AMIANTO

Romana Blasotti
Romana Blasotti

Il processo del secolo, celebrato a Torino, condanna a 16 anni il magnate dell’amianto Stephan Schmidheiny: la fine dell’impunità e della menzogna

di Paco Puche; da: rebelion.org

 

Nel mezzo di un’aspettativa senza precedenti, con gente venuta da ogni parte del mondo e con più di mille persone che ascoltavano in piedi, pazientemente, la lettura della sentenza che è durata più di tre ore, lo scorso 13 febbraio è stata pronunciata una sentenza che segna un prima e un dopo per tutto il mondo, per quello che riguarda la tragedia dell’amianto.

 

Contro la moda post-moderna di piangere le vittime senza ricercare le cause della loro disgrazia, il processo di Torino è stato il trionfo delle vittime e il castigo dei colpevoli con nome e cognome. Il dolore accumulato - per i morti, i malati, i familiari e gli amici - di migliaia di persone concrete di carne e ossa, dolore fisico e morale, per i disastri e i crimini dell’affare dell’amianto, meritava che si facesse giustizia. Mentre si ascoltava la sentenza, un misto di gioia, di lacrime e di tensione contenuta inondava le sale e i corridoi che ospitavano centinaia di persone colpite.

In nome di 2.191 morti e di 605 ammalati si erano riunite più di 6.400 parti civili. A mano a mano che il presidente del collegio giudicante leggeva la sentenza, l’atmosfera della sala era riempita dai nomi (dovevano essere pronunciati tutti, uno a uno). Non per niente.

Questo processo era iniziato da una denuncia presentata dalle vittime o dai loro familiari nel 2004. Nel 2009 erano cominciate le udienze preliminari e nel dicembre di quell’anno era iniziato il processo vero e proprio. Nel 2012 celebriamo il verdetto finale, otto anni dopo quindi.

Ma la tragedia era iniziata nel 1906, quando la fabbrica di amianto apre a Casale Monferrato, un paese vicino a Torino. Da allora i lavoratori e i cittadini sono stati contaminati fino al 1986 quando Schmidheiny chiude la fabbrica, abbandona gli stabilimenti e “se ne va di corsa”. Se qualcuno pensa che questo abbandono abbia cancellato i problemi, si sbaglia circa la mortalità dell’amianto. Ad oggi a Casale muore ancora una persona alla settimana a causa della sua passata esposizione all’amianto: nella fabbrica, nella sua casa, nella cittadina.

 

Il fatto è che con l’amianto parliamo di una cospirazione del silenzio, sostenuta dai quattro grandi oligopoli storici del minerale (due inglesi, uno europeo e l’altro americano), che sono riusciti ad ingannare la gente per un secolo, agendo come lobby, a pagare gente, a guadagnarsi appoggi, a incaricare agenzie di marketing e di “ecologismo verde”e, in definitiva, a coprirsi le vergogne con la filantropia.

Il fatto è che l’amianto ha causato una sorpresa che, come la dea Nemesi, ha finito per vendicarsi di tutti quelli che si sono arricchiti con la menzogna e gli affari. Parliamo del mesotelioma, un cancro che – quando lo si scopre – si sa che viene dall’esposizione all’amianto e che su di esso non influisce neanche il tabacco.

Per questo la menzogna sull’innocuità dell’amianto, di qualsiasi tipo, è una menzogna letale. Ma, oltretutto, l’amianto ha un periodo di latenza (tempo che intercorre tra l’esposizione e la manifestazione della malattia) tra i 30 e i 60 anni, per cui i responsabili, i boia, i criminali dell’affare dell’amianto dovranno vedersela per decenni con le future vittime dei loro affari passati.

Secondo l’Organizzazione Mondiale della Salute sono 10 milioni di persone quelle che inesorabilmente dovranno morire per l’esposizione alla’amianto in qualsiasi ambiente.

 

Per la prima volta, da che si ricordi, uno dei più grandi magnati del mondo, e di quasi tutto il secolo XX, viene condannato a una pena di tale gravità: sedici anni di carcere. Egli ha già annunciato che non la sconterà (allo stesso modo in cui non si è degnato di presentarsi mai al processo), e per questo farà tutto ciò che è in suo potere: anche cambiare di nazionalità, o di personalità, o andare errando in elicottero, in sottomarino e di casa in casa, magari affidandosi alla Compagnia di Gesù di cui è grande estimatore e finanziatore. In effetti lo unisce ai gesuiti una tenera amicizia e relazioni che questi hanno trasformato in ringraziamenti: quando gli hanno concesso il dottorato honoris causa per la sua università venezuelana, nel 2011, fecero un grande elogio del decorato - indicandolo come esempio da seguire - di cui oggi, alla luce del processo, forse si pentiranno. Allearsi con il responsabile di tanti crimini non fa piacere a nessuno.

Di queste pericolose amicizie si potrà dire quello che Schmidheiny diceva dell’amianto: “allora non si sapeva della sua pericolosità”. Nel caso dell’amianto è la menzogna che ha nutrito la cospirazione del silenzio, perché dal 1889 (sic!) si conoscevano le sue patologie, che sono state confermate nel corso del XX secolo, fino a che si stabilì definitivamente la relazione amianto-mesotelioma nel 1964. Schmidheiny entrò nell’affare nel 1975, quindi ha continuato a mentire fino ad oggi, quando una sentenza coraggiosa ed esemplare dice che deve andare in carcere. Né le sue alleanze con la Chiesa, né la grandezza della sua fortuna, né le migliaia di associati e beneficiati della sua fondazione filantropico mercantile chiamata AVINA hanno potuto proteggerlo.

