GAZA: CONTINUANO I BOMBARDAMENTI

 

Gaza e la vergogna eterna

 

di Ricardo Alarcòn de Quesada (*); da: cubadebate.cu; 28.7.2014 

 

Il Medio Oriente occupava i titoli di prima pagina  a causa della bancarotta della strategia nordamericana che oggi vacilla, soprattutto in Iraq e Siria, quando – fino ad un certo punto sorprendentemente – l’attenzione si è centrata su Gaza. 

 

Gaza non è un paese. Il suo profilo quasi non si distingue sulle carte geografiche. Una striscia stretta, appena 10 chilometri di larghezza e meno di 60 di longitudine. Separata dal resto della Palestina araba, accerchiata dalle truppe israeliane che occupano tutte le terre vicine e anche le acque del Mediterraneo che bagnano il suo fianco sinistro. 

 

Non si può entrare e neanche uscire. Il lettore ricorderà sicuramente l’assalto piratesco della marina israeliana ad una nave che voleva portare aiuti umanitari, alcuni mesi fa. Sono già più di 8 anni che la Striscia è sottomessa ad un rigoroso blocco militare.

 

Secondo alcuni specialisti dell’ONU, il territorio sarà inabitabile nel 2020. Ma oggi ha una densità di popolazione tra le più elevate del pianeta, un milione e mezzo di abitanti, la metà minori di 18 anni, il 70% sotto il livello di povertà e con il 50% di disoccupazione.

 

Il 90% sopravvive in campi di rifugiati.

 

In realtà Gaza è un enorme ghetto, il più grande e quello che dura da più tempo. E ora, nuovamente, soffre bombardamenti indiscriminati e la massiccia invasione delle truppe israeliane.

 

Un’altra guerra ingiustificabile e atroce.

 

 Scandalizzano gli ospedali, le scuole e le case distrutte, causano indignazione le immagini dei bambini assassinati il 16 luglio mentre giocavano sulla spiaggia. I corrispondenti stranieri che li hanno visti morire assicurano che né loro né i loro palloni da calcio minacciavano alcuno. A quanto sembra, ingenuamente, si immaginavano di essere ai Mondiali di calcio. 

 

Davanti all’orrore cresce la protesta in tutto il mondo, mentre si parla di contatti diplomatici urgenti per fermare il massacro.

 

Fidel Castro ha espresso la sua “solidarietà con il popolo che difende l’ultimo ridotto di quella che è stata la sua patria per migliaia di anni”. 

 

Perché di questo si tratta. Al popolo palestinese fu strappata la sua patria, quando le Nazioni Unite decisero la spartizione del suo territorio e la fondazione dello Stato di Israele. Da allora quest’ultimo non ha smesso il suo espansionismo a scapito del suo vicino. Dal 1947 le guerre si sono succedute, senza pause, e con esse il numero di rifugiati e di sfollati. 

 

In questa lunga storia Israele, l’unica potenza nucleare della regione, ha contato sull’appoggio illimitato degli Stati Uniti e dei suoi alleati. Lo stesso giorno 16, il Senato nordamericano ha approvato l’assegnazione di 622 milioni di dollari per le forze militari di Israele, che quest’anno riceveranno 3.600 milioni.

 

Quando a Gara i bambini che sognavano di essere giocatori di calcio piangevano, il Presidente Obama è stato categorico: “Riaffermo il mio completo appoggio al diritto di Israele a difendersi”. Nel caso qualcuno non avesse capito, ha ripetuto: “Israele ha il diritto di difendersi”.

 

Tel Aviv non è mai stata castigata neppure dall’ONU, mai le sono state applicate sanzioni come quelle che tanto facilmente sono state imposte ad altri per violazioni meno gravi. 

 

L’atteggiamento della Comunità Internazionale è stato, semplicemente, vergognoso.

 

Davanti al problema che aveva creato e che l’accompagna dalla sua fondazione, l’ONU si è limitata a mantenere un’entità speciale, nata nel 1949 e sostenuta con contributi volontari, destinata presumibilmente ad alleviare la tragedia dei “rifugiati palestinesi nel Medio Oriente” (UNRWA) per assistere “i palestinesi il cui luogo di residenza abituale era il Mandato Britannico di Palestina tra il giugno 1945 e il maggio 1948 e che hanno perso le loro case e i loro mezzi di sussistenza con la guerra arabo-israeliana del 1948”. 

