INTERNAZIONALISMO

La Grecia da sola non può

Vittime dell’austerità del mondo, unitevi

di Ismaiel Hossein-zadeh (*)

Indipendentemente dal risultato dei negoziati tra il recentemente eletto governo greco e i rappresentanti del capitale finanziario europeo, il solo fatto che la mareggiata di rabbia del popolo greco provocata dalle misure di austerità neoliberiste abbia portato al potere un partito di sinistra come Syryza merita di essere celebrato dalle vittime dell’austerità del resto del mondo. Più che altro, la vittoria elettorale di Syryza dimostra chiaramente che quando le persone si mobilitano possono cambiare le cose.

 

Ma è necessario stemperare l’entusiasmo per la vittoria elettorale di Syriza avvertendo di un paio di pericoli. Il primo problema è che se i movimenti anti-austerità di altri paesi non riescono a collocare al governo i loro rappresentati e non riescono a coordinare le loro azioni di protesta con i loro omologhi in Grecia, le promesse elettorali di Syriza si vedranno frustrate dal potere del capitale finanziario. La seconda preoccupazione è che i leaders di Syriza al comando del nuovo governo non sembrano essere fortemente legati ai cambiamenti che hanno promesso ai loro elettori durante la campagna elettorale.

 Di fatto ci sono prove che il governo del primo ministro Alexis Tsipras sta tranquillizzando i creditori sugli importanti impegni che questo governo è disposto ad assumere. Tra questi ci sono (a)l’impegno a restare nell’Eurozona, il che equivale a rinunciare ad una importante carta nei negoziati, e (b) l’impegno a pagare il debito nella sua totalità, cioè un no alla cancellazione del debito stesso.

 

In cambio di questi importanti impegni, l’aiuto che il governo Tsipras chiede è abbastanza modesto: lungi dal ricorrere alla pressione della piazza, che è stata ciò che gli ha dato la vittoria, e chiedere un “taglio del debito”, ciò che sta chiedendo il governo è fondamentalmente un poco di spazio politico per poter manovrare; che gli concedano “prestiti-ponte” con la speranza che questi prestiti gli diano un certo respiro e l’opportunità di raggiungere accordi a lungo termine con i suoi creditori.

 

Una delle ragioni fondamentali per capire l’atteggiamento moderato che ha il nuovo governo rispetto ai suoi creditori è che i leaders di Syryza al governo sono in gran parte riformisti e/o nazionalisti socialdemocratici, non rivoluzionari o socialisti, decisi a scuotere il sistema capitalista. Solo se i loro elettori mantenessero viva e aumentassero la pressione nelle piazze, questi leaders potrebbero ottenere concessioni significative dai rappresentanti del capitale finanziario. Ma, visto che tale scenario rivoluzionario sembra essere al di là della loro prospettiva politico/ideologica, hanno optato per concessioni temporali piccole o di facciata da parte dell’oligarchia finanziaria.

 

Ma anche se è vero che i leaders di Syryza non sono rivoluzionari idealisti, e che il loro impegno di restituire il debito greco nella sua totalità si deve in grande misura alla loro visione del mondo capitalista, continua a sussistere il fatto che, in assenza di una solidarietà internazionale e di appoggio da parte delle vittime dell’austerità di altri paesi, sarebbe estremamente difficile per la Grecia (a per qualsiasi altro paese da solo) strappare concessioni effettive e significative dai giganti finanziari internazionali, anche se quei leaders mantenessero le promesse elettorali.

 

Non si tratta solo della Grecia, nessun altro paese da solo può far fronte alle forze del capitalismo mondiale e cambiare le regole in favore della sua popolazione. Questo spiega il fallimento o la sconfitta degli esprimenti socialisti e/o socialdemocratici in paesi come l’Unione Sovietica, la Cina, il Vietnam, la Svezia, il Cile, il Nicaragua e Cuba. Spiega anche perché tanti regimi nazionalisti, che difendevano la sovranità nazionale e di sinistra sono stati rovesciati dalle forze egemoniche del capitalismo mondiale dopo la 2° Guerra Mondiale.

