CHE GUEVARA

 

Anniversari 

 

Il 9 ottobre 1967, “in terra boliviana” veniva ucciso dagli agenti della CIA Ernesto Che Guevara, il “guerrigliero indimenticabile”, l’umanista, il teorico della rivoluzione, l’uomo disposto a lottare e a sacrificarsi in terra straniera perché tutti si liberassero: in una parola, il comunista.

 

Ci sono tanti modi per ricordare e “celebrare” gli anniversari, ma ricordo e celebrazione pietrificati servono solo a svilire le persone e i fatti, a togliere la carica rivoluzionaria alle loro vite e ai loro atti. Perché essi si sono sacrificati sì per il presente, ma anche e soprattutto  per il futuro.

 

Così il Che lo ricordiamo con un suo scritto, pieno di insegnamenti – al di là delle circostanze determinate – per chi ancor oggi vuole raccogliere la sua bandiera di lotta e di vita contro la barbarie del mondo attuale.  

 

Quello che abbiamo imparato e quello che abbiamo insegnato

 

Ernesto Che Guevara -  (1° gennaio 1959) 

 

Nel mese di dicembre, mese del secondo anniversario dello sbarco del Granma, è bene dare uno sguardo retrospettivo agli anni di lotta armata e alla lunga lotta rivoluzionaria il cui fermento iniziale lo dà il 10 marzo, con la sommossa batistiana e il primo scampanio il 26 luglio del 1053, con la tragica battaglia del Moncada.

 

Il cammino è stato lungo e pieno di scarsità e contraddizioni. Il fatto è che nel corso di ogni processo rivoluzionario, quando questo sia diretto onestamente e non frenato dai posti di responsabilità, vi sono una serie di interazioni reciproche tra i dirigenti e le masse rivoluzionarie.

 

Anche il Movimento 26 Luglio ha sofferto di questa legge storica. Dal gruppo di giovani entusiasti che assaltarono la caserma Moncada il mattino del 26 luglio 1953 a coloro che attualmente dirigono il movimento, pur essendo molti di loro gli stessi, c’è un abisso.

 

I cinque anni di lotta frontale, due dei quali di guerra aperta, hanno modellato lo spirito rivoluzionario di noi tutti negli scontri quotidiani con la realtà e la saggezza istintiva del popolo.

 

In effetti il nostro contatto con le masse contadine ci ha insegnato la grande ingiustizia che contiene in sé l’attuale regime di proprietà agraria, ci ha convinto della giustezza di un cambiamento fondamentale di questo regime di proprietà; esse ci hanno mostrato nella pratica quotidiana la capacità di abnegazione dei contadini cubani, la loro nobiltà e la loro lealtà senza limiti. 

 

Ma anche noi abbiamo insegnato, abbiamo insegnato a perdere la paura della repressione nemica, abbiamo insegnato la superiorità delle armi popolari sul battaglione mercenario, abbiamo insegnato – alla fine – la mai sufficientemente ripetuta massima popolare: “l’unione fa la forza”.

 

E i contadini, presa coscienza della loro forza, hanno imposto al Movimento, la loro avanguardia combattiva, il progetto di rivendicazioni che si sono andate facendo più coscientemente audaci fino a plasmarsi nella Legge n. 3 di Riforma Agraria della Sierra Maestra recentemente promulgata.

 

Questa Legge è oggi il nostro orgoglio, la nostra bandiera di lotta, la nostra ragione di essere come organizzazione rivoluzionaria. 

 

Ma non sono sempre state così le nostre esposizioni sociali; accerchiati nel nostro ridotto della Sierra, senza connessioni vitali con la massa del popolo, a volte credemmo di poter imporre la ragione delle nostre armi con più forza di convinzione che la ragione delle nostre idee. Per questo abbiamo avuto il nostro 9 Aprile, data di triste memoria ( il Che si riferisce al fallito sciopero generale insurrezionale di Santiago de Cuba, in cui morirono una ventina di quadri rivoluzionari, n.d.t.) che rappresenta nel sociale quello che Alegrìa del Pìo, la nostra unica sconfitta in campo militare, significò nello sviluppo della lotta armata.

 

Da Alegrìa del Pìo abbiamo tratto l’insegnamento rivoluzionario necessario per non perdere più una sola battaglia; dal 9 Aprile abbiamo anche imparato che la strategia della lotta di massa risponde a leggi definite che non si possono ignorare o piegare. La lezione è stata imparata chiaramente.

 

 Al lavoro delle masse contadine, quelle che abbiamo unito senza distinzione di bandiere nella lotta per il possesso della terra, aggiungiamo oggi l’esposizione di rivendicazioni operaie che uniscono la massa proletaria sotto un’unica bandiera di lotta, il Fronte Operaio Nazionale Unificato (F.O.N.U.), con una sola meta tattica vicina: lo sciopero generale rivoluzionario. 

 

Questo non significa l’uso di tattiche demagogiche come espressione di abilità politica; non studiamo il sentimento delle masse come semplice curiosità scientifica, rispondiamo alla loro chiamata perché noi, avanguardia combattiva degli operai e dei contadini che spargono il loro sangue nelle sierre e nelle pianure di Cuba, non siamo elementi isolati delle masse popolari, siamo parte stessa del popolo.

 

La nostra funzione dirigente non ci isola, ci obbliga.

 

Ma la nostra condizione di Movimento di tutte le classi di Cuba ci fa lottare anche per i professionisti e i piccoli commercianti, che aspirano a vivere nel quadro di leggi decorose; per l’industriale cubano, il cui sforzo ingrandisce la nazione creando fonti di lavoro, per ogni uomo per bene  che vuole vedere Cuba senza il suo lutto quotidiano di queste giornate di dolore.

 

Oggi più che mai il Movimento 26 Luglio, legato ai più alti interessi della nazione cubana, senza arroganza ma senza esitazioni, fa la sua battaglia per gli operai e i contadini, per i professionisti e per i piccoli commercianti, per gli industriali nazionali, per la democrazia e la libertà, per il diritto ad essere figli liberi di un popolo libero perché il pane di ogni giorno sia la misura esatta del nostro sforzo quotidiano. 

 

In questo secondo anniversario, cambiamo la formulazione del nostro giuramento. Non saremo più “liberi o martiri”: saremo liberi, liberi per l’azione di tutto il popolo di Cuba che sta spezzando una catena dopo l’altra, con il sangue e la sofferenza dei suoi migliori figli.

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