 

Pochi ricordano ora che in un altro paragrafo del testo qui citato, l’Assemblea Generale riconobbe il diritto dei rifugiati a tornare alle loro case, e che da allora lo ha riaffermato ogni anno. Questo continua ad essere, tuttavia, un sogno per i nipoti di coloro che furono brutalmente espulsi settant’anni fa. Originariamente si trattava di 652 mila persone. Vari volte si è dovuto aumentare la cifra perché con le reiterate offensive di Israele il numero delle sue vittime è costantemente cresciuto. L’UNRWA si occupa oggi di 5 milioni di esseri umani. 

 

Nel frattempo l’Assemblea Generale e il Consiglio di Sicurezza hanno dedicato interminabili sessioni, anno dopo anno, a discutere gli aspetti politici della questione, in un esercizio di inutilità senza limiti. Le innumerevoli risoluzioni approvate dall’Assemblea, appoggiate da ampie maggioranze, sono state sistematicamente ignorate da Israele. Quelle presentate al Consiglio si sono dissolte nel nulla per il veto nordamericano. 

 

Washington, da parte sua, ha preteso di agire come mediatore promuovendo negoziati tra le due parti, senza alcun risultato.  Sono stati più che altro gesti associati alle sue dispute elettorali domestiche, in cui ogni candidato cerca di apparire più filo-israeliano degli altri. 

 

Questi negoziati erano già condannati da prima al fallimento, perché non sono stati altro che manovre incoraggiate, esattamente, dal vero colpevole, il principale sostegno dell’aggressore.

 

La causa di fondo – ha dichiarato l’eminente intellettuale Noam Chomsky – è l’occupazione criminale dei territori palestinesi e di tutte le misure che vengono adottate a Gaza perché la sua popolazione possa solo sopravvivere, mentre i palestinesi di Cisgiordania sono obbligati a rimanere in angoli inaccessibili, il che posiziona Israele in violazione flagrante del diritto internazionale e delle risoluzioni esplicite del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, per non parlare della minima decenza umana. E così continuerà finchè Israele è appoggiata da Washington e tollerata dall’Europa, a nostra eterna vergogna”. 

 

La retorica occidentale ha giustificato la creazione dello Stato di Israele e ha spalleggiato le sue politiche aggressive alludendo frequentemente alla triste, amara esperienza del popolo ebreo, alle persecuzioni e ai pregiudizi di cui è stato vittima nel corso della storia e che sono arrivate alla loro più abominevole espressione con l’Olocausto, lo sterminio di milioni di ebrei nel campi di concentramento hitleriani. 

 

Ma non sono stati i palestinesi, né gli arabi, i loro carnefici.

 

I pogroms non avvennero in Medio Oriente, ma nella Russia zarista, e l’antisemitismo è sempre stato un fenomeno europeo esportato in Nord America – dove ha trovato nel Ku Klux Klan un noto esponente – e non ha mai cessato di essere presente nei circoli più duri della reazione statunitense. 

 

Proprio ora, davanti al silenzio complice, e anche all’inaudito applauso, di Stati Uniti ed Unione Europea, sono tornati al potere in Ucraina fazioni estremiste che rivendicano come eroe nazionale Stepan Bandera, criminale di guerra, antisemita e filo-nazista. Il rabbino chassidico d’Ucraina Moshe Revven Aman ha proposto ai suoi fedeli di lasciare Kiev  a causa dell’attacco contro un altro rabbino, Hillel Cohen, che è stato colpito, pugnalato e  insultato mentre faceva visita ad un amico nell’ospedale della città. “Non voglio tentare la sorte, ma esistono costantemente minacce di attacchi alle istituzioni ebree” si è lamentato il primo.

 

Mentre in quel paese si moltiplicano le manifestazioni xenofobe e i leaders del nuovo regime ucraino chiamano alla lotta contro la “mafia moscovita-ebrea”, Washington e l’Unione Europea aggiungono altre sanzioni …. contro la Russia. 

 

L’attuale aggressione militare contro Gaza non ha nulla di nuovo e non ce l’ha neppure la orribile mattanza di civili, compresi bambini, donne e anziani. I suoi abitanti hanno dovuto sopportarlo da sempre e con maggior frequenza in quanto è già passato del secolo XXI.

 

Secondo Chomsky “quando Israele sta tranquilla più di due bambini vengono assassinati ogni settimana, un cliché di comportamento che risale a 14 anni”. 