Tra queste forze del “cambio di regime” non ci sono solo gli interventi militari diretti o i colpi di Stato, ma anche azioni “nascoste” e strategie di “potere morbido” come le rivoluzioni “colorate”, i colpi di Stato “democratici”, le guerre civili fabbricate, le sanzioni economiche e via dicendo.

 

I guardiani dei mercati capitalistico/finanziari mondiali non solo cambino regimi “poco compiacenti” nei paesi meno sviluppati, ma anche nei paesi capitalisti centrali. Lo fanno non tanto attraverso mezzi militari quanto facendo uso di due meccanismi sottili ma efficaci: a) elezioni artificiali, economicamente redditizie, che vengono vendute come espressioni di democrazia; e (b) istituzioni finanziarie e think tanks molto potenti come il Fondo Monetario Internazionale (FMI), le banche centrali e le agenzie di rating come Moody’s, Standard & Poor’s e Fitch Group.

 

Il cattivo rating creditizio da parte di queste agenzie può causare grandi difficoltà nella situazione monetaria, finanziaria ed economica sui mercati mondiali, condannando i governi a sprofondare e ad essere sostituiti. E’ così che durante le turbolenze finanziarie di questi ultimi anni vari governi sono stati sostituiti in Europa. Tra questi si trovano il rovesciamento/rinuncia del primo ministro del Governo greco Yorgos Papandreu nel 2011 e quello del Governo italiano del primo ministro Mario Monti nel 2013.

Così gli imperativi della redditività che l’austerità neo-liberista impone pongono alternative difficili alle loro vittime. Se decidono di opporsi alle misure di austerità imposte dai rappresentanti istituzionali dell’1% finanziario, è quasi sicuro che provocheranno l’ira dei mercati internazionali di capitale, degli organismi internazionali come il FMI e l’OMC e delle stesse banche centrali.

D’altra parte se rispettano i requisiti di austerità, non solo subiranno difficoltà economiche immediate ma anche misure di austerità per garantire la prosperità e lo sviluppo a lungo termine

 

Allora, cosa si deve fare? Che conclusioni si possono trarre da queste esperienze? Esistono alternative all’agenda neo-liberista globale?

 

Da quanto prima si deduce che, perché la lotta anti-austerità in Grecia e in altri paesi risulti più effettiva e sostenibile, deve estendersi dal terreno nazionale a quello internazionale. Nello stesso modo in cui, nella loro lotta contro il 9%, le élites della classe capitalista mondiale non riconoscono i limiti territoriali o nazionali, anche le vittime dell’austerità economica devono coordinare le loro risposte a livello internazionale.

Isolati e confinati nelle frontiere nazionali, i movimenti anti-austerità vedono limitarsi la loro difesa dei salari, del lavoro e del livello di vita dalle continue minacce di sanzioni economiche, fuga di capitali e spostamento della produzione.

 

Un primo passo logico, che servirebbe da elemento dissuasore davanti alla strategia del capitale multinazionale di ricattare i lavoratori e le comunità tramite minacce come quella di distruggere o esportare i posti di lavoro delocalizzando i loro affari in altri luoghi, sarebbe  eliminare i fattori che incentivano  la delocalizzazione, la fuga di capitali e la terziarizzazione. A tal fine sarebbe essenziale equiparare il costo della mano d’opera a livello internazionale.

 

Questo implicherebbe fare i passi necessari verso una fissazione internazionale di salari e prestazioni, cioè verso la parificazione dei costi del lavoro all’interno di una stessa azienda e di uno stesso settore commerciale, tenendo conto a) del costo della vita e b) della produttività in ogni paese. Una strategia di questo tipo sostituirebbe l’attuale concorrenza al ribasso tra lavoratori di vari paesi, per politiche di negoziazione coordinata che garantirebbero il mutuo interesse e la soluzione dei problemi a livello globale. Anche se questo può suonare radiale, non è più radicale di quello che la classe capitalista multinazionale è andata facendo per molto tempo: coordinare le sue politiche di austerità a livello globale.

