AMIANTO ASSASSINO

Amianto Eternit:

 una sentenza che farà la storia.

 

a cura di Michele Michelino (*)

 

Condannati a sedici anni di carcere il miliardario svizzero Stephan Schmidheiny e il barone Louis De Cartier De Marchienne: disastro doloso e rimozione di cautele.

 

Quando il giudice pronuncia la parola “colpevoli” dalla sala si leva un applauso liberatorio: finalmente un briciolo di giustizia per le 2.889 “persone offese”, 1800 solo a Casale, divenuta città simbolo della lotta all'amianto.

Condanna inoltre gli imputati al pagamento delle spese processuali e, in solido con le società chiamate in causa come civilmente responsabili, al pagamento di una “provvisionale”, un acconto sui risarcimenti richiesti da chi ha subito danni.

Il giudice prosegue nella lettura delle parti civili cui il Tribunale ha riconosciuto il risarcimento, salvo poi la liquidazione del danno complessivo reclamato dalle parti offese tramite una separata causa civile.

 

I giudici hanno ritenuto i due imputati colpevoli di disastro doloso solo per le condizioni degli stabilimenti di Cavagnolo (in provincia di Torino) e Casale Monferrato (in provincia di Alessandria). Per quanto riguarda gli stabilimenti di Rubiera (in provincia di Reggio Emilia) e Bagnoli (in provincia di Napoli), i magistrati hanno dichiarato di non doversi procedere perché il reato è prescritto. Il Tribunale piemontese ha deciso anche risarcimenti milionari a favore delle istituzioni costituitesi parti civili: al Comune di Casale Monferrato andranno 25 milioni di euro, alla Regione Piemonte 20 milioni, all’Inail 15 milioni e al comune di Cavagnolo 4 milioni.

Altri risarcimenti sono andati all’Associazione Medicina Democratica, al Wwf, ai sindacati, fino ai circa 95 milioni di euro (dai 30 ai 35 mila euro a testa) per risarcire le famiglie dei 2.000 morti e alle oltre mille parti lese.

 

 

Cronaca di una giornata storica

 

La mattina comincia presto. 

Un Gazebo con un impianto voce viene organizzato da Voci della Memoria di Casale Monferrato insieme a Terra del Fuoco e Officine Corsare.

Alle ore 8,45: gli studenti di Casale Monferrato con 6 pullman giungono al palazzo della Provincia, da dove seguiranno la lettura della sentenza su un maxischermo.

Alle 9 davanti al tribunale di Torino ci sono già centinaia di persone con cartelli e striscioni mentre da un altoparlante cominciano a risuonare le voci dei rappresentanti delle tante Associazioni e Comitati venuti a Torino. Associazioni e Comitati che vengono da varie parti della penisola e dalle isole, ma anche da altre parti d’Europa. Intanto 16 pullman carichi dei parenti delle vittime di Casale Monferrato sono arrivati uno dietro l’altro, con il loro carico di dolore e rabbia, di paura e di speranza per una sentenza tanto attesa: entrano alla spicciolata nel Palazzo di Giustizia occupando posto nall’aula magna dove è stato predisposto un grande schermo. Arrivano anche 3 pullman e varie delegazioni dalla Francia: sono lavoratori dell’Andeva (l’associazione delle vittime francesi), minatori della Lorena, delegazioni dall’Ardèche e dall’Alta Savoia. In treno arrivano le vedove di Dunkerque, località dell’estremo nord della Francia in cui vi era uno stabilimento Eternit. Particolarmente nutrita la delegazione degli ex minatori francesi con la loro casacca bianca e l’elmetto, seguita da quella degli svizzeri e dei belgi. Presente anche la delegazione dell’Associazione delle vittime dell’amianto del Brasile. L’attesa è lunga, cominciano gli interventi dei rappresentanti delle associazioni che si alternano ai microfoni. Prendono la parola rappresentanti dell’Associazione Esposti Amianto di Bari, del Comitato Case Popolari White (Milano), dell’Associazione 29 Giugno, dell’Associazione Legami d’acciaio, del Movimento NO TAV e un rappresentante degli studenti di Casale Monferrato, una lavoratrice malata di mesotelioma (la malattia d’amianto) di Grosseto, le Officine Corsare (TO), la Rete Nazionale per la sicurezza sui luoghi di lavoro e il Comitato per la Difesa della Salute nei Luoghi di Lavoro e nel Territorio di Sesto San Giovanni (MI).

