VENEZUELA

Si, Obama ha ragione. Il Venezuela è una minaccia per l’impero.

di Néstor Busso (*)

Il Venezuela governato da Hugo Chàvez e dai suoi continuatori è un pericolo. Mette continuamente in discussione il capitalismo, l’imperialismo, la concentrazione della ricchezza, le società che speculano con le necessità del popolo. Decisamente il Venezuela minaccia quando chiama all’unità latinoamericana, quando partecipa all’UNASUR, alla CELAC o all’ALBA.

 

E il Venezuela è particolarmente un pericolo per il sistema imperiale perché è parte di un’America Latina unita come mai lo è stata prima.  Un’America Latina con governi non sottomessi all’impero è un pericolo.

Si, sono pericolosi i governi nazionali e popolari che hanno tratto dalla povertà 50 milioni di persone nell’ultimo decennio. Sono pericolosi i governi che non si subordinano al potere economico di potenti gruppi economici e mediatici.

 Sono specialmente pericolosi i governi che riconoscono e restituiscono i diritti  ai loro popoli che prendono coscienza di avere dei diritti e non si rassegnano ad essere semplici consumatori e mano d’opera a basso costo delle multinazionali. Sono molto pericolosi quelli che promuovono il dibattito dei cittadini e rendono visibili i conflitti sociali. Sono pericolosi quelli che pretendono di approfondire la democrazia stimolando l’organizzazione popolare e sono ancor peggio se riescono ad ottenere la partecipazione e la mobilitazione della gioventù. Peggio ancora se riconoscono di avere molti debito con i loro popoli e che bisogna andare avanti riguardo a quello che manca. Sono pericolosi quelli che hanno appoggiato Cuba rifiutando il blocco imposto dalla potenza imperiale.  Vari pericolosi disubbidienti che non obbediscono ai “consigli” del FMI e della Banca Mondiale e affrontano gli “Avvoltoi” della speculazione finanziaria.

 

Chàvez è stato un insolente disubbidiente, a cui il re di Spagna comandò di tacere. Lo stesso Chàvez che, insieme a Néstor Kirchner e a Lula da Silva in quello storico vertice di Mar del Plata del novembre 2005, affrontò il capoccia dell’impero e mandò l’ALCA a quel paese.

 

Come opporsi  a questa gente che vince le elezioni e sfida gli interessi dell’impero promuovendo l’inclusione, la giustizia sociale, la sovranità politica, l’indipendenza economica e l’unità dei popoli dell’America Latina?

 

Certo un pericolo per il progetto imperiale. E’ evidente che non vi è una minaccia militare. I popoli latinoamericani non progettano di invadere o bombardare il Nord America, come i nordamericani hanno fatto in varie occasioni in tutte le regioni del mondo. Ma Obama ha ragione perché si incrina il suo dominio su questa parte del continente e questo è pericoloso per loro. Non solo il Venezuela è una minaccia. L’unità dell’America Latina, che non si rassegna ad essere il cortile di casa di nessuno, questa è  la vera minaccia per gli interessi dell’impero!

 

Il fatto è che  nel 1998 al governo in Venezuela era arrivato Hugo Chàvez, il primo gennaio 2003 arrivò Lula in Brasile e nel maggio di quell’anno Néstor Kirchner in Argentina. La macchia d’olio si andava allargando. Poi la macchia continuò ad allargarsi con Evo Morales, che arrivò al governo della Bolivia nel gennaio 2006 e Rafael Correa  che fece la sua parte in Ecuador un anno dopo. Nel 2008 fu il turno di Fernando Lugo in Paraguay. I casi di Michelle Bachelet in Cile e del Frente Amplio in Uruguay presentano le loro contraddizioni, ma possono aggiungersi a questo vero e proprio cambio epocale. Non sono tutti: restano ancora alcuni neoliberisti sottomessi che voltano le spalle ai loro popoli, ma la macchia si allarga…. 

 

Per la prima volta nella storia sei, sette, otto presidenti  si trovavano uniti nell’idea di integrazione regionale e nel guardare più ai loro stessi popoli che alle metropoli imperialiste. Così i nostri popoli potevano appoggiarsi tra loro per cercare di fare cambiamenti profondi nella Patria Grande. 

E così il Mercosur prese nuova vita, sorse la UNASUR e poi la CELAC (Comunità degli Stati Latinoamericani e dei Caraibi).

 

Oggi, in pieno secolo XXI, il nuovo Impero non è più uno Stato-nazione. L’Impero è il potere finanziario internazionale e il suo potere corporativo, che naturalmente usa gli Stati Uniti come una delle sue gambe, quella bellica. Ma vi sono anche altre gambe, o tentacoli, il potere mediatico egemonico e le multinazionali degli agro-affari, tra gli altri. Allora la vera lotta oggi nel mondo, compreso negli Stati Uniti del Nord d’America, è quella delle corporazioni contro la democrazia. E in questa lotta l’Impero ha bisogno di neutralizzare la politica qual valido strumento per cambiare la realtà.