 

Spesso si sostiene che davanti alla costante e sempre maggiore sostituzione della mano d’opera con le macchine e, quindi, il sempre minor peso/ruolo del lavoro umano nella produzione, il fatto di suggerire alternative di lavoro al capitale è anacronistico.

 

E’ vero che nei paesi capitalisti centrali la percentuale di mano d’opera impiegata in grandi imprese manifatturiere e nelle miniere è diminuito paragonata al numero dei lavoratori nelle cosiddette industrie dei servizi. Ma questo non è altro che la diversificazione della forza lavoro, che segue la diversificazione della tecnologia e dell’attività economica; e la conclusione che questo rappresenti una diminuzione del peso totale o dell’importanza della classe operaia non è giustificata.

 

Il tipo di uniforme di lavoro, il portare la camicia o la tuta, o il fatto che la remunerazione ricevuta si chiami onorario o salario non rende una persona più o meno lavoratore salariato di un’altra.

Di fatto le statistiche su salari e prestazioni della forza lavoro mostrano che, in media, i lavoratori d’ufficio attualmente guadagnano meno e godono di minore sicurezza economica dei lavoratori manuali/industriali tradizionali.

 

Anche la crescita delle industrie dei servizi ha significato l’aumento dei lavoratori che guadagnano solo il salario minimo e non godono di  prestazioni sociali. Oggigiorno il gran numero di lavoratori delle telecomunicazioni, dei trasporti, delle banche, degli ospedali, del settore energetico ecc. potrebbero paralizzare l’economia capitalista in modo tanto efficace quanto i lavoratori manuali del settore manifatturiero.

Di più, i “professionisti” e gli impiegati salariati come i professori, gli ingegneri, i medici e persino i dirigenti intermedi e inferiori si stanno trasformando ogni volta di più in lavoratori con onorario (noi diremmo partite IVA, n.d.t.) e, quindi, stanno passando a dipendere anch’essi dalla legge della domanda e dell’offerta del mercato del lavoro. Questa tendenza sta diventando dominante, il che significa che, in generale, sono sempre più le persone che entrano a far parte delle file della classe operaia nonostante la relativa discesa dell’occupazione nel settore manifatturiero (1).

 

Più numerosa che mai, la classe operaia può influire, determinare e in ultima istanza dirigere l’economia mondiale se assume il compito a) a livello internazionale e b) partecipando a coalizioni e alleanze più ampie con altri settori sociali che lottino anch’essi conto l’austerità neo-liberista.

 

Come è già stato segnalato, molta gente giudicherà questo tipo di proposte come senza senso o poco realiste. Certo questi non sembrano tempi buoni per parlare dell’internazionalismo delle sinistre o di alternative radicali al capitalismo. L’attuale panorama sociopolitico delle nostre società sembra giustificare questi sentimenti di pessimismo. Gli alti livelli di disoccupazione nella maggior parte dei paesi e la conseguente rivalità tra lavoratori, combinati con l’offensiva dell’austerità a livello mondiale hanno messo  la classe operaia sulla difensiva. La deriva dei partiti socialisti, socialdemocratici e laburisti europei verso l’economia di mercato che si applica negli Stati Uniti e l’erosione della loro ideologia, del loro potere e prestigio tradizionali hanno generato sconcerto nei lavoratori europei. Il collasso dell’Unione Sovietica incombe sul fantasma del socialismo. Tutti questi fatti hanno comprensibilmente contribuito alla confusione, alla delusione e al disorientamento dei lavoratori e delle persone di sinistra a livello mondiale.

 

Tuttavia nessuno di questi avvenimenti avversi indica che non si possa uscire dallo statu quo. Il capitalismo non è solo “distruttivo”, è anche “rigenerativo” come disse karl Marx.

