatore del Sudan Omar al-Bashir ha denunciato che combattenti provenienti dala Libia vogliono riattivare il conflitto nella regione del Darfur.

 

 

 

Per lo Stato Islamico, la Libia potrebbe trasformarsi in un’importante fonte di finanziamento, visto che – per l’anarchia imperante dopo la guerra della coalizione occidentale contro Gheddafi –essa si è trasformata nella rotta obbligata di trafficanti di armi, di persone e di droga, il che rappresenterebbe appunto un’importante fonte di finanziamento e la possibilità, non così remota visto che lo ha fatto in Iraq e Siria, di accaparrarsi la produzione del petrolio.

 

 

 

Esiste anche il sud

 

 

 

Senza dubbio per lo Stato islamico esiste anche il sud e per questo sta tessendo le relazioni con Boko Aram, forse l’organizzazione terroristica più folle di tutte quelle che si sono costituite attorno all’idea del takfirismo.

 

Dal sequestro delle più di 200 studentesse nella località di Chibok, nord-est della Nigeria, nell’aprile 2014, l’organizzazione salaafista balzò agli onori della cronaca internazionale, anche se erano anni che faceva attività terroristica ed era responsabile di 3.500 morti nel suo paese.

 

La banda di Abubakar Shekau ha continuato ad essere protagonista di fatti aberranti come il massacro di Bega nel gennaio 2015 quando, a poche ore di differenza dagli attentati di Parigi contro il settimanale Charlie Hebdo, massacrò più di 200 persone in una sola notte.

 

Boko Aram non ha limitato il suo raggio di azione solo al suo paese, la Nigeria, ma è stata protagonista di massacri in Camerun, Benin, Mali,Niger e Ciad.

 

Il suo abituale modus operandi è quello di far saltare per aria nei mercati e nei terminals degli autobus uomini e donne con giubbetti esplosivi, in alcuni casi a controllo remoto, per cui si sospetta che , nel caso delle donne, si possa trattare di alcune delle studentesse sequestrate a Chibok.

 

Dopo alcune settimane di silenzio Boko Aram ha fatto un nuovo colpo: l’ultimo sabato, di notte, nel nord-est della Nigeria a soli 5 km. Da Maiduguri, capitale dello stato del Borno, nella località di Dalori, ha assassinato circa 65 persone, anche se si stima che il conteggio finale supererebbe il centinaio.

 

Uomini di Boko Aram hanno bruciato il villaggio, impedendo che sia gli adulti che i bambini potessero sfuggire alle fiamme.

 

Secondo un sopravvissuto al massacro, durato 4 ore, i terroristi hanno lanciato bombe incendiarie e mitragliato chi cercava di fuggire, ripetendo la stessa metodologia applicata l’anno scorso, in gennaio, a Baga.

 

 

 

E’ evidente che questo nuovo incubo che vivono importanti regioni dell’Africa è conseguenza diretta dell’intromissione di NATO, nazioni Unite e Stati Uniti nella congiuntura libica: bene o male, il colonnello Gheddafi era l’unico leader regionale capace di contenere le espressioni salaafiste nel Magreb e nel Sahel.

 

La sua assenza è ciò che permette di sottomettere il continente a questa nuova stagione all’inferno, solo un’altra prima che arrivi la prossima.

 

(*) Scrittore, giornalista e analista internazionale, è argentino; da: rebelion.org; 2.2.2016

 

 

(traduzione di Daniela Trollio Centro di Iniziativa Proletaria “G.Tagarelli” Via Magenta 88, Sesto S.Giovanni)

 

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