 

In questo contesto non può permettere che continuino ad andare avanti i processi politici del Sudamerica, ognuno con le sue gradi differenze e le sue grandi sconfitte e contraddizioni. Ma quello che l’Impero non può permettere è che i popoli decidano per se stessi.

 

Per tutto questo, più che per una questione economica e  più che per la voracità per le nostre risorse naturali (che sono comunque reali), quello di cui si tratta è di una necessità politica fondamentale, quasi di vita o di morte.

E’ la vita o la morte per quelle corporazioni e per le nostre democrazie. O vive la democrazia o vive il potere corporativo e imperialista. Non c’è posto per entrambi i poteri.

E in mezzo ci sta la vita di interi popoli, di milioni di persone.

 

Le tattiche variano  a seconda dei rapporti di forza  e secondo le diverse congiunture internazionali.

Prima provano con progetti politici che rappresentano la reazione liberista-conservatrice, per far tornare indietro la storia a quegli anni ’90 dove la perdita progressiva dei diritti non aveva un’alternativa in vista perché la storia era finita. Ma quando quei progetti politici  della destra reazionaria falliscono e si dimostrano inutili, il ruolo di vera e implacabile opposizione viene assunto dal potere mediatico e scoppia la battaglia culturale in tutte le sue forme, compreso il tentativo di neo-golpe, come sta succedendo con diversi risultati in tutta la nostra Patria Grande: Venezuela nel 2002; Haiti nel 2004; Bolivia nel 2008; Honduras nel 2009; Ecuador nel 2010; Paraguay nel 2012.

 

Attualmente lo stiamo vedendo in tre dei nostri paesi: in Argentina sotto la forma del ‘golpe giudiziario’ a partire dal caso AMIA e dalla morte del procuratore Nisman; in Brasile con l’orchestrazione di un piano destituente per cercare di danneggiare o rovesciare il PT (tra le altre cose, perché non vada avanti con una legge antimonopolistica sulla stampa); e in Venezuela con il golpe continuo che ora ha preso la forma della guerra economica, molto simile a quella scatenata contro il governo di Allende nel Cile degli anni ’70 e che si concluse con il golpe di Pinochet e della CIA. Diciamo che  si tratta di neo-golpe perché non vengono fatti con  carri armati e baionette, ma con i mezzi di comunicazione alla testa e con l’appoggio/intervento delle ambasciate USA. 

Ma quando anche questi neo-golpe falliscono, non bisogna scartare un intervento armato diretto degli Stati Uniti, questo braccio armato dell’Impero. In questo contesto sono preoccupanti le dichiarazioni di questa settimana  del presidente degli Stati Uniti, Barak Obama, che ha detto che il Venezuela costituisce “una minaccia straordinaria” per il suo paese.

 

Chi è una  minaccia per chi?

 

Quante basi militari ha il Venezuela vicino agli Stati Uniti? O qualche altro paese latinoamericano? Nessuna.

Quante basi militari hanno gli Stati Uniti in Latinoamerica? Sono più di venti, strategicamente distribuite sul continente. Soprattutto le sette della Colombia, le nove del Perù, due in Paraguay e altre nella Repubblica di Guyana, in Suriname, in Guayana Francese e a Vieques a Portorico. A queste va sommata la IV Flotta, recentemente riattivata, che pattuglia tutte le nostre coste attraverso Atlantico e Pacifico del Sud. E bisogna anche aggiungere la lunghissima storia di interventi armati e invasioni del nostro continente dalla formazione degli Stati Uniti come nazione.

 

Certo la minaccia dell’America Latina non è militare. La minaccia per gli interessi dell’impero è politica e culturale.

 

Lo diceva già Simòn Bolìvar. “Gli Stati Uniti sembrano essere destinati dalla provvidenza a seminare di miseria l’America Latina in nome della libertà”. Questa semina ora  risulta loro difficile nella maggioranza dei nostri paesi e il raccolto non gli viene più tanto facile.

 

C’è un’altra semina nella Patria Grande. Semina di giustizia, di uguaglianza, di emancipazione, di indipendenza …. di “Buon Vivere”.

 

(*)  Presidente del FARCO (Foro Argentino delle  Radio Comunitarie ) e  Vicepresidente dell’Associazione Latinoamericana di Educazione Radiofonica  (ALER).

da: alainet.org; 18.3.2015

 

(traduzione di Daniela Trollio Centro di Iniziativa Proletaria “G.Tagarelli” Via Magenta 88, Sesto S.Giovanni)

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