Nella misura in cui conquista mercati mondiali, universalizza il regno del capitale e altera le condizioni di vita di molti, semina simultaneamente le sementi della sua stessa trasformazione.

Da un lato crea problemi comuni e preoccupazioni condivise dalla maggior parte della popolazione mondiale; dall’altro crea le condizioni e la tecnologia che facilitano la comunicazione e la cooperazione tra questa maggioranza di cittadini del mondo per progettare azioni congiunte e soluzioni alternative.

 

La globalizzazione della produzione, la tecnologia e l’informazione non solo hanno creato condizioni favorevoli per l’internazionalismo del capitale, ma anche per i lavoratori e le forze di base che stanno sfidando il controllo capitalista delle loro vite e comunità.

Anche se spesso vengono nascoste (e siano censurate dalle grandi corporazioni mediatiche), esistono inconfondibili segnali di speranza che le politiche di arretramento economico del neo-liberismo hanno cominciato a risvegliare i movimenti di base e i lavoratori di tutto il mondo.

 

Storditi all’inizio dalla terapia dello shock e dal vertiginoso attacco del neo-liberismo che ha deteriorato le loro condizioni di vita dopo il collasso finanziario del 2008, attualmente i cittadini europei stanno sviluppando poco a poco potenti campagne per fermare la privatizzazione dei beni e dei servizi pubblici patrocinata dai creditori.

 

“Parallelamente all’imposizione di misure di austerità e privatizzazioni, stanno sorgendo innumerevoli iniziative di base che costituiscono una vera controtendenza a questa nuova ondata di privatizzazioni. Questa controtendenza va molto al di là della resistenza reattiva e pone in chiaro una vera via di avanzamento per i servizi pubblici in Europa. Così possono sorgere e svilupparsi con forza alcuni servizi pubblici rinnovati, con una vera partecipazione democratica (…)  (b) con la parola d’ordine “Per una primavera europea”. L’obiettivo di questa serie di azioni, scioperi e manifestazioni era aiutare a connettere e moltiplicare le resistenze locali in tutto il continente” (2).

Gli autori di questo paragrafo si riferiscono più avanti a come a Parigi, ad esempio, il processo di trasferimento della fornitura dell’acqua da imprese private ai governi municipali fu un grande successo, con un risparmio di 35 milioni di euro durante il primo anno e con il miglioramento del servizio. Tendenze simili di “ri-municipalizzazione” sono apparse in Germania, in Finlandia e nel Regno Unito, nella misura in cui i governi municipali recuperano la gestione di settori come l’energia, i boschi, l’acqua, i trasporti, la spazzatura e il riciclo.

 

In Spagna, a partire dal movimento degli “Indignati” sono sorti vari collettivi che vanno sotto il nome di “maree cittadine” per lottare contro le misure di austerità e privatizzazione dei beni e dei servizi pubblici promosse dalla Troika: il Fondo Monetario Internazionale, la Banca Centrale Europea e la Commissione Europea. Tra queste si trovano la “marea azzurra” contro la privatizzazione dell’acqua, la “verde” in difesa dell’educazione pubblica, la “bianca” della sanità pubblica e la “arancione” dei servizi sociali.

 

In Portogallo la campagna dei cittadini “L’Acqua è di tutti” presentò nel marzo 2014 40.000 firme “contro la privatizzazione della compagnia nazionale dell’acqua”. In Italia, in un referendum anti-privatizzazione svoltosi nel giugno 2011, il 96% dell’elettorato (circa 26 milioni di persone) voto a favore della “deroga delle leggi che favoriscono la privatizzazione della gestione delle imprese pubbliche locali e dell’acqua”. E nel luglio 2012, “a causa di una enorme pressione popolare, la Corte costituzionale italiana stabilì che i tentativi legali per tornare ad introdurre la privatizzazione dei servizi pubblici erano incostituzionali” (3).