Alle 13,20 i giudici escono dalla camera di Consiglio. La tensione nell’aria si può tagliare con un coltello. Tutti sono consapevoli che sta per essere pronunciata una sentenza destinata a entrare nella storia dell’umanità.

Dopo la lettura del dispositivo della sentenza di condanna per i due magnati dell’Eternit, il giudice impiegherà quasi tre ore per leggere, uno per uno, il nome delle vittime e dei loro familiari: un lunghissimo elenco accolto in assoluto silenzio.

Per quanto la sentenza non riporti in vita le vittime e nei processi penali la legge tuteli più i carnefici che le vittime, stavolta la condanna è pesante. Condannati per disastro doloso e omissione dolosa di misure infortunistiche, motivazioni che faranno giurisprudenza.

Sui volti dei parenti delle vittime la soddisfazione di essere riusciti a far condannare i padroni di una delle più grandi multinazionali che continua le sue produzioni di morte in altri paesi.

Qualcuno non ha nascosto le lacrime, qualcun altro si è sforzato di contenere l’emozione senza riuscirci. Sul volto della maggioranza dei presenti c’era la soddisfazione di aver contribuito - con la presenza costante al processo e tante lotte spesso contro tutto e tutti - a scrivere una pagina di storia.

 

Anche se il risultato è “storico”, come sempre c’è chi non ha avuto giustizia, ed è il caso delle vittime degli stabilimenti dove il giudice ha giudicato prescritti i reati, gli stabilimenti in Campania ed Emilia Romagna.

Delusione e rabbia quindi sui volti dei lavoratori e dei familiari degli stabilimenti Eternit a Bagnoli e Rubiera. Soddisfazione e rabbia contrapposta.

Non riconoscere nessun indennizzo ha significato per loro che dopo il danno è arrivata la beffa. Fuori dall’aula alcuni di loro commentavano a caldo che ancora una volta c’è stata una discriminazione fra morti di serie A e di serie B: i morti di Casale e di Bagnoli. Gli operai che hanno lavorato negli stabilimenti di Bagnoli, morti di mesotelioma e altri tumori dovuti all’amianto, i malati di asbestosi, hanno subito un’altra ingiustizia, perché contro l'amianto killer non c'è alcuna prescrizione che tenga.

 

Questa volta, per quanto come sempre tardiva, un briciolo di giustizia c’è stata, anche se rimangono ancora molte ingiustizie e molti delitti impuniti.

Anche se le leggi borghesi servono a difendere il sistema capitalista di sfruttamento dell’uomo sull’uomo, tutelando la proprietà privata e il profitto, questa volta la giustizia di classe dei padroni ha dovuto condannare due appartenenti alla propria classe tanta è stata la reazione, l’indignazione e la voglia di giustizia contro i responsabili di migliaia di morti. Anche se i padroni si appelleranno contro questa condanna e nei successivi gradi di giudizio, ci potrebbero essere sorprese. Come succede spesso, questa sentenza che segue quella della Thissenkrupp comincia a turbare i sonni finora tranquilli dei padroni pubblici e privati e di tutti quelli che in nome del profitto calpestano la salute e la vita.

 

Il protagonismo operaio, l’autorganizzazione, la partecipazione operaia e popolare cominciano a far scricchiolare l’impunità di cui finora ha goduto la classe padronale.

Il diritto di uccidere, cavandosela con la monetizzazione della salute e della vita, comincia a essere messo in discussione da un forte movimento operaio e popolare.

 

Questa sentenza segna una tappa importante sul tema della lotta per la salute in fabbrica e nel territorio, ma la lotta contro l’amianto e gli altri cancerogeni non è conclusa. L’amianto, come l’indifferenza, continua ogni giorno a uccidere: il picco dei morti è previsto in continua crescita fino al 2020 e di amianto si continuerà a morire.

Rendiamo quindi onore a tutte le vittime dello sfruttamento capitalista, sperando che questa sentenza serva da monito.

 

(*) Comitato per la Difesa della Salute nei Luoghi di Lavoro e nel Territorio

 

  Torino 13 febbraio 2012

 

Mail cip.mi@tiscali.i                                                            http://comitatodifesasalutessg.jimdo.com

 

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