 

Allo stesso modo, agli amici dei bei tempi rimane il problema di slegarsi da questa alleanza con un condannato per crimini contro migliaia di persone. Non possono più appellarsi all’ignoranza come hanno fatto finora. Quando glielo hanno chiesto, hanno risposto “non sappiamo se questa fondazione è quello che dicono essere” e alcuni, nel dare le dimissioni dalla fondazione, l’hanno anche ringraziata per i servizi che ha prestato. Ora sanno, senza possibilità di errore, sulla pelle di chi si fornivano tali servizi.

 

Schmidheiny è stato condannato per i reati di “disastro ambientale doloso permanente” e per “omissione delle misure di sicurezza” sul lavoro. Il carattere “doloso” rende la sua condotta intenzionale, il carattere ”ambientale” si riferisce alla dispersione delle polveri letali e il “permanente” si riferisce alla continuità del suo pericolo, come abbiamo visto. E’ ovvio che “l’omissione” delle misure di sicurezza si riferisce al suo desiderio di profitto.

 

Scendiamo nel concreto

 

Questo processo – si è detto – metterà sull’avviso quelli che hanno contaminato centinaia di lavoratori, com’è il caso di Uralita in Spagna, e nel mondo nei più di cento paesi che non hanno proibito questo materiale. Ma in quelli che l’hanno proibito rimane un lungo, pericoloso e caro processo di bonifica dell’amianto, perché non bisogna dimenticare che, in Spagna, i tre milioni di tonnellate utilizzate e disperse dappertutto sono una fonte potenziale di pericolo per la salute di quasi tutti gli spagnoli. E ci sono i responsabili di questa tragedia che continua, non torniamo all’ambiguità del “siamo tutti responsabili”.

 

Ma c’è un altro fatto che questo verdetto di colpa per crimini contro migliaia di persone svela, una volta di più, ed è che le due fondazioni legate all’amianto (AVINA e Ashoka) stanno facendo un ben misero favore a tutti i movimenti sociali del nostro paese, si dicano alternativi, o di base o anticapitalisti. Le due fondazioni hanno “catturato” più di 16 di queste organizzazioni.

Dal 2009, e anche prima, stiamo avvertendo sulla pericolosità dell’alleanza con queste fondazioni (oltre che sui finanziamenti che procurano). Fortunatamente gli avvisi cominciano a dare i loro frutti. Ci riferiamo a due fatti: uno, si è ottenuto che tre leaders riconosciuti dei movimenti sociali abbiano dato le dimissioni dai loro incarichi per l’incompatibilità evidente tra l’appartenere a queste fondazioni ed essere rappresentanti di vari movimenti. Il più importante è stato una dichiarazione della Piattaforma Rurale, che aveva vincoli con queste fondazioni attraverso il suo presidente, che ora si sta staccando in maniera decisa da esse. Due: in un manifesto apparso lo scorso 8 febbraio si diceva: “E in Africa la Monsanto si è alleata da poco con la Fondazione Gates, la Rockfeller e la Fondazione Ashoka per promuovere i transgenici (…) Anche mascherato di verde si tratta di un tentativo assassino di introdurre in questo continente le sementi transgeniche”. Dall’andarci a braccetto al chiamarli “assassini”, è un buon passo avanti.

Lo stesso devono fare tutti i movimenti sociali che hanno legami con AVINA o Ashoka nel nostro paese, come hanno già fatto in America Latina: svincolarsi tassativamente da esse e denunciare la loro vera natura, che in questi due casi è chiara ed inequivocabile, dopo questa attesa sentenza di Torino.

 

Oggi, 13 febbraio, è stato un grande giorno per tutte le vittime dell’amianto, che non possiamo sottovalutare. E’ stato il giorno in cui è culminata la lunga lotta di più di venticinque anni degli offesi di Casale Monferrato che, come tutti i movimenti pionieri, non sono stati ben capiti dai loro colleghi e sono stati accusati di voler far chiudere la fabbrica.

Oggi è il giorno del trionfo di una lotta onesta e decisa per la giustizia e la verità, che è cresciuta nonostante le grandi resistenze con cui si è scontrata nel lungo cammino di più di trentacinque anni.

Quale emblema di questa resistenza dobbiamo ricordare Romana Blasotti, questa donna di 83 anni che ha perso in questa battaglia cinque dei suoi familiari per l’amianto e che è lo specchio in cui dobbiamo guardarci.

Felicitazioni a tutte le vittime che hanno visto direttamente, o attraverso i loro familiari, che a volte c’è giustizia in questo mondo. Per questo dicono: “siamo soddisfatti ma non felici, perché non possiamo dimenticare i morti e quelli che si ammaleranno in futuro”.

Come dicono tutti gli specialisti, questa è una sentenza storica, che avrà conseguenze in tutto il mondo.

 

E agli amici, ai soci, ai collaboratori e agli altri simpatizzanti della fondazione AVINA vogliamo ricordare che - da oggi - il loro benefattore Stephan Schmidheiny “E’ RICERCATO”.

 

 

(*) Economista ed ecologista spagnolo.

 

(traduzione di Daniela Trollio

Centro di Iniziative Proletaria “G.Tagarelli”

Via Magenta 88, Sesto S.Giovanni)

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