 

Ad Atene, Grecia, la campagna “Salviamo l’acqua greca” fu lanciata nel luglio 2012 contro la privatizzazione dell’acqua e per “promuovere il controllo democratico delle risorse idriche”. Anche a Tessalonica l’Iniziativa 136, un movimento di cittadini, “sta lottando contro la privatizzazione dell’impresa pubblica dell’acqua e della potabilizzazione e proponendo la gestione sociale attraverso cooperative locali”. Anche il municipio di Pallini ”ha deciso di non permettere la privatizzazione delle sue riserve di acqua”.

In termini generali, i cittadini e i sindacati greci (sfidando spesso le politiche collaborazioniste di classe della dirigenza burocratica) “hanno opposto una forte resistenza alla privatizzazione dei servizi di energia, telecomunicazioni e infrastrutture di servizi” (ibidem). E l’intensificazione delle proteste anti-austerità è stato un fattore chiave perché Syriza arrivasse al governo dopo i comizi del gennaio 2015.

 

“Per una primavera europea” è un movimento anti-austerità che coordina azioni di protesta internazionali in tutta Europa. Nella sua dichiarazione d’intenti afferma:

“Il movimento pan-europeo continua a crescere e ‘Per una primavera europea’ utilizzerà la sua pagina web per diffondere le nuove mobilitazioni, azioni, scioperi e proteste che stanno cercando di costruire una forza di opposizione di base alle politiche ingiuste e antidemocratiche imposte dalla Commissione Europea, dal Fondo Monetario Internazionale e dalla Banca Centrale Europea, alias la Troika” (http://corporateeurope.org/eu-crisis/2013/02/european-spring ).

 

L’internazionalismo non è un dogma inventato da Marx, ma è il riconoscimento dello sviluppo delle leggi del capitalismo, delle leggi dell’accumulazione di capitale come “valore auto-espansivo” che non tiene conto dei limiti fisici, geografici o nazionali. Può essere interessante il paragone tra le prime tappe dello sviluppo del capitalismo a livello nazionale e la sua successiva espansione a livello internazionale.

Nelle sue tappe iniziali di sviluppo, il capitalismo consolidò e centralizzò tutti i piccoli stati, principati e signorie feudali in stati-nazione al fine di creare un contesto più ampio per lo sviluppo delle forze produttive.

Oggi si sta verificando un consolidamento simile dei mercati a livello internazionale. Così come nelle prime tappe del capitalismo gli stati-nazione facilitarono il consolidamento dei mercati nazionali creando monete nazionali, legislazione mercantile nazionale, leggi impositive nazionali ecc. ecc., nell’attualità svolgo un compito simile attraverso organizzazioni internazionali come il FMI, la Banca Mondiale, l’Unione Europea, l’Organizzazione Mondiale del Commercio (OMC) e la Banca dei Pagamenti Internazionali, che rappresenta il cartello bancario internazionale non ufficiale.

I lavoratori e le organizzazioni di base hanno bisogno di muoversi dalla sfera nazionale a quella internazionale, come allora passarono dal livello locale e/o artigianale del primo capitalismo al livello internazionale attuale. Il fatto che i precedenti tentativi di solidarietà operaia internazionale sono falliti non significa in assoluto la fine della necessità di questa solidarietà.

 

Note

[1] Su questo tema si veda, ad es. , Harry Braverman, Labor and Monopoly Capital, New York: Monthly Review Press 1974; Michael Yates, Why Unions Matter, New York: Monthly Review Press 2009; Michael Zweig, The Working Class Majority, Ithaca, NY: Cornell University Press 2012.

[2] Zacune, J. et al, "Privatizzando l’Europa: La crisi come coperchio per consolidare il neo-liberismo, Documento di Lavoro. Amsterdam: Transnational Institute, marzo 2013.  

[3] Ibid.

 

(*) Professore Emerito di Economia alla Drake University di Des Moines, Iowa, USA, scrittore e saggista.


da: globalresearch.ca; 25.2.2015

 

(traduzione di Daniela Trollio Centro di Iniziativa Proletaria “G.Tagarelli”

Via Magenta 88, Sesto S.Giovanni)

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