 

La propaganda occidentale cerca di demonizzare il movimento di resistenza islamica Hamas, e di attribuirle la responsabilità degli incidenti più recenti.

 

Ma non dovrebbe essere difficile capire la verità.

 

I sentimenti di ribellione, la volontà di lotta dei palestinesi sono naturali e inevitabili, non li ha inventati nessuno. Vengono da molti anni di occupazione militare, con il suo terribile carico di vessazioni, discriminazioni e umiliazioni. Li stimolano la frustrazione e la rabbia davanti alla sordità delle loro richieste di giustizia e alla dolosa insensibilità degli organismi internazionali. 

 

Nelle elezioni generali del 2006, effettuate tra i palestinesi residenti a Gaza e in Cisgiordania, Hamas ha ottenuto una vittoria schiacciante, con una maggioranza tanto ampia che le avrebbe permesso di andare al governo da sola.

 

Ma G.W Bush, l’allora inquilino della Casa Bianca, e Condoleeza Rice, capo della sua “diplomazia” persero la voce ripetendo con insolenza che non accettavano i risultati di quella elezione. I loro soci europei, come al solito, fecero eco a questo discorso di ingerenza. Si intensificarono sanzioni, pressioni e minacce contro al Palestina. Si moltiplicarono gli intrighi e le congiure per aizzare le differenze tra Hamas e Al Fatah, le principali forze politiche palestinesi, che condussero   a tristi e dolorosi scontri fratricidi. E, naturalmente, Israele tornò a bombardare e ad invadere il territorio della Strisci di Gaza.

 

Lo ha fatto numerose volte dopo le elezioni palestinesi. Nel 2008-2009 l’attacco durò tre settimane. Il Ministro dell’Interno di Israele, Eli Yishai, il 19 novembre 2012 fece alcune dichiarazione che probabilmente, per la loro franchezza, provocarono delle controversie: “L’obiettivo dell’operazione è far tornare Gaza al Medio Evo. Solo allora Israele si calmerà per 40 anni”.

 

Ma questa “calma” non è durata molto. 

 

Nel 2014 i palestinesi sono stati capaci di superare le loro differenze e sanare le ferite di uno scontro che aveva così tanto danneggiato la loro causa.

 

Il 2 giugno fu proclamato un Governo di Unità Nazionale, presieduto da Mahmoud Abbas e con l’appoggio e la partecipazione di tutti, compresa Hamas.

 

La reazione dei suoi nemici è stata immediata. I ministri residenti a Gaza non hanno potuto raggiungere i loro colleghi a Ramallah, Cisgiordania, per partecipare all’insediamento del governo perché per farlo dovevano attraversare il territorio occupato e le autorità sioniste glielo hanno impedito.

 

Gli Stati Uniti e i loro alleati hanno dato il via ad una campagna di ostilità contro il governo appena costituito, cercando di presentare come una minaccia ciò che era una vittoria per il popolo palestinese e che in realtà avrebbe potuto essere un passo avanti verso la soluzione del vecchio conflitto.

 

Invece di approfittare di quella che poteva essere un’opportunità per la pace, le autorità israeliane hanno optato, una volta di più, per la guerra.

 

Nuovamente la piccola, isolata e martirizzata Gaza, quel ghetto eroico del Secolo XXI, alla cui salvezza è un dovere provvedere immediatamente. Astenersi dal farlo sarebbe osceno. 

 

Circola su Internet un documento che merita l’appoggio universale, promosso dalla professoressa dell’Università di Tel Aviv Rachel Giora.

 

Lo hanno sottoscritto, finora, varie decine di persone, tutti accademici, intellettuali.

 

Domandano l’immediato stop all’aggressione contro Gaza  e l’inizio di negoziati onesti per ottenere la pace e la convivenza tra arabi ed ebrei in Palestina e chiedono ai loro colleghi d unirsi a questa petizione.

 

E’ un richiamo coraggioso e speranzoso.

 

I firmatari hanno varie cose in comune.

 

Sono professori di università israeliani. Vivono tutti in Israele e sono ebrei.

 

Chissà che li ascoltino.

 

 

 

(*) Intellettuale e diplomatico cubano, ex presidente dell’Assemblea Nazionale.

 

 

 

(traduzione di Daniela Trollio Centro di Iniziativa Proletaria “G.Tagarelli”

 

Via Magenta 88, Sesto S.Giovanni)

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