RIVOLTA POPOLARE

Burkina Faso

Con la memoria di Sankara

di Rafael Poch (*)

Il potere cambia di mano in Burkina Faso: il presidente Campaoré, arrivato al potere nel 1987 con un golpe progettato in Occidente, si rifugia nel sud del paese.

Una rivolta popolare - con centinaia di migliaia di cittadini nelle strade e che lascia dietro di sé, a seconda delle fonti, dai quattro ai trenta morti - ha messo fine ai 27 anni di presidenza di Blaise Campaoré in Burkina Faso (ex Alto Volta), uno dei paesi più poveri del mondo.

Radio Omega, un’emittente locale di Uagadougu, la capitale del paese, ha informato poco dopo il mezzogiorno delle dimissioni del presidente “al fine di permettere un processo di transizione con libere elezioni in un periodo di massimo novanta giorni”. Anche se la situazione è un po’ confusa perché il generale Honoré Traoré, capo delle forze armate, dice di aver assunto il potere, l’abbandono del presidente Campaoré sembra definitivo. Un convoglio fortemente armato di suoi sostenitori lo ha portato nella città di Po, vicino alla frontiera con il Ghana, nel sud del paese.

La città è sede di un’unità militare che è particolarmente vicina al presidente uscente, come il suddetto generale Traoré.

Proprio per questo, per evitare una continuità camuffata, le manifestazioni popolari che lo scorso giovedì hanno preso d’assalto e incendiato il parlamento e la sede della televisione, sono continuate il venerdì contro il nuovo generale,  acclamando invece un altro militare in pensione, Kuamé Lugué, molto popolare nelle strade.

 

Chiave per la grande rivolta popolare è stato il malessere per il progetto di modificazione costituzionale di Blaise Campaoré. Da mesi l’opposizione contestava la riforma dell’art.37 che limita a due quinquenni il mandato presidenziale. Questo limite impediva a Campaoré, di 63 anni, di tornare a presentarsi nel 2015.

Non si può capire la rabbia se non si tiene conto del fatto che il presidente aveva già riformato in due occasioni, nel 1997 e nel 2000, questo articolo annullando la limitazione, quindi reintroducendola con un massimo di due mandati di 7 anni e finalmente, nel 2005, stabilendo 2 mandati di 5 anni, il che gli aveva permesso di riportare a zero il contatore. Il conteggio scadeva adesso nel 2015 ed egli lo voleva riformare nuovamente per restare al potere monopolizzato per 27 anni. E’ stato troppo.

 

A Parigi, di fronte all’ambasciata del Burkina Faso, sul boulevard Haussman, l’opposizione “burkinese” organizzava una manifestazione di giubilo.

Quanto è successo non era inaspettato, erano anni che le organizzazioni della società civile e i partiti politici rafforzavano la loro azione per cacciare Campaoré”, spiega il dottor Didier Quetraogo, presidente del movimento burkinese per i diritti dell’uomo e coordinatore  della manifestazione parigina, che ha riunito gente che ballava al ritmo dei tamburi in piena strada.

 

Blaise Campaoré arrivò al potere il 15 ottobre 1987, con un colpo di Stato  nel quale fu assassinato a sangue freddo il popolare presidente precedente, Thomas Sankara, e altri dodici suoi seguaci. Fu un tradimento perché Campaoré era allora il braccio destro di Sankara.

La morte e il ricordo di quello straordinario presidente rivoluzionario africano, un uomo che agiva controcorrente rispetto alla sua epoca, ha perseguitato Campaoré lungo tutti i 27 anni e ha anche ispirato l’opposizione.

 

Nato nel 1949, Thomas Sankara fu l’artefice della rivoluzione del paese, che allora si chiamava Alto Volta, dell’anno 1983. Il suo fu un movimento chiaramente controcorrente rispetto all’epoca: avvenne mentre il blocco dell’Est iniziava la sua definitiva caduta, e mentre nel mondo occidentale si affermava l’involuzione neoliberista dei Reagan e delle Thatcher – assunta poco dopo dalla socialdemocrazia in Francia a partire da quello stesso anno da parte di Mitterrand.

Sankara cambiò il nome del paese, un prodotto semantico/geografico della colonizzazione, per adottare quello di Burkina Faso, che significa “paese degli uomini integri” con una formula che mescola parole di due delle lingue del paese. Sankara rinunciò allo stile tradizionale del governante africano in sintonia con il neocolonialismo. Uno dei suoi primi gesti fu vendere la flotta di Mercedes dei funzionari di governo. Egli si spostava con una vecchia Renault 5. Potenziò la produzione locale e l’autosufficienza, combattè la corruzione e sostenne l’emancipazione femminile e il lavoro degli agricoltori.

 

L’equipe che attorniava Sankara era composta da  persone volenterose e molo impegnate, ma con un livello di cultura universale molto basso e un orizzonte molto piccolo” spiega il giornalista Pedro Canales, uno degli spagnoli che visse quegli anni in Burkina Faso, organizzando la stampa locale, il quotidiano Sidwaya e la rivista Carrefour Africain. “Sankara era diverso; un idealista appassionato con un senso della vita molto profondo, che cantava e ballava nelle feste popolari a cui partecipava con sua moglie Miriam e i due figli, Philippe e Auguste” dice Canales.

“Nonostante le sue debolezze, Sankara diede una chiara speranza alla popolazione, la sua era un politica di rottura con il controllo delle grandi potenze sul nostro paese” dice il dottor Didier Quedraogo. “Quella tendenza va rilanciata ed è pienamente attuale per tutta l’Africa e per il Burkina Faso. Sankara non potè realizzare la sovranità, ma con Blaise (Campaoré) siamo tornati chiaramente indietro” aggiunge.

