NEPAL

Nepal, anno 2025

di Jesús González Pazos (*)

L’Himalaya continua a contrarsi e ieri la terra ha tremato di nuovo. Ancora una volta vaste aree di quel piccolo paese asiatico che è il Nepal sono state devastate. Le cittadine principali, con Kathmandu in testa, oggi non sono altro che un mucchio di ferro, legno e mattoni; sembra che siano rimaste in piedi ben poche costruzioni. Neppure quelle più vecchie, costruite senza fretta e con perizia, che erano sopravvissute al terremoto di 10 anni fa, questa volta hanno resistito. Alla fine il patrimonio culturale architettonico di questo paese è sparito, il patrimonio umano è colmo di morte e la coscienza mondiale di nuovo scossa.

 

E ancora una volta la comunità internazionale, in prima istanza, esprime già la sua preoccupazione per la situazione dei suoi rispettivi connazionali. Questi , in massa, passeggiavano per le valli, riposavano in pittoreschi villaggi, facevano trekking sulle alture o, direttamente, cercavano di raggiungere una qualsiasi delle impressionanti cime di questo paese.

Montagne e valli che ieri hanno ruggito, che hanno di nuovo espresso la loro protesta e la loro rabbia contro l’essere umano, contro la sua indifferenza davanti alla vita e contro la sua ipocrisia davanti a se stesso quando, in ripetute e uguali occasioni, cade in vani richiami alla solidarietà e alla risoluzione  - una volta per tutte – delle accuse profonde di queste catastrofi. Disastri che non sono tanto naturali come, ripetutamente, ci dicono analisti di ogni tipo, esperti vari e, soprattutto, governi e istituzioni internazionali.

 

Oggi, passato già il primo quarto di questo secolo XXI, continua ad essere tanto evidente come decenni fa che la combinazione di fenomeni naturali straordinari (terremoti, siccità, uragani….) con condizioni socioeconomiche nefaste e ingiuste moltiplica per migliaia i morti e i feriti. Cioè la continua violazione dei diritti sociali, economici, ambientali e anche politici delle persone e dei popoli incidono sull’aggravamento delle conseguenze di queste catastrofi.

Nei cosiddetti paesi arricchiti, quelli che ancor oggi continuano ad essere il primo mondo, queste situazioni non causano che danni fisici e, alla fine, solo pochi morti. E questo non vuol dire che vengano rispettati pienamente questi diritti, ma che le condizioni socioeconomiche sono evidentemente migliori, anche se sempre migliorabili dopo i duri attacchi del neo-liberismo degli anni passati.

 

E nonostante questa evidenza continuamente nascosta, il cumulo di dichiarazioni e di buone intenzioni dichiarate da quella comunità internazionale di governi e di mercati suonano  una volta di più come già sentite  da dieci, venti o cinquant’anni.

Di fatto tutto quello che da ieri ascoltiamo alla radio e alla televisione, o leggiamo sulla stampa che sia digitale o ancora di carta, è una copia esatta di quanto quella comunità disse dopo il precedente terremoto in Nepal, là nel lontano 2015. Vi ricordate?

 

E tutto si affronta come allora, o come era stato fatto pochi anni prima un altro terremoto brutale si era abbattuto su Haiti, nel 2010, producendo un raccolto di più di 200.000 vittime mortali e un paese  totalmente devastato.

Mobilitazione immediata della vera solidarietà – quella dei popoli, quella di donne e uomini attoniti davanti alla tragedia vista sui loro televisori. Mezzi di comunicazione di massa spostati immediatamente in Nepal, al centro della notizia, per portarci queste cronache della fatalità in diretta per i prossimi cinque o sei giorni massimo; intervistando in particolare alpinisti e turisti occidentali e mostrandoci fino alla nausea le loro odissee personali per poter uscirne e tornare sani e salvi dall’altro lato del televisore e alla sicurezza della propria  casa.

 

E, ovviamente, primi giorni di aerei dotati di gradi quantità di aiuti umanitari di prima e immediata necessità.

Tutti accompagnati da dichiarazioni delle autorità competenti, persino dai bordi della pista, con promesse di non dimenticare il paese e le sue genti nei mesi a venire e di fare uno sforzo per destinare nuovi fondi economici per la ricostruzione del paese. E, se ricordiamo il terremoto di aprile 2015, ricorderemo anche il vertice mondiale celebrato nel mese di luglio dello stesso anno a Londra per raccogliere fondi per il Nepal.

E’ vero anche che non si raggiunsero neanche lontanamente le quantità che nelle prime stime si era giudicato necessarie perché la popolazione di quel paese recuperasse almeno le sue precedenti scarse e squallide condizioni di vita.

In detta conferenza internazionale le promesse, come era successo con Haiti e tanti altri paesi impoveriti, cominciarono a svanire. Ormai era passato il momento delle cineprese, dei fuochi e dei microfoni, si erano seppelliti i morti e, fortunatamente, i connazionali erano stati localizzati e quasi tutti erano tornati a casa sani e salvi.

 

Certo, ci sono sati cambiamenti dopo il 2015. Molto del poco denaro raccolto che arrivò in Nepal venne utilizzato principalmente per ricostruire e migliorare le infrastrutture turistiche danneggiate. Si approfittò anche per finire di cancellare dalla carta geografica alcuni quartieri marginali di Kathmandu e di qualche altra città per poter costruire nuovi complessi alberghieri.

Si sono anche cambiate le condizioni di accesso al campo base sull’Everest, e su altre cime, che fino ad oggi contavano con più e migliori comodità. Il settore turistico regnava nuovamente sulla debole economia del paese, per quanto le tasse sulle società del settore, nessuna in assoluto nepalese, fossero infime. E questo, nonostante molti continuino a dirci che gli sherpa vivono molto bene e che il paese andava avanti con le briciole del turismo che l’hanno reso, oltretutto, totalmente dipendente da questa entrata in divisa che l’occidente lascia là.

 

L’infrastruttura economica di abitazione, di possesso della terra, il regime politico e sociale – il sistema, insomma – non cambiò mai e, per questo oggi, una volta di più, milioni di persone impoverite tornano a riempire le interminabili liste dei morti, dei feriti, dei danneggiati in generale. Dieci anni dopo sono tornati a combinarsi un fenomeno naturale straordinario e condizioni sociali ingiuste. E queste masse impoverite hanno nuovamente perso il poco che avevano; ma il sistema sta bene di salute, grazie! Lo salveremo ancora. Una volta di più, nel maggio 2025, la comunità internazionale (governi e società, che governano anch’esse) invieranno di nuovo aiuti umanitari urgenti e faranno grandi dichiarazioni per ripulirsi, almeno superficialmente, la scarsa coscienza di questo sistema, che continuerà a lucrare sull’Himalaya e sulle sue genti.

 

(*) Responsabile dell’organizzazione di solidarietà internazionale basca Mugarik Gabe.

da: rebelion.org; 30.4.2015

 

 

(traduzione di Daniela Trollio

Centro di Iniziativa Proletaria “G.Tagarelli”

Via Magenta 88, Sesto S.Giobanni)

 

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