 

Grazie da una relativa libertà di espressione e pluralismo politico, Campaoré si è reso presentabile a Parigi ed ha mantenuto protettori stabili nel Partito Socialista francese, come quelli che gli si attribuivano nei riguardi della ministra dell’Ecologia e Energia, Ségolène Royal.

Il presidente uscente è stato una disciplinata pedina della cosiddetta Franciafrica, il sempre torbido ordine neocoloniale di complicità, corruzione e dipendenza politica ed economica tra Parigi e i suoi ex domini africani.

Da anni questo ordine si sente minacciato dalla concorrenza e dalla crescente presenza in Africa di paesi come la Cina e l’India, spiega il politologo di origine egizio-senegalese Aziz Salmone Fall, professore dell’Università del Québec a Montreal (UQAM).

 

Cominciando da Libia, Sudan, Algeria e Niger, gli Stati Uniti stanno dall’anno scorso dispiegando truppe in 35 paesi dell’Africa; perché questo nuovo interesse imperiale per l’Africa rappresentato dalla divisione africana del Pentagono, l’Africom, creato nel 2008 e con il centro di comando a Stoccarda, in Germania?-chiediamo a questo specialista.

I paesi africani sono tentati da nuovi partners commerciali, e in questo contesto il continente comincia a diventare scenario di quella strategia di lotta contro il terrorismo, si veda la de-strutturazione della Libia, mediante la quale i nostri eserciti vengono poco a poco controllati dagli stati maggiori occidentali”.

I gruppi islamisti appoggiati dai paesi del Golfo sono stati utilizzati per giustificare la presenza della NATO sul suolo africano, perché i paesi della regione possono ora trovare aiuti di paesi fuori dell’OCSE, paesi grandi che prestano senza condizioni, senza l’obbligo di abbracciare il ‘consenso di Washington’, della Banca Mondiale, del FMI, ecc. Anche perché i paesi (africani) erano sul punto di avanzare verso una maggiore unità, verso un consolidamento della loro integrazione economica e politica, grazie a paesi come Libia, Algeria e Sudafrica, e questo va contro i loro interessi”, dice Salmone Fall.

 

Questo professore di nazionalità canadese anima da anni il “Comitato Giustizia per Thomas Sankara”  e rivendica il suo panafricanismo. Dal 1997 il comitato ha fatto pressioni internazionali perché si investighi sia sulle circostanze del golpe contro Sankara che portò Campaoré al potere nel 1987, sia sul luogo della sua sepoltura nel cimitero di Dagnoen.

Nel 2006 il Comitato per i Diritti Umani dell’ONU accettò la petizione. Durante il processo internazionale per i massacri della Sierra Leone, gli sbirri di Charles Taylor – il presidente della Liberia condannato a 50 anni per crimini contro l’umanità – dichiararono che il golpe contro Sankara fu progettato dalla Francia e dalla CIA.

 

Sankara “aveva un’idea molto chiara delle limitazioni della sua rivoluzione, sapeva che non poteva trionfare isolata ed era un convinto internazionalista “ spiega il giornalista Pedro Canales. “La sua tattica era sviluppare la cultura, ogni tipo di conoscenza, per evitare che la rivoluzione finisse come tante altre. Finchè si limitò al Burkina i francesi lo lasciarono fare, ma quando decise di appoggiare gruppi simili al suo in Costa d’Avorio, Togo, Benin e Sierra Leone le cose cominciarono a complicarsi. Parigi diede il via all’operazione. Non si voleva uccidere apertamente  un presidente dotato di tanto prestigio e l’assassinio venne organizzato in modo che lo commettessero gli stessi burkinesi. Seminarono zizzania all’interno del gruppo dirigente e venne provocato il colpo di stato”, ricorda il giornalista.

L’Assemblea nazionale francese fino ad ora ha ignorato la richiesta di investigazioni del Comitato Giustizia per Thomas Sankara, presentata a Parigi in due occasioni, il 20 giugno 2011 e il 5 ottobre 2012. Sia il presidente François Hollande che la sua ministra della Giustizia, Christiane Taubira, hanno ignorato le lettere inviategli, segnalano fonti del Comitato.

 

Thomas Sankara comprese molto presto che per uscire dal ‘buco nero’ bisognava contare sulle proprie risorse e su un’autonomia collettiva panafricana” spiega il professor Salmone Fall. “Diede potere ai contadini, alle donne, a quelli che fanno funzionare davvero l’economia e volle indirizzare l’élite verso una logica patriottica, cioè estranea all’arricchimento illimitato e alla corruzione dei fondi pubblici. Comprese la necessità di creare nuove relazioni con le potenze occidentali, con interscambi egualitari e protezione dei nostri mercati interni. In fondo non fece altro che mettere in pratica le idee di Patrice Lumumba, Mejdi Ben Barka, Gamal Abdel Nasser e Amilcar Cabral, tutti assassinati o combattuti. Per questo fu ucciso” conclude questo esperto.

 

La Francia ha oggi a Uagadugu la principale base delle forze speciali di intervento contro il terrorismo e ha integrato il paese nella zona di intervento dell’operazione “Barkhane”, ricorsa l’associazione “Survie” in un recente comunicato sulla crisi in Burkina Faso.

 

(*) Studioso di storia contemporanea, corrispondente di Die Tageszeitung e del quotidiano La Vanguardia di Barcellona.

da: lavanguardia.com; 31.10.2014

 

(traduzione di Daniela Trollio Centro di Iniziativa Proletaria “G.Tagarelli” Via Magenta 88, Sesto S.Giovanni)


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